Guardavo
poco fa il video di una intervista a Sergio Negri dove racconta
l'ultimo incontro avvenuto fra Cesare Zavattini e Antonio Ligabue.
Zavattini non è stato l'unico a interessarsi delle vicende dell'artista,
ma è stato quello che più di tutti è riuscito a trasformare Ligabue da
mezzo artista matto di provincia a fenomeno italiano, artista
riconosciuto e conosciuto dall'Italia intera, per cui la parola "matto"
diventa qualificativa e non dispregiativa, e ci riuscì Zavattini
scrivendo su di lui un libro in versi che poi venne adattato a
sceneggiato televisivo per la Rai con Flavio Bucci protagonista. Quando
la poesia non era ancora estranea alla televisione e potevano ancora
succedere di questi miracoli. Nell'ultimo loro incontro, racconta Negri,
Zavattini commosso chiese a Ligabue, agonizzante in ospedale, cosa
avrebbe potuto fare per lui, che cosa desiderasse, e Ligabue gli rispose
così: "un piatto di pastasciutta", ciò che gli era mancato per quasi
tutta la sua vita. L'ultimo desiderio di Ligabue. Ascontando questo
aneddoto ho pensato che delle volte basta così poco per essere felici,
un piatto caldo, qualcuno che te lo cucina con amore, ma soprattutto
qualcuno che ti chiede: "hai mangiato?", che come scriveva Tonino Guerra
nel suo ultimo libro è la domanda delle domande, la prima che gli aveva
fatto suo padre quando l'aveva visto ritornare a casa dai campi di
concentramento in Germania.
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