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mercoledì 27 novembre 2024

cercando sergio garufi

Ieri – per quella strana forza che si chiama destino – un amico che non sentivo da un po’ mi scrive per chiedermi se Sergio Garufi fosse morto. Io preso dal panico scrivo un messaggio a Garufi per chiedergli se sta bene. Garufi mi risponde che sta bene – è solo che gli hanno hackerato il profilo Fb e ora tutti gli scrivono messaggi del tipo “Manchi” oppure “Vorrei che fossi qui” che possono ingannare chi non sa, ma Sergio ha scelto di prendere la palla al balzo e invece di farsi un nuovo profilo ha rinunciato ai social. Così gli ho scritto e lui mi ha annunciato che proprio ieri sono usciti due suoi racconti su due diversi libri che ne attestano la buona salute. Uno sta su un libro sul cinema a Milano. L’altro è dedicato alla figura del filosofo Dario Generali e parla del suo rapporto di amicizia con lui, nato quando Generali divenne suo professore al liceo: uno di quei rapporti – nonostante la differenza d’età – profondi, solidi, antichi, che sembrano usciti da un romanzo di Giorgio Bassani, così inusuali oggi in puro clima di svuotamento e contestazione della figura professorale. Generali, spiega Garufi, non mi ha dato soltanto un metodo di lettura e di analisi che poi ho applicato per tutta la vita nei miei scritti, ma mi ha dato anche dei ricordi che sono legati a dei luoghi, a dei discorsi, a delle canzoni. Così Sergio, legando quel rapporto a un tempo e a una canzone che cantavano spesso nei loro giri in auto, “E ti vengo a cercare” di Battiato, fa un paragone con le modalità di amicizia attuali. Oggi, tramite i social, ci si tiene in contatto istantaneamente col telefono, si sta fermi in un punto, il nostro centro, e si scrive all’altro dal proprio centro richiamandolo a sé, come due fari che si guardano attraverso il mare. Ma una volta, prima dei social e degli smartphone, dice Sergio, se volevi arrivare a qualcuno, nell’incertezza della sua presenza, dovevi per forza andarlo a cercare, chiedere di lui, muoverti verso di lui, anche solo per andare a fischiare sotto la sua finestra, o sedersi su un muretto aspettando che passasse, e quel movimento, la sua intensità e durata, misuravano il tuo affetto, il tuo bisogno dell’altro. Allo stesso modo dello scrivere a/di una persona, che è un po’ come muoversi interiormente verso di lei, fare uno sforzo di memoria per rimettere insieme dei pezzi, dare la misura del proprio affetto attraverso la logica di un discorso in uno spazio che è quello del cuore. E questo perché, conclude Sergio, gli amici e gli scrittori, o gli amori, che più contano nelle nostre vite, non sono soltanto quelli che più frequentiamo, ma soprattutto quelli che, in un modo o nell’altro, non smettiamo mai di cercare.

martedì 1 ottobre 2024

made in heaven

MADE IN HEAVEN (1987) di Adam Rudolph, con Timothy Hutton e Kelly McGillis è uno di quei film adorabili, romanticamente e disperatamente anni 80 – con una colonna sonora tutta fiati e sintetizzatori guidata da un pezzo rock malinconico scritto appositamente da Neil Young, “We never danced” – che tanti di noi cresciuti negli anni 90, quando ancora lo replicavano in TV a orari improponibili hanno amato. Di cosa parla? Di due anime, lui appena morto e lei in procinto di nascere, che si incontrano, si innamorano e si sposano in Paradiso. Quando lei lo lascia per seguire il proprio destino, lui disperato fa un patto con un angelo e la insegue sulla Terra rinascendo a sua volta. La loro vicenda diventa allora quella di due anime gemelle che, senza più avere memoria di quel legame celeste, non fanno che rincorrersi per tutta la vita perché solo ritrovandosi l’un l’altra potranno essere completi e felici. Mi diceva Paolo Vites che come me adora quel film, che in origine i due non avrebbero dovuto incontrarsi condannandosi all’infelicità. Invece, per una volta con ragione, la produzione si impose e si decise di dare loro una possibilità quando, in una scena splendida che recupera e ribalta il mito eterno di Orfeo ed Euridice, lei lo rincorre nel traffico, lui si volta, ma per una volta fissandola non la perde, “Va tutto bene – dice la voce del suo angelo – ti ha trovato lei”. 


