La mia povera filosofia di vita non ha super pensieri da offrire, è tutta fatta di poesia. Più vado avanti nel tempo e più comincio a sentire come l’idea di paesologia, che pure ho sentito mia, intesa come immersione poetica nella vita dei paesi, nei suoi vuoti e pieni, nella riscoperta e riappropriazione dei piccoli centri con tutto il loro carico di dignità e tragedia, sia stata in parte superata dall’idea di umanesimo vegetale (come definito da Angiuli), che sposta l’uomo e i suoi bisogni da lato, fuori dal centro, per dare nuovo respiro alla terra, alla natura. Sono entrambe validissime possibilità di lotta contro il mostro consumistico che si sta mangiando tutto, pure i nostri piedi. Ma forse, o almeno me ne sto sempre più convincendo, dovremmo cominciare a lasciare la presa. Anche qui dove tutto sembra lentamente morire. Così forse le zone abbandonate del nostro Paese non vanno ripopolate, ma solo lasciate andare, sgomberate dalla nostra presenza, lasciate in pace nell'idea che forse non ci vogliono, che non hanno affatto bisogno di noi, e che quando non ci saremo più noi, ci sarà comunque qualcos’altro. Perché ogni volta – e questa è una delle poche cose certe che sappiamo – eliminato l’uomo resta la natura che si riprende tutto cancellando pian piano le tracce del nostro passaggio. Lasciare andare il mondo a se stesso allora, cercando di non dare troppo fastidio, questa è la mia idea di vita oggi. Starmene da lato ad osservarlo. Se pensiamo al pianeta come qualcosa che vive anche senza di noi, è abbastanza funzionale, almeno agli interessi del pianeta. Basta guardare i segni, imparare a leggerli. Nelle mie zone, ad esempio, man mano che i giovani vanno via e la popolazione invecchia, stanno pian piano ritornando i lupi, che erano stati completamente estinti nel XVII secolo. Per qualcuno questa è una sciagura e per qualcun altro un segno.
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