lunedì 21 ottobre 2024

gusto

C’è una certa sottile ironia nell’autore che dopo averti mandato quattro proposte editoriali nel giro di due anni si accorge finalmente del fatto che anche tu scrivi poesie. Se lo sapevo, mi dice quasi risentito, non ti mandavo niente. Perché? Perché se scrivi ci hai il tuo gusto, è evidente che non collima col mio. Non lo sfiora nemmeno il pensiero che al di là del mio gusto il suo libro non possa funzionare, perché ormai tutto è gusto, non sostanza, e del resto ogni editore anche se non scrive ha un gusto, o no? Peraltro, gli ho chiesto se ha letto ciò che scrivo e lui mi ha detto sì, non mi è piaciuto.

domenica 20 ottobre 2024

prolificità

Mentre studio per la serata di venerdì di Disimpegno, che sarà in parte dedicata a Bartolo Cattafi attraverso un lavoro a tema del jazzista Gianni Gebbia, mi ritrovo a pensare ai tempi creativi di Cattafi poeta. Artista colmo di furori creativi, Cattafi era uno che preso dall’impeto scriveva 200 poesie in un anno, poi faceva silenzio per otto anni (nel senso che in otto anni non prendeva nemmeno la penna in mano, nemmeno per scrivere una lettera), poi il “tappo saltava” di nuovo e ne scrive altre 400 in dieci mesi, per poi fare silenzio per un altro certo numero di anni. Per molti di noi che scriviamo, cresciuti come siamo nell’ideale della parola “scavata nella carne” (Ungaretti) una simile abitudine è vista con forte diffidenza: 400 poesie in meno di un anno è una roba da dilettanti, senza controllo critico, buttate lì senza scavo emotivo o riflessione alcuna. Eppure Cattafi, che era anche pittore e alternava alla creazione in versi quella per immagini, secondo me applicava i tempi della pittura a quelli della scrittura, ovvero non guardava alla poesia come a una “poesia” ma come a un’impressione che in quel preciso momento si traduceva in parole, ma avrebbe potuto esprimersi anche in linee o impasti di colore. Non conosco nessuno che ha mai trovato scorretto un pittore che produce 400 quadri in meno di un anno, anzi, quella è vista come una forma di salute creativa: quello è un artista prolifico, si dirà, e se ha un mercato venderà molto. Chissà perché, invece, per la poesia si applica un filtro così diverso e stringente. Io ad esempio mi ricordo che c’è stato un periodo della mia vita in cui ero molto più prolifico di adesso, e scrivevo anche tre poesie in un giorno, e cambiavo loro le date perché un po’ mi vergognavo, mi sembrava che tre poesie in giorno fossero indice di un’eccessiva faciloneria.

venerdì 18 ottobre 2024

topa

A pranzo con amica commentiamo il processo a Salvini. A un certo punto amica, che è lesbica, mi confessa che l’avvocato Giulia Bongiorno le fa sangue. – Ma veramente? Con tutto quello che offre la natura... – Mi piace, che ci posso fare? Ho un debole per le persone autoritarie… – Sì, questo lo so, ma qui si va oltre l’autorità… – Non solo le piace la Bongiorno, ma a questo punto si sbottona e mi confessa che pure Giorgia le piace, come donna. – Io non le voglio credere. Ma quella Giorgia lì, dici, o Giorgia la cantante? – Ma va, Giorgia la cantante è simpatica, ma non è autoritaria, non è una che ti sculaccia… – Ma che fantasie c’hai? – Oh, mi piace così. Mica vengo a discutere le tue fantasie, io! Secondo me Giorgia è una gran topa! – Ma sei seria? Giorgia, quella della famiglia tradizionale? – Ma niente da fare, non la smuovo dalle sue convinzioni. Anzi, ne è così convinta che ha chiamato Giorgia pure il suo criceto… – Povero criceto, penso. E povera anche Giorgia. Come si vede la vita è una cosa beffarda, puoi essere il capo di un governo, eppure da “sono una donna” a “sono un criceto” è veramente un attimo.

