La cosa bella del premio Flaiano è che Ennio Flaiano, che odiava i premi, scrisse un racconto abbastanza malinconico su quanto lo avesse messo a disagio ricevere lo Strega. Il premio Flaiano, allora, nato sotto così cattivi auspici, per quanto blasonatissimo, si porta dietro la iattura del nome di uno che odiava i premi. Pare che la notizia del giorno sia che uno dei componenti della giuria di quest'anno, Davide Rondoni, si sia dimesso perché, una volta selezionati i finalisti, Carla Tiboni, presidente del premio, senza informare o consultare i giurati, abbia creato un premio speciale per un'altra autrice scelta a sua discrezione, creando confusione nella comunicazione sulla differenza esistente fra premio "regolare" e premio "speciale", e quindi sul lavoro e le scelte della giuria, presieduta da Roberto Mussapi. Stando a ciò che dice Rondoni, alle richieste di chiarimento dei giurati, la presidente ha risposto: "Se non vi va bene dimettetevi". Al che Rondoni si è dimesso sul serio. La presidente quindi, invece di dargli una risposta pubblica, ha appena annunciato di averlo querelato per diffamazione. Flaiano, secondo me, disgustato sghignazza.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
lunedì 24 giugno 2024
sabato 17 febbraio 2024
appunti sulla solitudine del satiro - 2
Le ultime pagine della "Solitudine del Satiro", scritte fra settembre e novembre 1972 per il Corriere della Sera, sono fra le più politiche, personali e malinconiche di Flaiano e meritano uno scritto a sé. Il primo di questi quattro articoli, 3 settembre, è anche (nella prima parte) fra i più citati dai suoi estimatori. Comincia così: “Appartengo alla minoranza silenziosa” e prosegue con la descrizione di uno stato in cui la chiarezza non esiste, la verità non esiste, “la linea più breve fra due punti è l’arabesco” e prosegue col dialogo con Maccari in cui divide l’Italia fra fascisti e antifascisti, dove per ciascuna delle due categorie la causa è soltanto una scusa per esprimere la propria intima violenza: “Ossia ognuno vuole la sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell’altro. La libertà comunemente intesa, quella per esempio di esprimere le proprie opinioni, è una cosa da disprezzare perché bene o male l’abbiamo.” Il pezzo termina con un commento amaro a un film di Ferreri appena uscito, “La cagna”, tratto da un suo racconto, "Melampus", in cui Flaiano (che avrebbe voluto farne un film diretto da lui, senza riuscirci) diceva di non riconoscersi: “Eccomi dunque decaduto dalla mia qualità di autore”. L’articolo del 10 settembre è scritto dal festival del cinema di Venezia ed è una fantasia che parte (dice) da una lettera anonima: Chaplin, ospite del festival, viene omaggiato dai tanti registi italiani (De Sica, Antonioni, Zavattini, Fellini, Ferreri, “unico assente giustificato Visconti”) che da lui hanno attinto per il proprio cinema. In realtà non ci andò nessuno a omaggiarlo il “vecchiaccio”, ma leggendo, a parte l’ovvia espressione d’amore per uno dei padri del cinema, c’è il sospetto è che nelle sue parole Flaiano, che tanto al cinema sentiva di aver dato come sceneggiatore, si stia riferendo anche un po’ a se stesso: malato e prossimo alla morte, non si fece vedere nessuno. L’articolo del 28 ottobre comincia con un viaggio a Napoli (“Vi interessa un po’ di contrabbando?” chiede un giovanotto accostandosi alla macchina di Flaiano, a cui invece serve un’informazione stradale; “Sigarette o droga?” chiede Flaiano incuriosito, “No. Orologi svizzeri”, che costano un milione ma ci può accordare per ventimila lire) e prosegue con una presa per il culo di una famiglia di contestatori che non sa che mettersi per andare a una manifestazione per rifare la società, che è in tutto e per tutto una anticipazione di “Quando è moda è moda” di Gaber. Chiude il pezzo del 5 novembre, in cui Flaiano ricorda il suo arrivo a Roma da bambino, cinquant’anni prima, per andare in collegio. Era la Roma del 1922, la Roma della gran festa fascista dove qualcuno aveva danneggiato la statua della Giustizia, manomessa della bilancia sostituita da una spada, evidente simbolo fallico, si vendevano in farmacia i preservativi marca Fascio e Ardito, i bordelli erano all’apice della loro fortuna e anche se nelle scuole i ragazzini facevano la caricatura di Mussolini, la città conquistata era pervasa da un’euforia sessuale che metteva da parte ogni razionalità in vista della grande orgia che si annunciava. È uno scritto acuto e malinconico l’ultimo pubblicato da Flaiano, che un pochino anticipa (ma senza nessuna carica necrofila) alcuni temi del prossimo “Salò” di Pasolini nell’indicare il preciso connubio fra potere e liberazione sessuale che si fa caricatura grottesca e spesso si esprime in violenza (per tornare al dialogo con Maccari), e soprattutto sembra riflettere e agganciarsi all’ultimo film di Fellini, chiamato appunto “Roma”, un film che probabilmente Flaiano sentiva anche suo, in cui in parte si riconosceva pur non avendovi partecipato e a cui forse avrebbe voluto partecipare, ricucendo magari un’amicizia rovinata dal successo, prima dell’ultimo saluto.
