Se c’è uno scrittore a cui mi sento affine per spirito e stile, quello è Ennio Flaiano. Sono vent’anni che scrivo e, a parte un paio di amici, ci fosse mai stato un critico che abbia notato questa somiglianza. Qui due sono le cose: o sono io che m’illudo parecchio sui miei mezzi, oppure Flaiano, anche se lo citano in molti, in verità l’hanno letto in pochi. L’altro giorno, in un’intervista, ho fatto io la prima mossa e l’ho citato apertamente fra i miei modelli. Silenzio tombale dall’altra parte. L’intervistatore non lo conosceva, e ha provato a rimediare rilanciando su Woody Allen. Stanotte, in sogno, mi ha chiamato Flaiano stesso, inferocito: «Insomma, la vuoi finire sì o no di mettermi in mezzo? Con le tu uscite mi stai rovinando la reputazione!» E io a piangere e scusarmi: «Mi dispiace Ennio, non ti volevo imbarazzare. È stato un errore, un malinteso. Non lo faccio più!».
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