giovedì 17 ottobre 2024

ammore

Giovanissima autrice partenopea mi contatta su whatsapp per dirmi che vuole pubblicare la sua prima raccolta e vuole sapere come facciamo. – Tu mandami le tue poesie corredate da bio e sinossi, io le leggo, e se mi piacciono le pubblico, se non mi piacciono cercherai un altro editore. – Va bene, ho già tutto pronto, e mi manda la raccolta su whatsapp. –Sono 100 poesie d’amore, mi dice da vera imprenditrice, perché le poesie d’amore si vendono, ma per ora ne ho scritto solo la metà, così ti fai un’idea. Visto che sono molto creativa la copertina l’ho disegnata io e usiamo quella, non si discute! – Apposto. – Apro la raccolta. La prima poesia in rima baciata, che mutua chiaramente il linguaggio della trap, parla dell’avvistamento di un ragazzo che le toglie il fiato, ma se riuscisse a parlare gli direbbe più o meno così: Quando ti vedo io mi bagno tutta, sei più bono di Damiano dei Måneskin, giuro se il coraggio lo trovo che ti prendo e ti rifaccio nuovo.

pacchia

Ieri ho letto 10 proposte editoriali (di cui 3 erano parecchio belle) così ho fatto indigestione di parole e stanotte ho sognato di leggere ancora altre proposte editoriali (me ne mancano 21) e stavo quindi annegando nelle parole quando all'improvviso ricordandomi che dovevo tagliare la barba per fuggire mi sono ritrovato sulla sedia di un barbiere che con la scusa di radermi mi puntava il rasoio alla gola indicideva con la lama nella carne e ridendo mi diceva: è finita la pacchia, adesso si sanguina davvero.

mercoledì 16 ottobre 2024

respiro

Mi pare lo avesse scritto in un post Simone Burratti, ma è vero, lo dico per esperienza, quasi il 90% delle proposte che mi arrivano sono scritte da insegnanti, o comunque persone legate al mondo degli studi e si sente, bene o male si sente, non solo nel vocabolario, ma proprio nel respiro, nell’intonazione, al punto che nella maggior parte dei casi tu leggi le prime righe della raccolta e sai già che quello che scrive è uno che lavora nella scuola: ce ne sono così tanti che dopo un po’ non ci pensi più, l’orecchio si abitua al ronzio generale e abbassa la soglia di attenzione su ciò che è buono o no, perché tanto il suono generale è quello. Poi delle volte arriva qualcosa di inconsueto, tipo la proposta di un operaio o di un bracciante agricolo o di un cameriere o di uno che è stato in prigione, e allora te ne accorgi della differenza, perché c’è molta meno gente che scrive e respira a quel modo e anche se non è detto che sia per forza migliore o che si meriti la pubblicazione, perlomeno senti che è diverso, diventa una boccata d'aria e tu ti senti più completo soltanto nel leggerli. Quando capita mi chiedo che respiro ho io che faccio l’editore, se sono più vicino al professore o all’artigiano, oppure se proprio per quello che faccio c’è qualcosa che mi stacca dal resto, e cosa posso imparare da loro. Per questo penso che tutti dovrebbero scrivere poesie, anche chi fa tutt’altro nella vita, non solo perché ne hanno il diritto, ma proprio perché anche loro sono necessari alla poesia, le danno fiato, le movimentano il respiro.

martedì 15 ottobre 2024

l'avversario

Ieri sera a cena parlavamo di Limonov di Carrère e della Russia in cui aveva cominciato a scrivere poesie, una Russia in cui – come diceva Silvio – un ragazzino di 13 anni e senza i giusti agganci era già condannato, sapeva già che la cosa migliore che gli poteva capitare era diventare un alcolizzato di vodka, oppure se gli riusciva fuggire, e questa visione della Russia era l'unica cosa che Limonov avesse in comune con Brodskij, il suo avverario di sempre, quello che voleva battere a tutti i costi diventando più bravo, più famoso, più grande. Perché in arte, più importanti degli amici sono i rivali, reali o immaginari che siano. Lo dice proprio Limonov, in una intervista del 2014 (tradotta da Davide Brullo e Fabrizia Sabbatini), in cui confessa quanto gli manchi il suo avversario: “C’è stato soltanto un uomo il cui talento letterario era commisurabile al mio – benché diverso e minore del mio. Iosif Brodskij. (…) Mi sento un po’ solo a causa della sua assenza, ho pure scritto una poesia su quanto mi senta solo al mondo senza di lui. Può o meno fa così: Senza Brodskij, la noia mi devasta. (…) Brodskij era un Maestro, abbiamo vissuto una complicata relazione di amore-e-odio. Non gli piaceva il mio primo libro, invidiava alcune pagine di Diario di un fallito. Ho invidiato la sua ode In morte di Zukov. Quando, nel 1998, uscì il mio libro, Anatomia di un eroe, avevo fisicamente bisogno che Brodskij leggesse quel libro. O uno simile a Brodskij. Ma Brodskij giaceva conficcato nel suolo di Venezia. (…) Non era brillante, Iosif, ma era un Maestro, sapeva apprezzare, sapeva sentire. È una rara apparizione, un Maestro, dunque, ora, chi cazzo mi leggerà?”