venerdì 8 dicembre 2023
ricordiamo ai nostri amici scrittori
Il Presidente porge il saluto, legge alcuni telegrammi, ricorda il convegno sui rapporti tra Letteratura e Cinema, tenuto anni fa dagli scrittori per risolvere la crisi del film. Applausi di riconoscenza. Poi si leva a parlare un produttore, tale Masacciuccoli. Uomo enorme, cordiale e vivace. Comincia col dire che la crisi del libro è innegabilmente grave, ma non disperata, e che lascia ad altri discuterne gli aspetti tecnici, egli si limita a considerare che l’industria libraria è in crisi «perché non sa approfondire i suoi successi».
Gli chiedono che cosa intende dire e allora passa a fare un esempio: un mese fa, costretto al riposo per una slogatura alla caviglia, ha letto un libro. «Sissignori,» precisa subito al moto di sgomento della platea «ho letto un libro e ve ne posso dire anche il titolo: I Promessi Sposi». Il pubblico applaude e Masacciuccoli aggiunge: «Vedete dunque che non sto inventando». Poi si diffonde in una disanima del libro, con elogi all’autore che, a suo giudizio, dimostra di possedere molto talento. Egli sarebbe lieto di conoscere questo Manzoni e di potergli stringere la mano. Qualcuno, dal fondo della platea grida: «È morto!», ma l’oratore sta allo scherzo, sorride e continua: «Vorrei stringergli la mano, ma anche domandargli perché non ha approfondito il successo, che mi dicono enorme, del suo libro. Questo solo vorrei domandargli. E sapete perché?».
La platea tace aspetta. Masacciuccoli prosegue: «Perché io, signori, dopo aver letto questo libro, sono entrato in una libreria (mormorii) e ho chiesto a libraio: “Mi dia il seguito”. Bene, che credete che abbia fatto il libraio? Mi ha forse dato il seguito? No, mi ha detto che il romanzo non ha seguito. Gli ho chiesto perché. Mi ha risposto: “Lo chieda al Manzoni”».
Masacciuccoli tace, fissa il soffitto e prosegue sornione: «Dunque, ditemi voi, si scrive un libro, lo si stampa, ci si accorge che incontra, che piace, che ha successo, e tutto finisce qui? Ma questo è suicidio… Io non mi meraviglio più della crisi del libro, la trovo anzi sacrosanta. Sono infatti sicuro che di tanti altri libri, se li avessi letti, ora chiederei invano il seguito a libraio. Sono sicuro che migliaia e migliaia di libri dormono ancora sui loro primi allori, improducenti, inattivi, chiusi e senza seguito».
Masacciuccoli sembra calmo; di colpo batte un pugno sul tavolo, e grida: «Ma che cosa abbiamo fatto noi quando la crisi del film ci dilaniava? Non abbiamo forse fatto il seguito ai nostri film di successo per dieci, venti, cento volte?».
Qui è scoppiato un applauso. Masacciuccoli l’ha lasciato sfogare e ha aggiunto: «In qualche caso abbiamo persino esagerato». (Voci: «No! No!»). «Sì, abbiamo esagerato, ma bisognava salvare il principio della ripetizione e dell’approfondimento».
Altri applausi, Masaciuccoli è calmo, vuol stravincere. Dice: «Torniamo ai nostri Promessi Sposi. Io dico al libraio: “Dunque niente seguito?”. E libraio mi guarda e dice: “No, niente seguito”. Sembrava anche sorpreso che insistessi. “Cosicché” dico io “abbiamo magnifici personaggi uno più bello dell’altro e niente seguito? Abbiamo le indimenticabili figure del prepotente, di… Don Rodriguez, abbiamo il prete, il frate, il cardinale, l’Innominabile e la monaca; e niente seguito? Ma se solo sulla monaca, io, se avessi tempo, scriverei un libro e voi mi dite: niente seguito?”».