domenica 21 aprile 2024

uno

Ho appena letto che secondo una ricerca dell'Istat i pugliesi sono la popolazione più triste d'Italia, quella con meno soddisfazione nel presente e fiducia nel futuro. Uno su dieci si dichiara infelice. Uno, ovviamente, sono io.

lunedì 18 ottobre 2021

cos'altro ho imparato sui vaccini (il piccolo fascista che c'è in noi)

Parlo ovviamente per me, sono fra quelli che credeva che per sviluppare un vaccino ci avrebbero messo molti anni perché sono cresciuto in una storia dove, per perfezionare una medicina, servono centinaia di prove ed esperimenti. Invece, pare, la scienza moderna ha velocizzato tutto e ha reso ogni cosa più rapida ed efficace. È proprio con questa consapevolezza che, nella mia colpevole ingenuità, ho appreso che il vaccino contro la malaria, ad esempio, avrebbe potuto svilupparsi molti anni prima, salvando milioni di vite, ma questo non è stato fatto perché i paesi dove si diffonde la malaria sono considerati paesi di serie b abitati da persone di serie b, e non si è investito in quella ricerca. Di fronte a questa consapevolezza provo da giorni una profonda vergogna. Quando arriva una Greta a cui chiedono come fare per salvare il mondo e lei ti dice: fermate tutto e ricominciate da capo, molto sorridono per questa sua intransigenza. Ma a me la storia dei vaccini contro la malaria ha soltanto reso palese che fondamentalmente ha ragione lei, che in barba a tutte le mie belle idee sulla scienza sperimentale, se solo si fosse voluto salvare quelle persone e sviluppare un vaccino contro la malaria, si sarebbe potuto farlo, avevamo i mezzi per farlo, e questo non ce lo dice Greta, ce lo dicono i giornali che pure sono al servizio del sistema. Semplicemente si sono messi sul piatto della bilancia i costi di produzione della medicina necessaria e la vita di tutte quelle milioni di persone di serie b, e si è scelto di tenersi i soldi in tasca. I più cinici di noi diranno che non c’è da stupirsi, è un meccanismo vecchio come il cucco. Ma io, che avrei potuto studiare un po’ di più, informarmi un po’ meglio, invece di scrivere post amareggiati come questo, o saccenti o ironici, invece di scendere in piazza contro il vaccino o per il vaccino, con la destra o con la sinistra, dovrei scendere in piazza per loro, per pretendere che si investano fondi contro la malaria e le decine di malattie mortali che affliggono paesi che magari non c’entrano nulla col mio, lì dove non si fa la storia, dove tutto ciò che posso dare non mi torna indietro. Altro che terza dose ai più deboli. Sono loro i più deboli qui! Ma questo non lo farà quasi nessuno, nemmeno io, perché dobbiamo ammettere che anche per noi quelli che muoiono di malaria vengono un pochino dopo, è gente di serie b che vive in paesi di serie b, e allora ha ragione chi ha intitolato la strada dietro casa mia a Julius Evola, un po’ fascisti nei fatti più che nelle parole lo siamo anche noi.

sabato 15 aprile 2017

meraviglia del mattino

Fra tutti i dischi di Bob Dylan New Morning è quello che più di tutti parla della fine di qualcosa, di cosa ti succede quando senti che qualcosa si chiude per sempre alle tue spalle e tu ti guardi intorno incerto, pieno di ansie e con alcune speranze, chiedendoti in quale direzione devi andare adesso e se sarai in grado di arrivarci. In questo senso, nella loro dichiarata fragilità, nella loro elusività, nella loro pensierosa leggerezza, nel loro spalancarsi in un ambiente emotivo più grande delle canzoni stesse che disegneranno una volta ultimate, e che Dylan voleva fossero appunto il più discrete possibili, le outtakes del disco, i suoi bozzetti alla ricerca di uno stile che fosse minimale e anonimo, cioè di tutti, sono una meraviglia senza fine.

