Ieri – per quella strana forza che si chiama destino – un amico che non sentivo da un po’ mi scrive per chiedermi se Sergio Garufi fosse morto. Io preso dal panico scrivo un messaggio a Garufi per chiedergli se sta bene. Garufi mi risponde che sta bene – è solo che gli hanno hackerato il profilo Fb e ora tutti gli scrivono messaggi del tipo “Manchi” oppure “Vorrei che fossi qui” che possono ingannare chi non sa, ma Sergio ha scelto di prendere la palla al balzo e invece di farsi un nuovo profilo ha rinunciato ai social. Così gli ho scritto e lui mi ha annunciato che proprio ieri sono usciti due suoi racconti su due diversi libri che ne attestano la buona salute. Uno sta su un libro sul cinema a Milano. L’altro è dedicato alla figura del filosofo Dario Generali e parla del suo rapporto di amicizia con lui, nato quando Generali divenne suo professore al liceo: uno di quei rapporti – nonostante la differenza d’età – profondi, solidi, antichi, che sembrano usciti da un romanzo di Giorgio Bassani, così inusuali oggi in puro clima di svuotamento e contestazione della figura professorale. Generali, spiega Garufi, non mi ha dato soltanto un metodo di lettura e di analisi che poi ho applicato per tutta la vita nei miei scritti, ma mi ha dato anche dei ricordi che sono legati a dei luoghi, a dei discorsi, a delle canzoni. Così Sergio, legando quel rapporto a un tempo e a una canzone che cantavano spesso nei loro giri in auto, “E ti vengo a cercare” di Battiato, fa un paragone con le modalità di amicizia attuali. Oggi, tramite i social, ci si tiene in contatto istantaneamente col telefono, si sta fermi in un punto, il nostro centro, e si scrive all’altro dal proprio centro richiamandolo a sé, come due fari che si guardano attraverso il mare. Ma una volta, prima dei social e degli smartphone, dice Sergio, se volevi arrivare a qualcuno, nell’incertezza della sua presenza, dovevi per forza andarlo a cercare, chiedere di lui, muoverti verso di lui, anche solo per andare a fischiare sotto la sua finestra, o sedersi su un muretto aspettando che passasse, e quel movimento, la sua intensità e durata, misuravano il tuo affetto, il tuo bisogno dell’altro. Allo stesso modo dello scrivere a/di una persona, che è un po’ come muoversi interiormente verso di lei, fare uno sforzo di memoria per rimettere insieme dei pezzi, dare la misura del proprio affetto attraverso la logica di un discorso in uno spazio che è quello del cuore. E questo perché, conclude Sergio, gli amici e gli scrittori, o gli amori, che più contano nelle nostre vite, non sono soltanto quelli che più frequentiamo, ma soprattutto quelli che, in un modo o nell’altro, non smettiamo mai di cercare.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
mercoledì 27 novembre 2024
martedì 1 ottobre 2024
made in heaven
MADE IN HEAVEN (1987) di Adam Rudolph, con Timothy Hutton e Kelly McGillis è uno di quei film adorabili, romanticamente e disperatamente anni 80 – con una colonna sonora tutta fiati e sintetizzatori guidata da un pezzo rock malinconico scritto appositamente da Neil Young, “We never danced” – che tanti di noi cresciuti negli anni 90, quando ancora lo replicavano in TV a orari improponibili hanno amato. Di cosa parla? Di due anime, lui appena morto e lei in procinto di nascere, che si incontrano, si innamorano e si sposano in Paradiso. Quando lei lo lascia per seguire il proprio destino, lui disperato fa un patto con un angelo e la insegue sulla Terra rinascendo a sua volta. La loro vicenda diventa allora quella di due anime gemelle che, senza più avere memoria di quel legame celeste, non fanno che rincorrersi per tutta la vita perché solo ritrovandosi l’un l’altra potranno essere completi e felici. Mi diceva Paolo Vites che come me adora quel film, che in origine i due non avrebbero dovuto incontrarsi condannandosi all’infelicità. Invece, per una volta con ragione, la produzione si impose e si decise di dare loro una possibilità quando, in una scena splendida che recupera e ribalta il mito eterno di Orfeo ed Euridice, lei lo rincorre nel traffico, lui si volta, ma per una volta fissandola non la perde, “Va tutto bene – dice la voce del suo angelo – ti ha trovato lei”.
domenica 21 aprile 2024
uno
Ho appena letto che secondo una ricerca dell'Istat i pugliesi sono la popolazione più triste d'Italia, quella con meno soddisfazione nel presente e fiducia nel futuro. Uno su dieci si dichiara infelice. Uno, ovviamente, sono io.
lunedì 18 ottobre 2021
cos'altro ho imparato sui vaccini (il piccolo fascista che c'è in noi)
Parlo
ovviamente per me, sono fra quelli che credeva che per sviluppare un
vaccino ci avrebbero messo molti anni perché sono cresciuto in una
storia dove, per perfezionare una medicina, servono centinaia di prove
ed esperimenti. Invece, pare, la scienza moderna ha velocizzato tutto e
ha reso ogni cosa più rapida ed efficace. È proprio con questa
consapevolezza che, nella mia colpevole ingenuità, ho appreso che il
vaccino contro la malaria, ad esempio, avrebbe potuto svilupparsi molti
anni prima, salvando milioni di vite, ma questo non è stato fatto perché
i paesi dove si diffonde la malaria sono considerati paesi di serie b
abitati da persone di serie b, e non si è investito in quella ricerca.
