Ieri ho visto due film di Mario Monicelli, di quelli considerati minori. Uno abbastanza bruttino, La mortadella, del 1971, con protagonista la Loren che va negli Stati Uniti per sposarsi e si porta dietro come dono di nozze un prosciutto prodotto apposta per lei, che ovviamente le crea problemi alla dogana (in sostanza una buona idea per un cortometraggio dilatata oltremisura). L’altro, assai più serio, è Caro Michele del 1976, trasposizione dell’omonimo romanzo epistolare di Natalia Ginzburg, definito da molti come lento ed eccessivamente letterario, di certo non immediato, ma invece parecchio affascinante. Garboli definiva il romanzo come il resoconto di un “progressivo assideramento” e altrettanto fa il film adattandosi a quelle atmosfere sospese e irrisolte, a cui Monicelli contrappone la figura rivisitata di Mara, antipaticissima e invadente ragazza di Michele, interpretata da Mariangela Melato al suo top. Ne deriva un film sull’incomunicabilità che rappresenta la disgregazione di una famiglia borghese e dei suoi amici (tutti abbastanza anemici, patetici o stronzi) che nulla hanno da dirsi e nulla da sperare e così si aggrappano per sopravvivere alla figura evanescente di Michele, scappato all’estero e che mai si vedrà ritornare (simile a un Godot in minore) ovvero a quella di Mara che però, di contro, o li vampirizza o li respinge con la sua sfacciata vitalità, fino a restate cocciutamente sola; e in questo senso è da segnalare il finale della pellicola che è un dichiarato e parodistico omaggio a Tempi moderni di Chaplin. Il film è visivamente molto bello, specie in determinate sequenze invernali o di chiara derivazione pittorica, ma la sua caratteristica più sorprendente sta forse nel fatto di essere non solo uno dei meno monicelliani dei film di Monicelli, ma allo stesso tempo il più alleniano, anticipando la struttura e le atmosfere pregne di muta disperazione di certi film di Woody Allen degli Ottanta. Persino l’apparentemente italianissima Mara, trasposta in un film di Allen, non avrebbe nessuna difficoltà a passare per la classica ragazza ebrea sboccata e scroccona, come se ne incontrano tante nei suoi film. È come se certo umorismo e fatalismo yiddish fossero stati assorbiti da Monicelli dalle pagine della Ginzburg e trasposti in una pellicola che anticipa molte delle future soluzioni sceniche di Allen, e tutto questo negli anni in cui lo stesso Allen non aveva ancora compiuto il suo passaggio dal puro cinema comico a quello più meditativo e drammatico della sua maturità (Io e Annie è del 1977). Nota di merito a margine, la pregevole presenza come attore (nella parte del padre artista di Michele) del poeta Alfonso Gatto.
Tonio Rasputin
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
martedì 3 dicembre 2024
lunedì 2 dicembre 2024
la superficie
"A volte vorrei essere la superficie" scrive Levante, sottolienandolo due volte col rosso, nel suo nuovo libro di poesie collage e dipinti, intitolato Opera quotidiana e orgogliosamente pubblicato da Rizzoli, a cui non si può dir nulla perché bisogna anche fare cassa. Ma io che l'ho sfogliato vorrei anche risponderle (senza sembrare il solito maschio) che non capisco questa finta modestia, giacché da ciò che ne ho letto questo libro è tutta superficie, visivamente splendido sotto l'aspetto grafico e illustrativo, ma al grado zero dello scavo intimo, tanto più se a scriverlo (e questo forse è il lato per me più deludente) è una giovane donna di 37 anni, che scrive appunto: "Parola, sei una magia che mi accade / l'emozione mi esplode nelle viscere e nelle viscere ti trova", oppure si chiede "A che binario mi aspetta la vita? E perché proprio al 23?" o rivendica uno spazio con banalità: "Carissima/ stella nera/ principessa inquieta/ nel regno dei maschi/ hai/ la colpa di essere/ un cervello a cuore aperto/ con passo leggero/ avanza ancora/ questa è la tua voce/ alzala" (quest'ultimo realizzato come un collage di parole ritagliate dai giornali che tutto ha da invidiare a un Balestrini). Ecco, io senza voler sembrare il solito maschio del regno dei maschi che se la prende con una donna più giovane perché ha successo, vorrei anche dirle che sì, io un po' ci rosico sapendo che la pubblica Rizzoli con un libro così debole nei contenuti, e che mi dispiace anche un po' per voi: per voi poetastri che magari siete altrettanto superficiali, ma non avendo lo stesso potere commerciale da spendervi non potete che mandare il vostro libro a me (che vi cestinerò); e per voi, poeti e poetesse che ci provate a trovare un vostro spazio editoriale, ma purtroppo avete sbagliato i tempi, e dalla parola che si fa magia nelle viscere siete già passati intorno ai quattordici anni.
