Ho letto un libro bello, di forte sapore onirico, I cento uccelli di Tonino Guerra. È diviso in tre parti ben distinte, brevissime, dalle atmosfere rarefatte, ma assai raffinato nella struttura. Nella prima parte un uomo si aggira alla ricerca della moglie scomparsa per una Roma lussureggiante e africana (molto simile per certi aspetti a quella della Grande Bellezza di Sorrentino), prima in compagnia di una donna, poi di altri strani personaggi, fino a scordarsi egli stesso della moglie (che vi ricorda? A me L’avventura di Antonioni, di cui Guerra fu uno degli sceneggiatori). Alla fine della prima parte l’uomo ritrova la moglie che però, anche se identica, non gli pare più la stessa donna che aveva sposato, fa l’amore con lei ma non la riconosce, addirittura sospetta abbia una seconda vita. La donna scompare di nuovo, senza troppo rumore. Nella seconda parte del romanzo l’uomo decide di allontanarsi da Roma per recarsi nel suo luogo di origine, un paesino del centro Italia devastato dal terremoto, in cui comincia a convivere con un vecchio pazzo che gli ricorda suo padre, un mendicante sopravvissuto al crollo che si aggira fra le macerie come un primitivo, e che assiste nelle ultime ore fino a ritrovare nella sua morte una sorta di epifania che trasformerà anche lui in una nuova persona. Nell’ultima parte del romanzo c’è uno slittamento del punto di vista. Parla un investigatore privato (che a me ha fatto pensare tantissimo al protagonista di Pulp di Bukowski con qualcosa del Gorilla di Dazieri) che rivela come l’uomo lo paghi fin dall’inizio per farsi seguire, in quanto ha paura di scomparire perdendosi nei meandri della propria mente. L’investigatore lo tiene d’occhio, registrando persino gli incontri casuali o finto casuali con questa donna che non si capisce se sia sua moglie o meno, fino ad assistere alla morte apparente dell’uomo. Il tutto in un libriccino lungo circa 80 pagine che ci rammentano di un Tonino Guerra romano, di quando ancora scriveva per il cinema e il periodo rurale di “l’ottimismo è il profumo della vita” era cosa lontanissima. Prefazione di Italo Calvino. Ve l’ho raccontato tutto, facendone lo spoiler, perché dubito che qualcuno a parte me se lo compri, e almeno così sapete che questo libro è esistito.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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domenica 18 dicembre 2016
lunedì 5 settembre 2016
il terremoto
Quando ci sono i terremoti le case cadono. Si rompono sempre allo stesso modo. Il tetto e i pavimenti sprofondano verso il basso e spesso i muri laterali si gonfiano e scoppiano sulla strada. I campanili cadono distesi come se fossero fucilati. I campanili si potrebbero ricomporre a terra quasi in modo perfetto. Ma i campanili distesi non servono a niente. Allora si ricostruiscono. Nel posto dove c’è stato un terremoto generalmente c’è da aspettarsi che ne capiti un altro. Quindi la gente sta sempre all’erta. Guardano se i lumi oscillano. I cani e gli uccelli ti avvisano sempre quando arriva il terremoto. Scappano e abbaiano. Poi arriva il boato. I terremoti capitano più spesso di notte che di giorno. L’ottanta per cento di notte e il venti di giorno. Quelli di notte fanno più morti perché la gente sta a letto e non si aspetta uno scherzo del genere. Dopo i terremoti la gente gira tra le macerie con gli occhi fuori dalla grazia di Dio. Molti portano in salvo i materassi. Poi arriva la Croce Rossa e generalmente qualche camion di militari. Nasce quasi subito una tendopoli. In Persia arrivano anche i meloni perché dissetano e riempiono lo stomaco. I bambini camminano piangendo nella polvere. I capelli dei terremotati sono dritti e fuori posto. Ci vogliono diversi mesi per ripiegarli sulla testa in modo normale.
(Tonino Guerra, da I cento uccelli)
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