Ieri e oggi, per una settimana di eventi intorno al centenario calviniano organizzata dalla libreria L'Approdo ho fatto degli incontri sul lavoro editoriale a partire dai rapporti epistolari fra Calvino e Sciascia. Ieri l’incontro era con degli adolescenti che per vari motivi hanno abbandonato gli studi (dispersione scolastica) mentre oggi con i loro “fratellini” più piccoli di terza media. Anche se poi tutti gli insegnanti che conosco mi dicono con convinzione che il loro è il lavoro più bello del mondo, è anche vero – provare per credere – che è difficilissimo gestire delle persone così giovani, esuberanti, ma con un livello di attenzione che di classe in classe si fa sempre più basso col rischio che a furia di abbassarsi finisca per trasformarsi in disinteresse, non solo verso i fatti letterari, che sono pur sempre relativi, ma proprio verso la vita in tutti i suoi aspetti, dal lavoro alle relazioni affettive, al pensiero come forma di comprensione del mondo e di se stessi. Io, in tal senso, senza i libri sarei stato davvero perduto, proprio come lo sarebbero stati Calvino e Sciascia, e spero che almeno questo messaggio sia passato, indipendentemente dal fatto che quei ragazzi poi diventino dei lettori o meno. Non serve essere dei palestrati per riconoscere che l’attività fisica fa bene al corpo, anche se molti vanno in palestra soltanto per riempire uno spazio vuoto. Allo stesso modo non serve essere dei lettori per riconoscere che i libri non sono soltanto un passatempo, ma fanno bene alla salute, alcuni libri ci rendono addirittura persone migliori. E funziona anche al contrario, a volte siamo noi che scegliendolo diamo una possibilità di vita a un libro. Oggi, dopo che ho spiegato come funziona la catena editoriale (dal manoscritto a quando il libro finisce in libreria), dopo mezz’ora i ragazzi erano irrequieti perché stanchi, e un attimo prima di perderli del tutto ho detto loro che i libri che non vengono venduti in genere vanno al macero. Lì è stato bellissimo, quasi commovente, perché si è fermato tutto, la classe si è fatta silenziosa, quasi triste mentre mi guardava. – Vuol dire, mi ha chiesto un ragazzino, che ogni libro che non compro muore? – Nemmeno volendo, nemmeno se ci mettessimo tutti insieme, potremmo salvarli tutti, gli ho risposto, perché ci sono troppi libri. Ma pensa che quando ne compri uno, quello è un libro che stai salvando.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
venerdì 13 ottobre 2023
giovedì 12 ottobre 2023
i soldi coi libri comunicano
Scorrendo il trentennale carteggio intercorso fra Italo Calvino e Leonardo Sciascia – fra i moltissimi spunti di riflessione sui più vari argomenti letterari di cui i due amici discutevano con acume raro – non si può fare a meno di sorridere sulla più succosa differenza quando si arriva al cuore delle questioni editoriali. Nelle sue lettere Calvino (in qualità di consulente Einaudi) torna sempre e soltanto a parlare di Letteratura, di libri, di struttura, di sistemi, di stile, per lui la Letteratura così come la scrittura sono una fede, l’unica fede che lo animava: sono pagine dense di attenzione e rispetto, di amore verso l’opera degli altri; le sue osservazioni sui "gialli" di Sciascia sono ancora fondamentali per qualsiasi critica seria all'opera dello scrittore siciliano, tanto che Calvino resterà per tutta la sua vita l’editor di fiducia di Sciascia, il suo primo lettore. Di contro Sciascia (in quanto autore di punta della casa editrice) rimarca di continuo, con stilettate elegantissime, la questione economica che da sempre angustia ogni scrittore. Se Calvino, punzecchiato, gli scrive: “Dici che devi avere dei soldi. Ma che c’entrano i soldi coi libri? Soldi e libri, purtroppo, appartengono a due universi diversi”, Sciascia gli risponde “i soldi coi libri in un certo modo comunicano”. Mesi dopo affonda con una sciabolata: “Con tutta franchezza (e spero me lo permetterai in nome dell’amicizia), ti confesso che il mio editore ideale è Vito Laterza: non solo perché paga i diritti con puntualità e scrupolo (cosa di cui non mi importa poi molto), ma perché diffonde il libro come meglio non si potrebbe.” E in una lettera del 1959 in cui accusa Einaudi di essere poco “sincera” sulle sue intenzioni in merito alla ristampa di un libro: “La mia ostinazione a chiedere la ristampa del libro nasce anche dal fatto che io scrivo nella cronaca e con intenzioni libellistiche. Ristampare il «gettone» tra un anno o due sarebbe inutile. Della nostra generazione, solo tu e Pasolini (e Pasolini non certo per i romanzi) resterete a galla: gli altri viviamo alla giornata. Mi pare giusto, però, consentire al mio «gettone» di vivere una giornata – e non mezza giornata”.