venerdì 11 ottobre 2024

verso le zone interne

Ascolto in presa diretta Enzo Magistà che su Telenorba dice che, a dispetto dei gufi, i dati del turismo pugliese sono in continua crescita, ma tutti decentrati sulle località di mare e per questo bisogna lavorare per amplificare l’offerta verso l’interno. A me, alle sue parole, vengono in mente due turiste russe che ho incontrato ieri, terrorizzate perché dovevano andare a Ostuni e non capivano dove fosse la fermata giusta, che non era chiara dalla segnaletica, perché se perdevano quella corsa erano a terra, non c’erano alternative. Hanno cominciato a chiedere in giro, anche ai negozi, e non lo sapeva nessuno. Io stesso ho fatto l’errore di mandarle alla fermata sbagliata, quella su via Martina, perché pensavo che il pullman girasse da lì su via Cisternino, come sarebbe ovvio. Invece no, sono state salvate da qualcuno più preparato di me che le ha indirizzate alla fermata per Fasano. Perché – io non ci credevo ma ho controllato sul sito di Trenitalia – l’unico modo oggi per arrivare coi mezzi da Locorotondo a Ostuni – un percorso di circa 20 km che in auto si fa in mezz’ora – è prendere il pullman per Fasano, cambiare a Fasano per Monopoli, poi cambiare a Monopoli e risalire verso Ostuni. Sono due cambi per un tempo stimato di 3 ore e 27 minuti, quasi lo stesso che ci vuole da Bari per arrivare a Roma. Poi parliamo di invogliare le persone a muoversi verso l’interno della regione.

martedì 8 ottobre 2024

ho scelto te

Gentile editore, buongiorno, dopo averti osservato a lungo ho deciso che voglio pubblicare il mio prossimo libro con te, non scherzo, ho scelto proprio te e nessun altro, per cui dimmi quando sei pronto che procediamo. Io sono libero sempre. – Buongiorno a te, quando dici che mi hai osservato a lungo intendi sui social o che sai dove abito? Mi devo preoccupare?

domenica 6 ottobre 2024

l'ultimo desiderio

Guardavo poco fa il video di una intervista a Sergio Negri dove racconta l'ultimo incontro avvenuto fra Cesare Zavattini e Antonio Ligabue. Zavattini non è stato l'unico a interessarsi delle vicende dell'artista, ma è stato quello che più di tutti è riuscito a trasformare Ligabue da mezzo artista matto di provincia a fenomeno italiano, artista riconosciuto e conosciuto dall'Italia intera, per cui la parola "matto" diventa qualificativa e non dispregiativa, e ci riuscì Zavattini scrivendo su di lui un libro in versi che poi venne adattato a sceneggiato televisivo per la Rai con Flavio Bucci protagonista. Quando la poesia non era ancora estranea alla televisione e potevano ancora succedere di questi miracoli. Nell'ultimo loro incontro, racconta Negri, Zavattini commosso chiese a Ligabue, agonizzante in ospedale, cosa avrebbe potuto fare per lui, che cosa desiderasse, e Ligabue gli rispose così: "un piatto di pastasciutta", ciò che gli era mancato per quasi tutta la sua vita. L'ultimo desiderio di Ligabue. Ascontando questo aneddoto ho pensato che delle volte basta così poco per essere felici, un piatto caldo, qualcuno che te lo cucina con amore, ma soprattutto qualcuno che ti chiede: "hai mangiato?", che come scriveva Tonino Guerra nel suo ultimo libro è la domanda delle domande, la prima che gli aveva fatto suo padre quando l'aveva visto ritornare a casa dai campi di concentramento in Germania.