 

venerdì 6 gennaio 2017

si fermi se può

Ho smesso di cercare. Mi faccio cercare. Ecco: voglio essere una cosa che si cerca. So che mi stanno cercando delle cose o magari anche delle persone. Se lei continua a cercare, non so cosa finirà per trovare. Si fermi se può in qualsiasi punto. Anche in piedi, in mezzo a una piazza o seduto magari a un tavolino di un caffè. E aspetti. Io, per esempio, sto guardando il mare e già ho avuto risultati meravigliosi. 

[Tonino Guerra, L'uomo parallelo]

domenica 18 dicembre 2016

spoiler di guerra

Ho letto un libro bello, di forte sapore onirico, I cento uccelli di Tonino Guerra. È diviso in tre parti ben distinte, brevissime, dalle atmosfere rarefatte, ma assai raffinato nella struttura. Nella prima parte un uomo si aggira alla ricerca della moglie scomparsa per una Roma lussureggiante e africana (molto simile per certi aspetti a quella della Grande Bellezza di Sorrentino), prima in compagnia di una donna, poi di altri strani personaggi, fino a scordarsi egli stesso della moglie (che vi ricorda? A me L’avventura di Antonioni, di cui Guerra fu uno degli sceneggiatori). Alla fine della prima parte l’uomo ritrova la moglie che però, anche se identica, non gli pare più la stessa donna che aveva sposato, fa l’amore con lei ma non la riconosce, addirittura sospetta abbia una seconda vita. La donna scompare di nuovo, senza troppo rumore. Nella seconda parte del romanzo l’uomo decide di allontanarsi da Roma per recarsi nel suo luogo di origine, un paesino del centro Italia devastato dal terremoto, in cui comincia a convivere con un vecchio pazzo che gli ricorda suo padre, un mendicante sopravvissuto al crollo che si aggira fra le macerie come un primitivo, e che assiste nelle ultime ore fino a ritrovare nella sua morte una sorta di epifania che trasformerà anche lui in una nuova persona. Nell’ultima parte del romanzo c’è uno slittamento del punto di vista. Parla un investigatore privato (che a me ha fatto pensare tantissimo al protagonista di Pulp di Bukowski con qualcosa del Gorilla di Dazieri) che rivela come l’uomo lo paghi fin dall’inizio per farsi seguire, in quanto ha paura di scomparire perdendosi nei meandri della propria mente. L’investigatore lo tiene d’occhio, registrando persino gli incontri casuali o finto casuali con questa donna che non si capisce se sia sua moglie o meno, fino ad assistere alla morte apparente dell’uomo. Il tutto in un libriccino lungo circa 80 pagine che ci rammentano di un Tonino Guerra romano, di quando ancora scriveva per il cinema e il periodo rurale di “l’ottimismo è il profumo della vita” era cosa lontanissima. Prefazione di Italo Calvino. Ve l’ho raccontato tutto, facendone lo spoiler, perché dubito che qualcuno a parte me se lo compri, e almeno così sapete che questo libro è esistito.