mercoledì 20 aprile 2022
touché
Ieri credo, non ricordo su che testata, Nicola Lagioia diceva una cosa molto intelligente in un articolo che pure parlava d’altro, l’orribile guerra e come la viviamo/vediamo. Diceva, come chiusa del pezzo, che oggi in Italia abbiamo una lunga schiera di candidati a nuovi Pasolini ma nemmeno un Calvino. Touché. Ho questa sensazione che Calvino sia un po’ passato di moda, anche se un paio di libri suoi (Palomar su tutti) sono sempre bellissimi, ma nemmeno Pasolini è così letto come sembra. Più che altro, con lui, è forte la tentazione del j’accuse, con quella punta di masochismo privo di vera ironia che agli italiani – in fondo tutti cattoliconi fin nel midollo – piace così tanto. Ecco che stamattina, come cura per tutto questo, mi è capitato fra le mani il più elegante e perfido Flaiano, spesso rassegnato ma per questo mai violento, anche nei suoi momenti di massima infelicità. Flaiano puoi leggerlo in bagno senza perdere il filo del discorso e permette sempre di cavarsela con una battuta che per brevità puoi rivenderti su twitter. Meno Pasolini e più Flaiano, dunque? Ne verremo certamente migliorati. Questa, ad esempio, l’ho letta poco fa: “Ma è in questa solitudine prossima al delitto che nascono i pittori e i poeti della domenica” (da Diario degli errori).
domenica 24 gennaio 2021
due impressioni su centuria
Stamattina mi sono messo a leggere Centuria di Manganelli. Lo avevo lì da anni ma è la prima volta che lo prendo in mano. Due impressioni personali. La prima è che ha una scrittura talmente limpida e lineare questo libro (non ho letto altro di suo) che si fa un sacco di fatica a leggerlo. Perché mi accorgo che a volte lo stile è un alibi, tu lettore ti perdi nella forma, nella costruzione più o meno elaborata delle parole e non dai peso al contenuto o ci scorri sopra; lì dove lo stile è basso, preciso, non puoi che attaccarti ai contenuti, e visto che quelle di Centuria sono storie assai condensate dove si richiede al lettore (proprio come in poesia) di costruire castelli sul vuoto, riempire le assenze, lo sforzo di concentrazione/immaginazione del lettore è doppio. Seconda considerazione, non sono abbastanza addentrato nello scambio Manganelli-Queneau-Calvino che mi pare sia assai prolifico, ma a pelle mi sembra che Palomar che è l'ultimo e più bel libro di Calvino ha più debiti con Centuria che con tutti i libri del francese che hanno influenzato la sua ultima produzione. Anzi, a tratti mi pare quasi che Palomar nasca proprio qui. Semplicemente Calvino ha preso il libro di Manganelli, ci ha messo un po' di cuore, e l'ha fatto suo.
