Stamattina, rileggendo questa sua poesia, pensavo a D’Annunzio, idolatrato in vita e poi rifiutato in morte, e persino come scrittore ritenuto tronfio, vuoto e illeggibile soprattutto da chi i suoi libri non li ha mai nemmeno aperti. Io nemmeno li ho mai letti per intero e di lui conosco solo le poche poesie scolastiche, La pioggia nel pineto ad esempio, che forse è la poesia più parodiata del ‘900, segno forse che è molto meno fatua di quanto si crede se poi non riesci più a dimenticartela. Ma tutto D’Annunzio è così, insinuante e nascosto, e te ne accorgi soprattutto negli indizi lasciati fra le pagine da chi più lo ha tenuto a distanza, Malaparte e Pasolini, persino Montale. E pensavo anche al miracolo di quell’ultima poesia, Qui giacciono i miei cani, scritta nel 1935 e ritrovata fra le sue carte come un appunto, riemersa oggi, poco prima che venisse definitivamente relegato nei manuali scolastici come un residuo bellico, e invece citata apertamente, in tutto il suo puro nichilismo, da tanti nuovi autori come Magrelli (che la inserisce in un suo canone) e Trevi (che le dedica un libro). Si potrebbe mai dire di questi versi – che sono il corrispettivo novecentesco del quattrocentesco Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo – che sono tronfi e vuoti? All’improvviso D’Annunzio ritorna attuale e vivissimo proprio perché va fuori dal tempo e ancora di più, mi accorgo, c’è l’ironia di questo ex-poeta, a cui hanno tolto da tempo e con disprezzo lo status di vate, che viene salvato in extremis dal nulla, proprio da una sua poesia intorno al nulla che già si prefigurava.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
martedì 2 giugno 2020
intorno al nulla
Stamattina, rileggendo questa sua poesia, pensavo a D’Annunzio, idolatrato in vita e poi rifiutato in morte, e persino come scrittore ritenuto tronfio, vuoto e illeggibile soprattutto da chi i suoi libri non li ha mai nemmeno aperti. Io nemmeno li ho mai letti per intero e di lui conosco solo le poche poesie scolastiche, La pioggia nel pineto ad esempio, che forse è la poesia più parodiata del ‘900, segno forse che è molto meno fatua di quanto si crede se poi non riesci più a dimenticartela. Ma tutto D’Annunzio è così, insinuante e nascosto, e te ne accorgi soprattutto negli indizi lasciati fra le pagine da chi più lo ha tenuto a distanza, Malaparte e Pasolini, persino Montale. E pensavo anche al miracolo di quell’ultima poesia, Qui giacciono i miei cani, scritta nel 1935 e ritrovata fra le sue carte come un appunto, riemersa oggi, poco prima che venisse definitivamente relegato nei manuali scolastici come un residuo bellico, e invece citata apertamente, in tutto il suo puro nichilismo, da tanti nuovi autori come Magrelli (che la inserisce in un suo canone) e Trevi (che le dedica un libro). Si potrebbe mai dire di questi versi – che sono il corrispettivo novecentesco del quattrocentesco Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo – che sono tronfi e vuoti? All’improvviso D’Annunzio ritorna attuale e vivissimo proprio perché va fuori dal tempo e ancora di più, mi accorgo, c’è l’ironia di questo ex-poeta, a cui hanno tolto da tempo e con disprezzo lo status di vate, che viene salvato in extremis dal nulla, proprio da una sua poesia intorno al nulla che già si prefigurava.
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