domenica 1 dicembre 2024
bisogna insistere
Alla fine di Celluloide (1996) di Carlo Lizzani, film che ricostruisce i giorni in cui venne girato Roma città aperta, opera che oggi viene considerata fondamentale ma che all’epoca non venne capita e fu anzi un fiasco clamoroso in Italia prima di venire riscoperta dalla critica straniera rilanciando la carriera dei suoi autori, proprio alla fine del film c’è uno scambio di battute fra i personaggi di Anna Magnani (Lina Sastri) e Roberto Rossellini (Massimo Ghini) che riassume in due battute tutti i timori e le speranze che giorno dopo giorno si muovono nel cuore di chi prova a fare arte, spesso senza un solo riconoscimento a dargli coraggio. – A Robe’, dice la Magnani, e se avessimo sbagliato tutto? – Anna, anche se fosse vero, che ce n’è importa? Bisogna insistere.
e quando sono triste, non mi ascolti?
Frank Sinatra sings for Only the Lonely (1958), per quel che ne penso, è il più bel disco di Frank Sinatra, accompagnato dall'orchestra arrangiata dal grande Nelson Riddle. Il ritratto in copertina, di Nicholas Volpe, è un dichiarato omaggio all'opera I Pagliacci di Leoncavallo. Il repertorio è tutto composto da torch song, ovvero canzoni d'amore perduto (ovviamente indirizzate ad Ava Gardner), e l'intero disco è fatto per essere ascoltato e goduto esclusivamente col buio. Canzoni che parlano di bar vuoti e bottiglie svuotate, di albe che prima o poi arriveranno. Uno di quei dischi che quando lo senti già dalle prime note capisci subito che Tom Waits lo avrà consumato sul giradischi. Nel pezzo di chiusura, One for my baby, Sinatra, accompagnato dalle note indolenti del piano, canta: "Non lo diresti mai, amico mio, ma sono una specie di poeta / E ci sono un sacco di cose di cui vorrei parlarti / E quando sono triste, non mi ascolti?". Come si fa a non amarlo?
sabato 30 novembre 2024
vergogna
L'anno scorso durante il vertice Cop28 in Arabia Saudita si disse chiaramente che riconvertire le fonti energetiche in chiave meno impattante in termini di inquinamento e surriscaldamento globale sarebbe stato più costoso che pagare i danni ai paesi più colpiti del terzo mondo. Quindi si promise a questi ultimi di pagare loro un indennizzo per tamponare i danni e rallentare il più possibile la loro fine annunciata mentre i paesi ricchi del mondo si prendevano il loro tempo (fino al 2035) per capire come aggiustare le cose, senza rinunciare a nulla del proprio benessere. Che già di per sé era una cosa oscena. Quest'anno, durante il vertice Cop29 in Azerbaigian, con significativa assenza degli Stati Uniti post elezione Trump, hanno cambiato le carte in tavola, dicendo che ai paesi del terzo mondo, invece dei richiesti 1.300 miliardi di dollari all’anno da oggi al 2035, sarebbero stati dati solo 300 miliardi di dollari di indennizzo (la carità) con la possibilità di dilazionare la promessa riconversione energetica ben oltre il 2035 perché le nostre economie sono in difficoltà. Tutto questo detto a paesi che nella maggior parte dei casi sono soggetti a carestie, siccità, inondazioni e disastri climatici, e la cui popolazione, quando emigra verso le nostre terre, o viene mal sopportata o addirittura disprezzata. Roba da vergognarsi di noi, prima di tutto come esseri umani.