giovedì 12 febbraio 2015

cercarsela

Stavo leggendo alcuni vecchi articoli sulla morte di Pasolini, alcuni di eminenti critici e letterati del nostro paese che ipotizzano come, tutto sommato, quella sua morte lì Pasolini “un po’ se l’era cercata”, tanto che poi non si è più cercato nemmeno i colpevoli. Quella frase, “se l’era cercata”, mi ha fatto tanto pensare ad analoghe formule, tutte uguali, sentite negli ultimi mesi: per le ragazze a cui si è pagato il riscatto, che un po’ se l’erano cercata, o per i fumettisti francesi a cui hanno sparato ma che se l’erano cercata, per Stefano Cucchi e per tanti altri poverini che non dico ma se la sono cercata. E mi viene da dire che invece, secondo me, l’unica cosa che una persona va davvero cercando nella vita è la felicità, e non è nemmeno detto che la trovi. Ma penso anche che tutto questo rientra in quella parola che Pasolini usava spesso per indicare certi atteggiamenti comuni: “moralismo”, l’attitudine che abbiamo un po’ tutti a dire agli altri come gira il mondo, cioè alla nostra maniera che spesso, per una serie di casi, diventa la maniera di tanti. Se tu non giri come vogliono i tanti, e alla loro velocità, te la stai già cercando; se pesti loro i piedi te la stai cercando; se quando lo fai ti va bene allora hai talento, oppure fortuna (o chissà che hai combinato sottobanco, perché, come diceva Andreotti, “a pensar male ecc.”); ma quant’è vero Dio, se cadi a terra mentre lo fai, allora te la sei proprio cercata, e la pietà, o il perdono, è meglio se te li vai a cercare altrove.

sabato 29 marzo 2014

in cerca di pinuccio simone

Da mesi sto lavorando al libro postumo di un poeta. In vita, quest’uomo dai mille problemi, ha pubblicato un solo libro e molte cose sono rimaste nascoste nei cassetti, alcune strambe altre bellissime.
L’ho inseguito a lungo mentre continuava a sfuggirmi, come se non volesse farsi trovare. E più lo inseguivo più le storie che sentivo raccontare di lui mi irretivano. Un uomo matto e libero, di mente e di cuore. Ho cominciato lo scorso autunno, mi sono messo sulle tracce prima dei suoi amici, poi del personale medico che lo assisteva, poi della sua famiglia per chiedere loro il permesso di pubblicarlo. Mesi di ricerche solo per parlare con sua madre.
All’inizio, sentendola al telefono, non voleva farne nulla, non si fidava, mi diceva di aver buttato via tutto ciò che aveva di lui, e che lasciassi perdere. Dopo una seconda, e poi una terza telefonata, ieri sono stato a trovarla. Ho parlato con lei che ha i suoi stessi occhi azzurri, le ho raccontato un po’ di me e lei mi ha raccontato un po’ di lui, di quando è morto, di come giocasse bene a calcio, dell’ultima donna amata e che invece di lui non ne voleva sapere. Mi ha passato un pacco alto circa trenta centimetri di fogli dattiloscritti, manoscritti, appunti, pensieri, poesie, racconti, disegni, tracce insomma di quell’uomo da cui attingere per il libro. L’intera sua vita e il suo pensiero racchiusi lì fra le mie mani. Sua madre mi ha dato le sue carte, mai gettate in realtà, l’unico vero ricordo che le resta di lui, un atto di fiducia enorme verso un perfetto sconosciuto, e mi ha detto: “Tieni, ora fai tu e fai piovere!”
Fuori per l'appunto pioveva, l’ho preso come un segno fortunato del destino. Ierisera sono riuscito a dare un’occhiata come si deve a quelle carte. Mentre le sfogliavo ho ritrovato il manoscritto originale di una sua poesia che ho amato tanto, bellissima, dolcissima, una poesia d’amore di una perfezione assoluta, persino nella sua svagata follia. La poesia era scarabocchiata su un vecchio foglio ingiallito e macchiato di caffè, e passandoci la mano sopra sentivi ancora il solco scavato nella carta dalla penna. È stato come toccargli il costato ferito. Un atto di lunga fede ripagato, finalmente, dalla sua presenza.

