Mi pare lo avesse scritto in un post Simone Burratti, ma è vero, lo dico per esperienza, quasi il 90% delle proposte che mi arrivano sono scritte da insegnanti, o comunque persone legate al mondo degli studi e si sente, bene o male si sente, non solo nel vocabolario, ma proprio nel respiro, nell’intonazione, al punto che nella maggior parte dei casi tu leggi le prime righe della raccolta e sai già che quello che scrive è uno che lavora nella scuola: ce ne sono così tanti che dopo un po’ non ci pensi più, l’orecchio si abitua al ronzio generale e abbassa la soglia di attenzione su ciò che è buono o no, perché tanto il suono generale è quello. Poi delle volte arriva qualcosa di inconsueto, tipo la proposta di un operaio o di un bracciante agricolo o di un cameriere o di uno che è stato in prigione, e allora te ne accorgi della differenza, perché c’è molta meno gente che scrive e respira a quel modo e anche se non è detto che sia per forza migliore o che si meriti la pubblicazione, perlomeno senti che è diverso, diventa una boccata d'aria e tu ti senti più completo soltanto nel leggerli. Quando capita mi chiedo che respiro ho io che faccio l’editore, se sono più vicino al professore o all’artigiano, oppure se proprio per quello che faccio c’è qualcosa che mi stacca dal resto, e cosa posso imparare da loro. Per questo penso che tutti dovrebbero scrivere poesie, anche chi fa tutt’altro nella vita, non solo perché ne hanno il diritto, ma proprio perché anche loro sono necessari alla poesia, le danno fiato, le movimentano il respiro.
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