venerdì 29 novembre 2024
immagini di tbilisi
Ogni violenza è a suo modo terribile, ma le immagini trasmesse al Tg degli scontri in piazza a Tbilisi, per chi come me è cresciuto nell'immagine favolosa e delicatissima che ce ne ha lasciato l'amato Tonino Guerra nei suoi libri, sono una cosa da spezzare il cuore.
mercoledì 27 novembre 2024
monacale
Sono talmente raffreddato che ho il piano della scrivania e il pavimento tutto intorno invasi di clinex umidicci e appollottolati, al punto che se ora entrasse qualcuno nella stanza non crederebbe mai all'immagine di castità monacale con cui spesso mi compiaccio di descrivermi.
cercando sergio garufi
Ieri – per quella strana forza che si chiama destino – un amico che non sentivo da un po’ mi scrive per chiedermi se Sergio Garufi fosse morto. Io preso dal panico scrivo un messaggio a Garufi per chiedergli se sta bene. Garufi mi risponde che sta bene – è solo che gli hanno hackerato il profilo Fb e ora tutti gli scrivono messaggi del tipo “Manchi” oppure “Vorrei che fossi qui” che possono ingannare chi non sa, ma Sergio ha scelto di prendere la palla al balzo e invece di farsi un nuovo profilo ha rinunciato ai social. Così gli ho scritto e lui mi ha annunciato che proprio ieri sono usciti due suoi racconti su due diversi libri che ne attestano la buona salute. Uno sta su un libro sul cinema a Milano. L’altro è dedicato alla figura del filosofo Dario Generali e parla del suo rapporto di amicizia con lui, nato quando Generali divenne suo professore al liceo: uno di quei rapporti – nonostante la differenza d’età – profondi, solidi, antichi, che sembrano usciti da un romanzo di Giorgio Bassani, così inusuali oggi in puro clima di svuotamento e contestazione della figura professorale. Generali, spiega Garufi, non mi ha dato soltanto un metodo di lettura e di analisi che poi ho applicato per tutta la vita nei miei scritti, ma mi ha dato anche dei ricordi che sono legati a dei luoghi, a dei discorsi, a delle canzoni. Così Sergio, legando quel rapporto a un tempo e a una canzone che cantavano spesso nei loro giri in auto, “E ti vengo a cercare” di Battiato, fa un paragone con le modalità di amicizia attuali. Oggi, tramite i social, ci si tiene in contatto istantaneamente col telefono, si sta fermi in un punto, il nostro centro, e si scrive all’altro dal proprio centro richiamandolo a sé, come due fari che si guardano attraverso il mare. Ma una volta, prima dei social e degli smartphone, dice Sergio, se volevi arrivare a qualcuno, nell’incertezza della sua presenza, dovevi per forza andarlo a cercare, chiedere di lui, muoverti verso di lui, anche solo per andare a fischiare sotto la sua finestra, o sedersi su un muretto aspettando che passasse, e quel movimento, la sua intensità e durata, misuravano il tuo affetto, il tuo bisogno dell’altro. Allo stesso modo dello scrivere a/di una persona, che è un po’ come muoversi interiormente verso di lei, fare uno sforzo di memoria per rimettere insieme dei pezzi, dare la misura del proprio affetto attraverso la logica di un discorso in uno spazio che è quello del cuore. E questo perché, conclude Sergio, gli amici e gli scrittori, o gli amori, che più contano nelle nostre vite, non sono soltanto quelli che più frequentiamo, ma soprattutto quelli che, in un modo o nell’altro, non smettiamo mai di cercare.