sabato 14 settembre 2013

out on the weekend



Probabilmente non mi abituerò mai a sentire Neil Young che presenta Old Man come il suo "nuovo pezzo", ma alla fine che importa, è bella musica, che accarezza la pelle e che pubblico per un buon motivo che voglio condividere con voi. I più attenti dei miei amici si saranno accorti che sono stato "fuori" per un breve periodo, diciamo il tempo di un lungo weekend di distrazione dal mio blog o, come lo avrebbe chiamato John Lennon, un weekend perduto. Pubblicavo, ma pensando ad altro. Ora ho intenzione di tornarci più spesso, e di rimetterci il cuore (quello e fare un po' di sport sono i miei buoni propositi per l'inverno). Alla fine qui ci sto proprio bene, meglio che in qualsiasi altro posto. Questa è casa mia.

domenica 2 dicembre 2012

per anguilla

Nel silenzio del mio bagno nel labirinto
delle mie stanze
dove il sole arriva ultimo al tramonto
mi aggiro cercando la tua impronta
la traccia del possibile passaggio
la tua scarpa bassa dimenticata
in un angolo o il sorriso impresso
indelebile nell’acqua.

Potrei affondare per miglia nella vasca
e lavarmi mille volte il corpo
e mai perdere l’ombra di te piccola
nascosta nella curva delle dita

confidare nel Poeta e credere
al potere del tuo fiuto che tu sappia
indirizzare la vita e mai perderci.
Se non fosse che sfuggirmi è la regola
l’unico tuo modo di amare

e questa casa senza te non ha eco.

lunedì 9 agosto 2010

accadde in paradiso

Made in Heaven, ero un adolescente quando vidi questo film per la prima volta. E, come tutti gli adolescenti stupidamente romantici di questo mondo, rimasi incantato dalla promessa d’amore eterno, di un legame più forte della vita stessa e quasi simile al destino che questa bellissima storia prometteva. Anzi, in un certo modo sono quasi convinto, visto il modo in cui me lo sento ancora dentro, che tale film mi abbia in qualche modo fregato, o illuso, che là fuori, da qualche parte c’è la mia anima gemella ad aspettarmi e l’amore non sarà perfetto se non con lei. Idee molto pericolose da gestire, perché ad abusarne si finisce per rimanere soli.
A raccontare a parole di cosa parla Made in Heaven, perde molto del suo fascino. È più un film di immagini lievi e sfuggenti, di stati d’animo puri, molto on the road se vogliamo, nel senso propriamente beat di ricerca di se stessi come unica via per la felicità. Gli attori sono Timothy Atton e Kelly McGillis, giovanissimi, che interpretano due anime che si conoscono, si innamorano e si sposano in Cielo, prima che lei venga spedita sulla terra a vivere la propria vita terrena. Incapace di stare lontano dalla propria sposa, anche lui farà una sorta di patto con un angelo secondo il quale potrà scendere sulla terra a cercarla ma, una volta rinati, nessuno dei due ricorderà dell’altro e la loro dovrà essere una ricerca del cuore, basata solamente sull’istinto e sul bisogno dell’altro. Alla fine, come in ogni love story che si rispetti, l’amore vincerà e i due si ritroveranno, per strada, il giorno del loro trentesimo compleanno.
Per quel che mi riguarda questo film, oltre che condannarmi per sempre all’ideale della continua ricerca dell’amore perfetto, è stato anche il primo esempio di poesia visiva a cui ricordi di avere assistito (anche se poi, rivedendolo, ho in parte ridimensionato quella prima impressione), talmente forte da farmi piangere di commozione. A rendere ancora più forte questo stato emotivo è stata la colonna sonora, e un suo pezzo in particolare, intitolato We never danced, cantato da Martha Davis and the Motels, molto molto malinconico e con un arrangiamento tipicamente anni ’80, che mi sono portato a lungo nel cuore e che scoperto solo parecchi anni dopo essere stato scritto da quello che, nel frattempo, era diventato uno dei miei musicisti preferiti, Neil Young.