domenica 27 dicembre 2020

déjà-vu

Ieri sera ho visto la versione europea di The Grandmaster di Wong Kar-wai, film del 2013 che, secondo me, è un clamoroso omaggio a C’era una volta in America di Sergio Leone (il quale si sa era, a sua volta, grandissimo ammiratore di Akira Kurosawa). Ho scoperto che ci sono tre versioni di questo film, per tre mercati diversi, una cinese da 130 minuti, una europea da 122 minuti, e una americana da 108 minuti, tutte e tre riconosciute come valide dal regista. Ogni versione ha un diverso montaggio, un diverso finale e contiene delle scene non presenti nelle altre, disseminate come indizi, ma solo la somma di tutte le scene permette di ricostruire determinate vicende o presenze, come quella, più sfuggente, del personaggio chiamato Il Rasoio (sul quale molti spettatori si sono, di volta in volta, interrogati). In altre parole il regista, già avvezzo a soluzioni simili ma con più discrezione, qui chiede allo spettatore lo sforzo intellettuale di rivedere per tre volte di fila lo stesso film (sei ore di visione) per cogliervi, fra le altre identiche, alcune scene che permettono di chiarire determinate storie, alcune minori, e come molte di queste storie cambiano di senso a seconda del montaggio, di come cioè te le raccontano, e del fatto che nella narrazione siano rivelati o taciuti determinati particolari. Che è in pratica lo stesso meccanismo della memoria, qui non soltanto sublimato dal meccanismo cinematografico, ma reso addirittura tangibile dall’espediente di Kar-wai che obbliga lo spettatore non solo a cercare le tre versioni, ma anche a un cosciente e reiterato déjà-vu, sull’esempio dell’ultimo film di Leone ma più ancora sul modello di Rashomon di Kurosawa, in questo immenso affresco sul tempo e sulla fine di un’epoca, paradossalmente alleggerito dai numerosi combattimenti di Kung Fu.

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