Di fronte a questa consapevolezza provo da giorni una profonda vergogna.
Quando arriva una Greta a cui chiedono come fare per salvare il mondo e
lei ti dice: fermate tutto e ricominciate da capo, molto sorridono per
questa sua intransigenza. Ma a me la storia dei vaccini contro la
malaria ha soltanto reso palese che fondamentalmente ha ragione lei, che
in barba a tutte le mie belle idee sulla scienza sperimentale, se solo
si fosse voluto salvare quelle persone e sviluppare un vaccino contro la
malaria, si sarebbe potuto farlo, avevamo i mezzi per farlo, e questo
non ce lo dice Greta, ce lo dicono i giornali che pure sono al servizio
del sistema. Semplicemente si sono messi sul piatto della bilancia i
costi di produzione della medicina necessaria e la vita di tutte quelle
milioni di persone di serie b, e si è scelto di tenersi i soldi in
tasca. I più cinici di noi diranno che non c’è da stupirsi, è un
meccanismo vecchio come il cucco. Ma io, che avrei potuto studiare un
po’ di più, informarmi un po’ meglio, invece di scrivere post
amareggiati come questo, o saccenti o ironici, invece di scendere in
piazza contro il vaccino o per il vaccino, con la destra o con la
sinistra, dovrei scendere in piazza per loro, per pretendere che si
investano fondi contro la malaria e le decine di malattie mortali che
affliggono paesi che magari non c’entrano nulla col mio, lì dove non si
fa la storia, dove tutto ciò che posso dare non mi torna indietro. Altro
che terza dose ai più deboli. Sono loro i più deboli qui! Ma questo non
lo farà quasi nessuno, nemmeno io, perché dobbiamo ammettere che anche
per noi quelli che muoiono di malaria vengono un pochino dopo, è gente
di serie b che vive in paesi di serie b, e allora ha ragione chi ha
intitolato la strada dietro casa mia a Julius Evola, un po’ fascisti nei
fatti più che nelle parole lo siamo anche noi.
sabato 15 aprile 2017
meraviglia del mattino
venerdì 6 gennaio 2017
si fermi se può
[Tonino Guerra, L'uomo parallelo]
domenica 18 dicembre 2016
spoiler di guerra
giovedì 12 febbraio 2015
cercarsela
sabato 29 marzo 2014
in cerca di pinuccio simone
sabato 14 settembre 2013
out on the weekend
domenica 2 dicembre 2012
per anguilla
delle mie stanze
dove il sole arriva ultimo al tramonto
mi aggiro cercando la tua impronta
la traccia del possibile passaggio
la tua scarpa bassa dimenticata
in un angolo o il sorriso impresso
indelebile nell’acqua.
Potrei affondare per miglia nella vasca
e lavarmi mille volte il corpo
e mai perdere l’ombra di te piccola
nascosta nella curva delle dita
confidare nel Poeta e credere
al potere del tuo fiuto che tu sappia
indirizzare la vita e mai perderci.
Se non fosse che sfuggirmi è la regola
l’unico tuo modo di amare
e questa casa senza te non ha eco.
lunedì 9 agosto 2010
accadde in paradiso
A raccontare a parole di cosa parla Made in Heaven, perde molto del suo fascino. È più un film di immagini lievi e sfuggenti, di stati d’animo puri, molto on the road se vogliamo, nel senso propriamente beat di ricerca di se stessi come unica via per la felicità. Gli attori sono Timothy Atton e Kelly McGillis, giovanissimi, che interpretano due anime che si conoscono, si innamorano e si sposano in Cielo, prima che lei venga spedita sulla terra a vivere la propria vita terrena. Incapace di stare lontano dalla propria sposa, anche lui farà una sorta di patto con un angelo secondo il quale potrà scendere sulla terra a cercarla ma, una volta rinati, nessuno dei due ricorderà dell’altro e la loro dovrà essere una ricerca del cuore, basata solamente sull’istinto e sul bisogno dell’altro. Alla fine, come in ogni love story che si rispetti, l’amore vincerà e i due si ritroveranno, per strada, il giorno del loro trentesimo compleanno.
Per quel che mi riguarda questo film, oltre che condannarmi per sempre all’ideale della continua ricerca dell’amore perfetto, è stato anche il primo esempio di poesia visiva a cui ricordi di avere assistito (anche se poi, rivedendolo, ho in parte ridimensionato quella prima impressione), talmente forte da farmi piangere di commozione. A rendere ancora più forte questo stato emotivo è stata la colonna sonora, e un suo pezzo in particolare, intitolato We never danced, cantato da Martha Davis and the Motels, molto molto malinconico e con un arrangiamento tipicamente anni ’80, che mi sono portato a lungo nel cuore e che scoperto solo parecchi anni dopo essere stato scritto da quello che, nel frattempo, era diventato uno dei miei musicisti preferiti, Neil Young.