rimozione
Per una serie di motivi legati alla situazione del Libano in questi mesi, negli ultimi giorni mi è capitato di parlare e voler rivedere un film di qualche anno fa, Valzer con Bashir, molto bello, che parla del massacro di Sabra e Shatila nel 1982. Il regista era all’epoca un soldato di diciott’anni arruolato nell’esercito che partecipò a quell’eccidio e poi ha letteralmente rimosso per vent’anni quanto successo fino a dover fare una serie di interviste ad altri soldati per recuperare quei ricordi e rielaborarli in un film, quindi presentare quest’opera che parla del senso di colpa di chi esegue degli ordini che non capisce, occupa un paese precipitando in un clima di follia e anche quando si rende conto del male che accade, pur non partecipando in prima persona alla strage, sceglie di non vedere, di girare la testa dall’altra parte diventando complice. Credo ci sia voluto molto coraggio e maturità per arrivare a fare un film così che scava nella propria carne. Ma il bello è stato questo, negli ultimi giorni, parlando di questo film con tre diversi amici, tutti e tre pur conoscendo il film hanno avuto un moto di stupore nell’accorgersi che il regista Ari Folman fosse ebreo (credo tuttora residente a Tel Aviv) e nessuno sulle prime ha creduto che un ebreo potesse fare un film così: tutti ricordavano l’opera in sé come atto di denuncia, ma avevano dato per scontato che a farlo fosse stato un avversario dello stato israeliano e non un interno, e così a loro volta avevano rimosso l’identità del regista nello stesso modo in cui lui aveva rimosso per anni il ricordo del suo alter ego in divisa in cui non era più riuscito a riconoscersi.
martedì 26 novembre 2024
immagini del libano
Ci sono tante cose che mi hanno particolarmente colpito nell’incontro dell’altra sera con Elisa Gestri, che fa la fotoreporter a Beirut. Forse l’immagine più forte che mi ha lasciato è quella della speculazione edilizia – puro capitalismo di guerra – che già si sta facendo a Beirut così come a Gaza: intere aree cittadine vengono bombardate a oltranza, anche se non ci vive più nessuno, ma non per odio, quanto per fare piazza pulita in attesa della ricostruzione, mentre a conflitto in corso vengono già lanciati annunci pubblicitari che dicono ad esempio: Vendesi 9 appartamenti sul lungomare a prezzi d’occasione! Così si portano avanti col lavoro. Un’altra immagine riguarda il fatto che i libanesi odiano storicamente i palestinesi quanto gli israeliani, per cui non li riconoscono nemmeno come cittadini, persino se sono nati lì (esattamente come da noi che si rifiuta lo ius soli ai figli degli immigrati che nascono in Italia). Ci si trova così a convivere oggi, in uno stato grande quanto l’Abruzzo, col problema degli sfollati di diverse etnie ognuna delle quali ritiene l’altra responsabile delle proprie sventure secolari creando un clima di tensioni interne difficile da gestire: gli sfollati palestinesi in Libano, ad esempio, non hanno diritto ai letti per cui devono dormire per terra. Su questo clima d’odio c’è chi ci specula. Ecco che gli unici che oggi vanno d’accordo, nel nome del comune odio antiisraeliano, sono Hamas ed Hezbollah, che trovano i soldi per la guerra (santa): nel mercato nero (dove spesso vengono rivenduti medicinali e aiuti umanitari europei che non arrivano mai alla popolazione perché in uno stato corrotto com’è il Libano vengono intercettati prima e rivenduti alla stessa popolazione a peso d’oro); nella prostituzione, nella vendita di organi (!), nella produzione e vendita di droga: e lì noi, mi dispiace dirlo, in quanto consumatori attivi di quel mercato siamo corresponsabili di molte atrocità. Perché qualsiasi stronzo d’Europa che compra droga anche per uso personale, partecipa alla guerra finanziandola in prima persona, poi magari scende in piazza a protestare contro le violenze del potere, ma intanto le finanzia attivamente, grammo per grammo, e nemmeno per aiutare il popolo vessato, ma solo una delle forze militari in campo che sulla guerra ci campa esattamente come tutte le altre. E infatti, una delle poche immagini positive che ci ha raccontato Elisa riguarda una camionetta di Hezbollah arrivata in un paesino del Libano dove i militari Hezbollah sono stati fermati dalla popolazione esausta per la guerra e picchiati a sangue.
