Scorrendo il trentennale carteggio intercorso fra Italo Calvino e Leonardo Sciascia – fra i moltissimi spunti di riflessione sui più vari argomenti letterari di cui i due amici discutevano con acume raro – non si può fare a meno di sorridere sulla più succosa differenza quando si arriva al cuore delle questioni editoriali. Nelle sue lettere Calvino (in qualità di consulente Einaudi) torna sempre e soltanto a parlare di Letteratura, di libri, di struttura, di sistemi, di stile, per lui la Letteratura così come la scrittura sono una fede, l’unica fede che lo animava: sono pagine dense di attenzione e rispetto, di amore verso l’opera degli altri; le sue osservazioni sui "gialli" di Sciascia sono ancora fondamentali per qualsiasi critica seria all'opera dello scrittore siciliano, tanto che Calvino resterà per tutta la sua vita l’editor di fiducia di Sciascia, il suo primo lettore. Di contro Sciascia (in quanto autore di punta della casa editrice) rimarca di continuo, con stilettate elegantissime, la questione economica che da sempre angustia ogni scrittore. Se Calvino, punzecchiato, gli scrive: “Dici che devi avere dei soldi. Ma che c’entrano i soldi coi libri? Soldi e libri, purtroppo, appartengono a due universi diversi”, Sciascia gli risponde “i soldi coi libri in un certo modo comunicano”. Mesi dopo affonda con una sciabolata: “Con tutta franchezza (e spero me lo permetterai in nome dell’amicizia), ti confesso che il mio editore ideale è Vito Laterza: non solo perché paga i diritti con puntualità e scrupolo (cosa di cui non mi importa poi molto), ma perché diffonde il libro come meglio non si potrebbe.” E in una lettera del 1959 in cui accusa Einaudi di essere poco “sincera” sulle sue intenzioni in merito alla ristampa di un libro: “La mia ostinazione a chiedere la ristampa del libro nasce anche dal fatto che io scrivo nella cronaca e con intenzioni libellistiche. Ristampare il «gettone» tra un anno o due sarebbe inutile. Della nostra generazione, solo tu e Pasolini (e Pasolini non certo per i romanzi) resterete a galla: gli altri viviamo alla giornata. Mi pare giusto, però, consentire al mio «gettone» di vivere una giornata – e non mezza giornata”.
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