domenica 12 gennaio 2020
morte per mano dell’autore
venerdì 18 gennaio 2019
il giappone in valmarecchia
lunedì 2 luglio 2018
dalla parte di chi non scrive
domenica 18 dicembre 2016
spoiler di guerra
sabato 8 febbraio 2014
mercoledì 28 marzo 2012
forme brevi
Calvino, Lezioni Americane, pag. 50
domenica 19 settembre 2010
un pensiero a calvino

Ora, fermo restando che sapersi autopromuovere non è mai stato un crimine ma anzi, in ambito culturale, da sempre un merito, almeno per chi volesse vivere del proprio lavoro d’artista, e che comunque non è che Calvino sul fronte internazionale sia un signor Nessuno (basti vedere l’enorme e dichiarata influenza che ha avuto su un autore contemporaneo come Jonathan Coe), c’è da dire che: uno, Calvino fu figlio del suo tempo, e sconta il senso di distanza che l’attuale indirizzo artistico nutre proprio verso quello sperimentalismo metaletterario di cui proprio lui fu uno degli esponenti più autorevoli, al fianco di Queneau. Una cosa simile tra l’altro accade in poesia nei confronti dell’Ermetismo, con un forte senso di rifiuto anche verso poeti di fondamentale importanza come, ad esempio, Montale. E: due, come dice bene Sergio sul suo blog, la canonizzazione scolastica ammazza tutti, senza distinzioni di sorta.
Poi certo, se è vero che a lui piacque diventare un oggetto di culto della Scuola (e a chi non piacerebbe? anche a Pasolini sarebbe forse piaciuto), è anche vero che, se la Scuola lo ha santificato, non è nemmeno tutta colpa di Calvino. Come per i fatti d’amore, si deve essere in due in questo tipo di scelte. Fra l’altro, questa storia mi ricorda un po’ tutte le polemiche che da anni si sentono intorno al Manzoni dei Promessi Sposi. Sarà anche il più acclamato capolavoro dell’800 italiano ma io, e non solo, gli preferisco Verga dei Malavoglia. Però sono più contento così. In fondo, alla fin fine ci si dovrebbe anche chiedere chi ci perde di più fra Scuola e Calvino in questo rapporto di dipendenza reciproco. E sinceramente io credo che il vero perdente sia Calvino. Mentre autori come Pavese o Pasolini, proprio come Verga, sono presi con le pinze dagli insegnanti e poi, negli anni successivi al liceo, sono quelli che più a lungo restano nel cuore degli studenti, che li scoprono e se li vivono per fatti loro, senza “istruzioni per l’uso”, per Manzoni non c’è ritorno. Finito il liceo Manzoni è morto, è solo un brutto ricordo dell’interrogazione di Italiano.
Insomma, ai suoi detrattori dico, perché lamentarsi? Si studia Calvino a scuola e si legge (o si spera che si legga) Pasolini a casa. Meglio Calvino che Moccia aggiungo, e credo che nessuno, per quanto critico nei suoi confronti, possa venirmi a dire che non è d’accordo. Vorrei concludere osservando che il canone Calvino non è ancora arrivato né credo arriverà mai al livello di Manzoni. Dico queste cose a freddo, anche perché Calvino l’ho letto, l’ho rispettato ma non l’ho mai amato. Però il nostro ha scritto molti libri e alcuni molto belli, non solo il più volte citato dai critici Le città invisibili, ma anche Giornata di uno Scrutatore, Palomar, e Lezioni Americane (che, piacciano o no, sono pur sempre terreno seminale per lunghe riflessioni), e senza contare l’ottimo lavoro filologico condotto intorno al sottobosco delle Fiabe italiane e all’Orlando Furioso. Conosco, e non sono pochi, studenti che lo leggono proprio per questi romanzi e ancora lo rispettano per la sua scrittura chiara, precisa e limpida e anche perché, nonostante rifiutino le pesanti architetture di cui infarciva le sue storie, tuttavia intuiscono a pelle quella “sostanza prettamente tragica” (come la definisce Sergio) che talvolta emerge, suo malgrado, dalle pagine dei suoi libri.