sabato 5 ottobre 2024

filosofia di vita

La mia povera filosofia di vita non ha super pensieri da offrire, è tutta fatta di poesia. Più vado avanti nel tempo e più comincio a sentire come l’idea di paesologia, che pure ho sentito mia, intesa come immersione poetica nella vita dei paesi, nei suoi vuoti e pieni, nella riscoperta e riappropriazione dei piccoli centri con tutto il loro carico di dignità e tragedia, sia stata in parte superata dall’idea di umanesimo vegetale (come definito da Angiuli), che sposta l’uomo e i suoi bisogni da lato, fuori dal centro, per dare nuovo respiro alla terra, alla natura. Sono entrambe validissime possibilità di lotta contro il mostro consumistico che si sta mangiando tutto, pure i nostri piedi. Ma forse, o almeno me ne sto sempre più convincendo, dovremmo cominciare a lasciare la presa. Anche qui dove tutto sembra lentamente morire. Così forse le zone abbandonate del nostro Paese non vanno ripopolate, ma solo lasciate andare, sgomberate dalla nostra presenza, lasciate in pace nell'idea che forse non ci vogliono, che non hanno affatto bisogno di noi, e che quando non ci saremo più noi, ci sarà comunque qualcos’altro. Perché ogni volta – e questa è una delle poche cose certe che sappiamo – eliminato l’uomo resta la natura che si riprende tutto cancellando pian piano le tracce del nostro passaggio. Lasciare andare il mondo a se stesso allora, cercando di non dare troppo fastidio, questa è la mia idea di vita oggi. Starmene da lato ad osservarlo. Se pensiamo al pianeta come qualcosa che vive anche senza di noi, è abbastanza funzionale, almeno agli interessi del pianeta. Basta guardare i segni, imparare a leggerli. Nelle mie zone, ad esempio, man mano che i giovani vanno via e la popolazione invecchia, stanno pian piano ritornando i lupi, che erano stati completamente estinti nel XVII secolo. Per qualcuno questa è una sciagura e per qualcun altro un segno.

venerdì 4 ottobre 2024

cristina

Autore che mi ha appena inviato la sua raccolta mi chiama per sollecitarmi alla lettura e al telefono mi decanta non l’intima bellezza dei suoi versi, ma la prefazione di Cristina, della quale mi parla con un tale atteggiamento ossequioso che sulle prime mi viene da chiedergli: ma chi, la Vivinetto? – No, no, lei non la conosce. – Gli dico che in genere in casa editrice avversiamo le prefazioni, al massimo se hanno un senso per l’opera le spostiamo alla fine, come postfazione, ma mai, mai prima del testo. – Lo sento agitarsi dall’altra parte. Per favore, non lo faccia, non lo dica nemmeno per scherzo. La prefazione va davanti per forza! Non lo immagina nemmeno in che guaio mi caccia se la mette dopo! – Ma perché, scusi? Cristina è la sua compagna? – Abbassa la voce per dare gravità alla cosa. Cristina è mia moglie. – Ah, cacchio! – Sì, mi ha spinto lei a chiamarla, mi ha fatto pure l’editing! – Ah, chiaro, ho capito. Senta, io non la invidio proprio, ma non la posso aiutare. Per me fa prima a rivolgersi a un’altra casa editrice, ce ne sono tantissime in giro fra cui scegliere. – E come facciamo con la raccolta che le ho inviato? Non è che la legge? – Ma scherza! La cancello senza nemmeno aprirla! – In questo modo chiudiamo la telefonata. Dopodiché, visto che la curiosità è più forte della parola data, prima di cestinarla do un’occhiata alla raccolta, dedicata a C., di cui ogni verso è scritto per/da/con l’onnipresente Cristina. E in effetti sì, la prefazione è meglio.

mercoledì 2 ottobre 2024

lattughe

Se il 2 ottobre di soli 5 anni fa mi avessero detto che un giorno avrei trovato più divertente piantare le lattughe nell'orto che pensare ai libri miei e degli altri non ci avrei creduto, o mi sarei rifiutato di crederci. In compenso là fuori sta scoppiando l'ennesima guerra e rifacendo mio il pensiero della Cavalli le mie lattughe non salveranno il mondo, esattamente come le mie poesie. Così non so più dire, ormai, se la mia sia stata una vittoria, oppure una sconfitta.