Altri applausi. Masaciuccoli allarga le braccia e conclude commosso. «Non insisto. Ricordiamo però ai nostri amici scrittori che non basta il successo singolo, magico fiore nel deserto, bisogna sempre approfondire le idee e fare del deserto un giardino; un giardino di speranza».
Si scatena un diluvio di applausi.
ENNIO FLAIANO, 1957, da La solitudine del satiro (Adelphi, 1996)
giovedì 2 novembre 2023
cinema e letteratura
Non credevo alla crisi del cinema, comincio a crederci da qualche giorno: da quando hanno «indetto» un convegno sui rapporti tra Cinema e Letteratura. In genere, da noi – non rivelo un segreto – un convegno a cui partecipano i letterati è già il segno della fine. Non saprei dire il perché: forse per la pigrizia che spinge i letterati a occuparsi delle questioni letterariamente. Un convegno sui rapporti tra i Buoi e la Letteratura si fa di solito quando i buoi sono scappati. A questo convegno sul Cinema hanno partecipato vari e ottimi scrittori, un solo produttore, qualche personaggio ufficiale. Si è molto discusso sul sesso degli angeli. Qualcuno ha anche parlato sui rapporti tra Letteratura e Fisco. I produttori sono stati generalmente incolpati di essere avidi e faciloni: e questo è talmente noto che non c’era bisogno di riunirsi per scoprirlo. Il produttore – per quanto strano possa sembrare – è un tale che mira a far soldi. Incredibile. Qualche volta ha provato a sue spese che le idee nobili non vanno, il pubblico preferisce le idee ignobili, ci si sente più a suo agio. Il produttore è quasi sempre lo specchio del pubblico.
venerdì 16 giugno 2023
un amore a roma
lunedì 27 marzo 2023
discorsi
venerdì 29 aprile 2022
filosofia del rifiuto
Agire come Bartleby lo scrivano. Preferire sempre di no. Non rispondere a inchieste, rifiutare interviste, non firmare manifesti, perché tutto viene utilizzato contro di te, in una società che è chiaramente contro la libertà dell’individuo e favorisce però il malgoverno, la malavita, la mafia, la camorra, la partitocrazia, che ostacola la ricerca scientifica, la cultura, una sana vita universitaria, dominata dalla Burocrazia, dalla polizia, dalla ricerca della menzogna, dalla tribù, dagli stregoni della tribù, dagli arruffoni, dai meridionali scalatori, dai settentrionali discesisti, dai centrali centripeti, dalla Chiesa, dai servi, dai miserabili, dagli avidi di potere a qualsiasi livello, dai convertiti, dagli invertiti, dai reduci, dai mutilati, dagli elettrici, dai gasisti, dagli studenti bocciati, dai pornografi, poligrafi, truffatori, mistificatori, autori ed editori. Rifiutarsi, ma senza specificare la ragione del tuo rifiuto, perché anche questa verrebbe distorta, annessa, utilizzata. Rispondere: no. Non cedere alle lusinghe della televisione. Non farti crescere i capelli, perché questo segno esterno ti classifica e la tua azione può essere neutralizzata in base a questo segno. Non cantare, perché le tue canzoni piacciono e vengono annesse. Non preferire l’amore alla guerra, perché anche l’amore è un invito alla lotta. Non preferire niente. Non adunarti con quelli che la pensano come te, migliaia di no isolati sono più efficaci di milioni di no in gruppo. Ogni gruppo può essere colpito, annesso, utilizzato, strumentalizzato. Alle urne metti la tua scheda bianca sulla quale avrai scritto: No. Sarà il modo segreto di contarci. Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì. I quali si chiederanno che cosa non viene apprezzato nel loro ottimismo.
mercoledì 20 aprile 2022
touché
Ieri credo, non ricordo su che testata, Nicola Lagioia diceva una cosa molto intelligente in un articolo che pure parlava d’altro, l’orribile guerra e come la viviamo/vediamo. Diceva, come chiusa del pezzo, che oggi in Italia abbiamo una lunga schiera di candidati a nuovi Pasolini ma nemmeno un Calvino. Touché. Ho questa sensazione che Calvino sia un po’ passato di moda, anche se un paio di libri suoi (Palomar su tutti) sono sempre bellissimi, ma nemmeno Pasolini è così letto come sembra. Più che altro, con lui, è forte la tentazione del j’accuse, con quella punta di masochismo privo di vera ironia che agli italiani – in fondo tutti cattoliconi fin nel midollo – piace così tanto. Ecco che stamattina, come cura per tutto questo, mi è capitato fra le mani il più elegante e perfido Flaiano, spesso rassegnato ma per questo mai violento, anche nei suoi momenti di massima infelicità. Flaiano puoi leggerlo in bagno senza perdere il filo del discorso e permette sempre di cavarsela con una battuta che per brevità puoi rivenderti su twitter. Meno Pasolini e più Flaiano, dunque? Ne verremo certamente migliorati. Questa, ad esempio, l’ho letta poco fa: “Ma è in questa solitudine prossima al delitto che nascono i pittori e i poeti della domenica” (da Diario degli errori).