domenica 24 novembre 2024
l'epigrafe
Stanotte ho sognato che morivo e mentre mio fratello mi faceva cremare e spargeva le mie ceneri nei campi dietro casa senza nemmeno il funerale, gli amici per rispetto mi prendevano un loculo ma piccolino (tanto era vuoto), sulla cui lapide facevano incidere questa epigrafe: VITANTONIO LILLO-TARI' / NON POTEVA CHE FINIRE COSI', e visto che la scritta prendeva molto spazio, mancavano sia la foto che le date di nascita e di morte. Come soluzione mi piaceva così tanto che non solo (per quanto morto e incenerito) mi sentivo contento, ma vi direi pure, voi che mi leggete, di segnarvelo per quando servirà.
venerdì 22 novembre 2024
la sagra della porchetta di roma
Mentre leggo post di giovani autori indignati che consigliano di boicottare PLPL per le contraddizioni che ogni sala/salone/festival/sagra/rassegna si porta sempre dietro, perché sono eventi che servono a muovere soldi, non libri o idee, ma soldi (ragione per cui, a voler essere integri, bisognerebbe boicottarli tutti), mentre leggo questi post vedo la foto di un mio amico con cui, poco tempo fa, ebbi il coraggio di essere diretto e sincero come raramente sono capace di fare, e gli dissi: “no, le tue poesie sono brutte, secondo me non dovresti pubblicarle” spiegandogli che cosa non andava. Lui allora mi abbracciò, mi disse che avevo ragione, che ero un vero amico per la mia sincerità e che avrebbe seguito i miei consigli e continuato a studiare per migliorarsi, mi disse così poi oggi ho visto una foto in cui pubblicizzava il suo libro, quello stesso libro che aveva fatto leggere a me, pubblicato con un altro editore. Non è nemmeno una colpa la sua, fanno tutti così. Ma proprio per questo credo che ogni forma di boicottaggio, per quanto necessaria, non possa portare a nessun risultato, perché prima di boicottare gli altri bisogna imparare a fare i conti con se stessi e se dici alla maggior parte degli autori: “scegli se essere integro oppure se vuoi vedere il tuo libro alla sagra della porchetta di Roma”, la maggior parte degli autori ti risponderà che vuole essere famosa, anche accontentandosi della porchetta.
mercoledì 20 novembre 2024
voi
Autrice mi chiama al telefono per comunicarmi che sono stato scelto per pubblicare la sua raccolta. – O anche voi siete come tutti gli altri, che dovete fare prima la selezione? – Signora sì, serve prima fare la selezione. – Ma siete tutti uguali voi, ma com’è?! Sempre con questa selezione, la selezione, la selezione… fate la selezione e poi non mi richiamate mai! – Signora, così funziona l’editoria… Lo ha spedito a molti il suo libro? – Sì, io veramente volevo pubblicare con Mondadori o con Sperling & Kupfer, ma non mi hanno risposto quegli…! – (La sento agitarsi, tirare col naso e poi soffiarlo forte al telefono). – Signora, ma sta piangendo? – È che siete così cattivi voi editori, giocate coi sogni delle persone! Ora anche voi fate la selezione! – Ma voi chi, signora? – Voi, voi… voi piccolini!
martedì 19 novembre 2024
il cassetto
A poco più di un anno di distanza vado nel suo cassetto a cercare delle carte che ci servono per la banca, apro per la prima volta il suo portafoglio. In una tasca ci sono due foto: una sua da ragazzo che faceva lo scemo al mare in costume da bagno ed occhiali da sole a goccia, dietro la foto è annotato a penna “quant’è bella giovinezza!”, nell’altra sta serio serio accanto a mia madre che lo tiene al guinzaglio. A parte c’è un mazzo alto così di miei biglietti da visita. Lo sapevo già che quando si fermava a parlare con qualcuno li tirava fuori dicendo: “Lo conosci mio figlio?”. Il bello è stato scoprire che in macchina nascondeva i miei libri. Io lì a cercare di capire come mai non mi tornassero i conti sul numero di copie nei cartoni, e mio padre che pieno di orgoglio li regalava in giro senza dirmi nulla.
lunedì 18 novembre 2024
la finestra
Ci sono interi film che non valgono il finale de Gli anni ruggenti di Luigi Zampa, opera che il regista (più celebre per le commedie con Alberto Sordi che per i suoi film di impegno civile scritti con Brancati) amava particolarmente. All'epoca della sua uscita venne sottovalutato. Il film è un riadattamento italiano di un testo teatrale di Gogol, L'ispettore generale, ambientato nel Suditalia fascista (fra Ostuni e Matera con una toccata ad Alberobello). Il finale della pellicola, però, è originale e tinge tutta l'opera di un senso di mestizia e di poesia.