l'illustratore

Giovane illustratore molto bravo ma con ego ipertrofico si propone col suo portfolio e mi dice: Con un piccolo sovrapprezzo sono anche disponibile a correggere i testi che devo illustrare per abbinarli meglio ai miei disegni. – Cioè? – Dai, lo sappiamo tutti che la gente compra i libri per i disegni, mica per leggere i testi. Quindi mi sento lo scrupolo, se posso migliorare il libro, di dare un’aggiustata al testo quando non mi convince. – E io ti devo pagare per mettere le mani sul testo di un altro? – Bello, il lavoro si paga! E poi vedi come si vende il libro! – Oggi è stata la prima volta in vita mia che ho pensato: Menomale che sta arrivando l’AI.

martedì 1 ottobre 2024

made in heaven

MADE IN HEAVEN (1987) di Adam Rudolph, con Timothy Hutton e Kelly McGillis è uno di quei film adorabili, romanticamente e disperatamente anni 80 – con una colonna sonora tutta fiati e sintetizzatori guidata da un pezzo rock malinconico scritto appositamente da Neil Young, “We never danced” – che tanti di noi cresciuti negli anni 90, quando ancora lo replicavano in TV a orari improponibili hanno amato. Di cosa parla? Di due anime, lui appena morto e lei in procinto di nascere, che si incontrano, si innamorano e si sposano in Paradiso. Quando lei lo lascia per seguire il proprio destino, lui disperato fa un patto con un angelo e la insegue sulla Terra rinascendo a sua volta. La loro vicenda diventa allora quella di due anime gemelle che, senza più avere memoria di quel legame celeste, non fanno che rincorrersi per tutta la vita perché solo ritrovandosi l’un l’altra potranno essere completi e felici. Mi diceva Paolo Vites che come me adora quel film, che in origine i due non avrebbero dovuto incontrarsi condannandosi all’infelicità. Invece, per una volta con ragione, la produzione si impose e si decise di dare loro una possibilità quando, in una scena splendida che recupera e ribalta il mito eterno di Orfeo ed Euridice, lei lo rincorre nel traffico, lui si volta, ma per una volta fissandola non la perde, “Va tutto bene – dice la voce del suo angelo – ti ha trovato lei”. 


lunedì 30 settembre 2024

rimpianto

Il rimpianto di non essere più negli anni d'oro del cinema italiano diventa un pochino più forte oggi che Giuli prima diventa ministro della Cultura e poi fa l'ultimo esame universitario per laurearsi. Che cosa ne avrebbero fatto di una storia così Dino Risi, Comencini o Monicelli possiamo soltanto immaginarlo.


 

domenica 29 settembre 2024

tulip

TULIP, di Dashiell Hammett, è il suo ultimo postumo romanzo, incompiuto, pubblicato nel 1966 a cinque anni dalla morte. Ha qualcosa di certe storie di Hemingway, impostato come un lungo dialogo fra lo stesso Hammett, ormai stanco della vita, e un vecchio “compagno” di guerra. Nella sua non finitezza, invece di essere monco, ha la particolarità di avere due possibili finali, lasciati aperti, fra i quali Hammett non ebbe il modo, il tempo o la forza di scegliere. Uno era meno conciliante e finiva molto male. L’altro, che mi piace di più, si chiudeva con questa battuta: “If you are tired you ought to rest, I think, and not try to fool yourself and your customers with colored bubbles”, ovvero “Se sei stanco dovresti riposare, credo, e non cercare di ingannare te stesso e i tuoi clienti con bolle colorate”. Certi giorni la sento molto mia.

la recesione

Ieri leggevo una recensione a “Io capitano” di Matteo Garrone, scritta da una insegnante che diceva – basandosi su ciò che aveva visto, ma senza aver capito nulla del film – come fosse rimasta delusa perché l’opera si concentrava unicamente sul viaggio in Africa dei due ragazzi e non mostrava mai quanto siamo orribili e crudeli noi europei verso di loro, quasi che Garrone volesse mostrare che gli unici cattivi sono gli africani e non avesse il coraggio di ammettere che i veri mostri siamo noi. L’ho trovato un commento talmente sbagliato nei suoi preconcetti da creare quasi una sorta di razzismo rovesciato, per cui nell’ansia di affibbiarsi tutte le responsabilità del problema si tende quasi a edulcorare le molte colpe dei tanti stati e criminali africani che sulle loro migrazioni interne lucrano con una crudeltà inaudita, fino a dividere ancora una volta il mondo in un “noi” (i cattivi) e “loro” (le vittime) rovesciando solo le parti rispetto alla visione di certa destra europea (che vorrebbe fare di noi le povere vittime innocenti), ma proprio come la destra costruendo un discorso su basi molto schematiche e grossolane, per nulla inclusive, per nulla protese alla semplicissima idea che siamo prima di tutto umani e in quanto umani i buoni e cattivi non si distinguono dal colore della pelle o dal continente di provenienza ma dalle azioni. L’ho trovato talmente sbagliato come commento che mi ha spaventato l’idea che questa persona insegnasse in una scuola, a dei ragazzi, mossa dalle migliori intenzioni, ma dicendo loro: pentitevi perché in quanto nati da questa parte del mondo siete già mostri alla radice. Chissà quanti la pensano come lei.