martedì 19 aprile 2022
mercoledì 11 novembre 2020
transfert
A pagina 31 della Solitudine del Satiro, Flaiano scrive: «Questa moda di presentare i nuovi libri, come i re dal balcone presentavano alla folla il principe ereditario appena nato, è recente: pochi anni fa avrebbe coperto di ridicolo gli autori; oggi si accetta come una forma di persuasione palese, un postulato della cultura di massa». È un appunto datato 1962, strettamente legato a La Notte di Antonioni, dell’anno prima, di cui Flaiano fu sceneggiatore con Antonioni stesso e Tonino Guerra. Nel film, Marcello Mastroianni, scrittore di successo, si prepara alla presentazione del suo nuovo libro, che viene descritta come un vero e proprio evento mondano, un elegante e vacuo vernissage con tanto di ospiti illustri (i veri Quasimodo, Eco, Bompiani); intanto il suo amico e opposto Bernhard Wicki, in tutto e per tutto, persino nei baffi, la copia sputata di Flaiano, è sofferente in ospedale, inappagato nella salute (dunque nella vita), nell’arte e anche nell’amore per Jeanne Moreau, moglie infelice di Mastroianni. Nella seconda parte del film nulla si aggiusta: mentre Wicki muore dimenticato quasi da tutti (pure da noi), Mastroianni, non pago del proprio successo, va a una festa, riceve una ricca ma poco etica proposta di lavoro e già che c’è seduce Monica Vitti. Insomma, se la fortuna non è cieca è di sicuro stronza. Ho sempre immaginato che tanta snobistica antipatia per le presentazioni sia derivata a Flaiano da quella sorta di transfert cinematografico per cui, a rivedersi nell’opposto di Mastroianni – che a sua volta era attore feticcio di Fellini, con cui Flaiano avrebbe litigato di lì a poco proprio perché Fellini, da regista, si prendeva ogni merito e successo del loro lavoro artistico – il Nostro un po’ sghignazzava divertito e un po’ stringeva i denti.
martedì 6 ottobre 2020
intervista con paolo uccello
C’è una storia bellissima e celebre di Ennio Flaiano che all’inizio del 1970 viene contattato da Rizzoli per una nuova collana di monografie d’artisti prefate da scrittori. Gli viene chiesto di occuparsi della monografia di Paolo Uccello. Flaiano, ex studente di architettura, accetta subito l’incarico. Il 9 febbraio, con la scadenza del pezzo alle porte, prende il treno e va a Firenze per documentarsi e vedere dal vivo le opere dell’artista. Ma gli va male, come annota nel suo diario: «Ricerca di Paolo Uccello. Gli Uffizi chiusi, il Grotto Verde di S. Maria Novella in restauro». Si fa dunque un giro in città per respirare l’aria di Firenze «sotto un vento allegro», poi da Alinari, prima di riprendere il treno, acquista una serie di cartoline con le opere che non ha visto di Paolo Uccello. Tornato a Roma, dispone le cartoline sul suo letto e, guardando in particolare quella con l’autoritratto del pittore (conservato al Louvre), comincia a dialogare con lui; s’inventa così un’intervista impossibile che spaziando nel tempo e nei luoghi, e anticipando quella che poi sarà un’attitudine del postmoderno, innesta nelle risposte di Paolo Uccello citazioni di Mondrian, Proust, Laforgue, Picasso, Morandi, ecc., facendolo parlare come loro e loro come lui, e affrontando in tal modo alcuni temi fondamentali legati al senso ultimo dell’arte, alla visione del mondo di ogni artista riassunta nel concetto stesso di prospettiva, all’etica del lavoro artigianale, al rapporto col pubblico e alla scelta di vivere una vita che ha al suo centro l’ideale per “il minore”. «Uso, amore, arte e grazia insegnano ogni cosa» dice Paolo Uccello a Flaiano, citando a un tempo Shakespeare e Jacopone da Todi. E ancora, in chiusura, citando La Bruyère ma parlando proprio a me: «È un mestiere fare un libro, come fare una pendola».
martedì 30 giugno 2020
non lo faccio più
sabato 31 agosto 2019
sintesi della mia estate
(Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi 1994)