domenica 17 novembre 2024
da facebook
Ogni giorno su questa povera bacheca leggo stupidaggini del tipo che Trump, almeno lui, non ha mai fatto guerre, per questo è sempre meglio degli altri. Nemmeno Andreotti ha mai fatto guerre, eppure… Eppure Trump vi piace, e allora io penso che forse il problema non è Trump, ma siete voi e i motivi per cui vi piace. Leggo quelli che dicono che appoggiano Trump perché amano la pace e odiano una certa sinistra, e non li capisco, non ha senso per me questo aut aut, la trovo una forma di malattia. Credo che per una persona sana sia normalissimo odiare una certa sinistra così come è impossibile appoggiare uno come Trump, per gli identici principi; e penso che non c’è contraddizione più grande di dire di amare la pace e aspettarsela da un uomo così, uno intimamente convinto che le donne siano esseri inferiori, che i migranti siano esseri inferiori da deportare, che chi ha denaro conta di più di chi non ne ha, che l’ambiente e il mondo siano un ostacolo da abbattere invece di una risorsa da coltivare, che l’ignoranza dei popoli e la menzogna vincono sempre sulla verità, sull’informazione e sulla cultura, per quanto scomode e sgradevoli esse possano essere. L’unica vera contraddizione per me è questa, stare sempre a dire di odiare le menzogne del potere e poi sposare la causa dell’ennesimo re nudo, invece che del bambino che lo sbugiarda senza mezzi termini.
venerdì 15 novembre 2024
la libertà
giovedì 14 novembre 2024
raffaello baldini
C’è un mio amico che mi chiama raramente ma quando succede lo fa per un motivo speciale tipo l’ultima volta che gli era nata una figlia mentre oggi era in fila alla cassa del supermercato e anche se ci pensava già da ieri gli è venuta proprio in quel momento con la gente intorno che vociava questa voglia di dirmi che lo devo proprio leggere l’ultimo libro di Paolo Nori nel quale Nori dice che per lui sicuramente il più grande poeta italiano è stato Raffaello Baldini che non scriveva nemmeno in italiano ma scriveva nel dialetto di Santarcangelo e poi traduceva in italiano e Nori lo ha letto spesso sia in dialetto sia in italiano per se stesso e per gli altri e alla fine ci ha scritto questo libro per dire di questo suo amore e il mio amico allora mi ha mandato la foto di due pagine in particolare in cui Nori riporta e commenta una poesia di Baldini che parla appunto di un amore che non nasce a Venezia o Firenze o a Parigi o a Berlino ma sul vagone del treno un po’ prima di Forlimpopoli ed è questo dice Nori che lo rende davvero grande Baldini e cioè che un amore in Baldini possa nascere sul treno un po’ prima di Forlimpopoli ma con una tale delicatezza che a pensarci è la stessa cosa del mio amico che mi chiama con la voce gonfia di entusiasmo per dirmi devi leggerlo questo libro è bellissimo mentre è in fila alla cassa del supermercato.
il fascismo
mercoledì 13 novembre 2024
alcuni galleggiano
Ho letto che Richard Gere dopo la vittoria di Trump ha lasciato gli USA per trasferirsi in Spagna – un po’ come fecero alcuni artisti americani durante il maccartismo – e trovo in un certo senso squallido leggere commenti ironici su questa scelta legati all’appoggio di Gere alle ONG e a determinate politiche umanitarie indirizzate alla salvezza dei migranti. Per alcuni sembra irreale che possa succedere e altri invece mi paiono quasi provare un piacere perverso nel vedere morire la gente in mare. La prendono come uno scherzo, o come una scocciatura di cui farebbero volentieri a meno. Io la vedo più come la riprova che al di là di qualsiasi negazionismo la scienza è una materia esatta e ci conferma che, al contrario degli esseri umani, gli stronzi galleggiano sull’acqua da qualsiasi parte dell’oceano tu li guardi.