sabato 28 settembre 2024

per gino

La settimana è cominciata con la morte di Gegè ed è finita con quella di Gino. Ho letto i ricordi di tanti oggi, ognuno che lo lega a un particolare periodo della sua vita: gli anni in radio, oppure al lavoro come centralinista in ospedale, o prima ancora quando negli anni ’70 suonava le tastiere in un gruppo pop incidendo un 45 giri di successo che gli aveva procurato l’attenzione di un bel po’ di ragazze e una lunga serie di avventure erotiche che qui non si possono dire, ma mi aveva raccontato lui stesso con grande divertimento durante gli anni del mio servizio civile da obiettore di coscienza, quando si sedeva con me durante le mie ore di turno, stringendo nervosamente le mani intorno al ginocchio e fumando una sigaretta dietro l’altra, oppure facendole scattare all’improvviso con un ghigno e puntandomi il dito sottile sotto il naso quando voleva prendermi di sorpresa se mi vinceva la sonnolenza. È stato allora che l’ho conosciuto, nei pomeriggi afosi dell’estate 2003, quando Gino mi insegnò cosa significasse accompagnare un cieco, prenderne il passo, ovvero adeguarsi a una velocità comune di modo che l’altro camminasse 𝘤𝘰𝘯 te, seguendo il tuo passo, fidandosi di ciò che vedevi tu anche per lui; prendere quel certo passo che dice “fidati di me”, sembrava una cosa facile ma era una bella responsabilità, prendere quel passo e procedere rilassati, senza che ti si irrigidisca il braccio per quella pressione gentile o irritata a seconda dell’umore, stando attenti alle scale, ai marciapiedi, alle buche, ai gradini, al traffico, alle merde dei cani, senza cambiare marcia, senza accelerare o strattonarlo in avanti come si fa a volte coi cani o coi bambini, con la delicatezza di chi vede l’altro che si tiene a te. Era facile dimenticarsi di lui, perché era minuto, sottilissimo, leggero, aveva le mani delicate da pianista e il passo baldanzoso di chi si è sempre fatto strada da solo al buio, preceduto da tutta una serie di magnifici e buffi esclamativi, “Yooooh!”. Aveva una sua malinconia che si esprimeva in lunghi silenzi, in lunghe giornate di apatia passate a letto, in plateali scatti d’ira che assomigliavano ai capricci di un bambino quando lasciava la stanza sbattendo la porta. Era leggero anche oggi nella cassa, non lo vedevo da anni, troppo minuto nel suo vestito elegante che pure gli donava, le mani posate con delicatezza l'una sull'altra, i capelli tirati morbidamente indietro, gli occhiali scuri sul naso: gli occhiali che lo avevano accompagnato per tutta la vita come un accessorio necessario e che adesso, che più non gli servivano, gli davano un’aria molto cool nella morte, da vera star, come quand’era ragazzo. Stavo seduto davanti a lui e dall’altra parte della cassa stava seduta una coppia, entrambi commossi, lui ha tirato fuori dalle tasche due fazzoletti, uno per sé e uno per la sua compagna, poi lui ha chiesto “sei pronta?” e quando lei ha detto sì, hanno cominciato a piangere insieme.

mercoledì 25 settembre 2024

simpatia

Gentile Antonio Lillo, le scrivo per dirle che ho seguito il suo consiglio e ho inviato la mia raccolta anche ad altre case editrici. L’ho mandata a: [segue elenco di circa 50 case editrici], mi dica per favore se ne ho scordata qualcuna di quelle che contano che l’aggiungo all'elenco. Sappia che anche se mi ha detto di no lei finora è quello più simpatico, per cui se ci ripensa per favore me lo scriva e io rinuncio subito a tutte le altre e pubblico immediatamente con lei.