Oggi
il servizio al Tg dice che, mentre mancano le figure tecniche e
professionali nelle aziende e si teme che l’avvento dell’AI e della
manodopera straniera porterà a una crisi senza pari del lavoro, in
Italia si abbassa sempre più il livello culturale della popolazione e le
scuole fanno sempre più fatica a formare le nuove generazioni. Un amico
insegnante mi racconta di un colloquio con una madre, anch’essa
insegnante, che di fronte ai voti bassissimi e al disinteresse
dei due figli (uno in prima e uno in terza) si giustifica dicendo che
tanto il loro è un problema generazionale, non ci si può fare niente, al
che il mio amico infastidito le ha risposto: “E noi che vogliamo fare,
ci vogliamo arrendere?”. Ma la situazione è comune a moltissimi
genitori, che più sono giovani e meno stanno dietro ai figli. Il futuro
per questi ragazzi, continua il servizio al Tg, si prospetta sempre più
nero. L’altro giorno una bambina in una classe delle medie ha detto che
da grande vuole fare la maestra perché “le maestre mangiano e dormono
tutto il tempo e non fanno niente”, il sogno di questi bambini infatti è
fare il meno possibile; un’altra bambina vuole fare il carabiniere
perché le piace l’idea di portare una divisa e picchiare in testa la
gente; mentre sta diventando una moda fra i maschietti (a quanto pare
introdotta da TikTok) dire che da grande faranno “i mantenuti”. In che
senso mantenuti? “Che mi cerco una ragazza più grande che lavora e mi
faccio mantenere da lei”. Niente di nuovo, insomma, ai tempi di Pasolini
quelli così si chiamavano papponi.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
venerdì 6 dicembre 2024
i papponi
venerdì 8 novembre 2024
pasolini
Ieri mi hanno ricordato che l'anno prossimo sono 50 anni esatti che è morto Pasolini. Dopo l'ubriacatura mistico-commerciale che c'è stata due anni fa per il centenario della nascita, non riesco a immaginarmi cosa ci inventeremo, eppure so per certo che in qualche modo riusciremo ancora a spremere qualche goccia di sangue dalla sua opera e dal suo corpo, forse riusciremo pure a dire, ufficialmente, chi lo ha ucciso e come. Dopo 50 anni di bugie e omertà forse ce la potremmo fare.
mercoledì 20 marzo 2024
un buon sceneggiatore
giovedì 16 novembre 2023
critica e dialetto in poesia
Poco fa mi è tornato in mente Tommaso Di Dio che nella sua nuova antologia della poesia italiana contemporanea non inserisce nemmeno un dialettale, giustificandosi dicendo che avrebbero preso troppo spazio nel piano dell’opera – ma se ne puoi fare a meno vuol dire che li ritieni comunque accessori, inessenziali al discorso – mentre rileggevo uno studio (di Daniele Maria Pegorari) sulle varie storie della letteratura italiana del ‘900 in cui si annotava che alcuni fra i più strenui oppositori della stessa poesia dialettale sono proprio i poeti, ancora meglio se di una certa sinistra storica. La diatriba, insomma, è vecchia. Sanguineti, ad esempio, li ignorava tutti in toto, considerandoli nel quadro sperimentale della nuova poesia italiana che auspicava, portatori di un retaggio ideologico passatista e al massimo interessante sul piano antropologico; così Fortini, che addirittura per i dialettali provava quasi un’avversione viscerale (scrivere in dialetto era come votare per la Lega, scriveva nei primi anni ’90). In particolare sono gustose alcune sue impressioni critiche sui dialettali, che sembrano particolarmente calzanti a contestare in particolar modo le scelte estetiche dell’amico-nemico Pasolini, che manco a dirlo è stato il primo a fare una vera e propria ricognizione della poesia dialettale in Italia, regione per regione, oltre a essere egli stesso poeta in friulano. Così Fortini nei suoi scritti paragona l’atto del poeta dialettale a un “rifiuto alla partecipazione politica”, dove il poeta che ricorre a una lingua che non è più parlata “si esclude dalla comunicazione e dalla stessa modernità”, svuotando la sua scrittura del principio di realtà e rifugiandosi così in un “antagonismo neo-decadente”, del tutto inattuale in “un sistema più simile a quello dell’età barocca” per via della convivenza pressoché pacifica di convenzione e anticonformismo. Scrivere in dialetto equivarrebbe, allora, a una sorta di “suicidio culturale” dell'autore o, per restare nello stesso ambito metaforico funebre, “una comunicazione cum mortuis in lingua mortua”. E qui davvero non si capisce più a chi sta parlando, se a uno solo in particolare, o se ai molti che gli sono seguiti.
giovedì 21 settembre 2023
luce
La luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci…
domenica 21 maggio 2023
una storia comica e perfettamente editoriale
mercoledì 15 marzo 2023
il modello vincente
Oggi leggevo un post malevolo contro il poeta D'Annunzio e pensavo che anche se ne scriviamo spesso malissimo, pur conoscendo poco o nulla della sua opera, alla fine ha vinto il suo modello, dove il personalismo ha la predominanza sul contenuto espresso dal pensiero. Chi legge più D'Annunzio oggi? Chi legge i versi di chiunque? Chi compra i versi di chiunque, a meno che non siano già marchiati dal successo del loro autore che dà lustro a noi col nostro acquisto? E quindi cosa compriamo, cosa vendiamo, che presentiamo di noi agli altri, a esclusione della nostra bella presenza, dei nostri fantastici post acchiappalike, delle recensioni sbandierate con finta umiltà, delle foto simpatiche o sexy su IG che non smuovono una vendita, al massimo se va bene una scopata? E mai che ammettiamo apertamente questo nostro "dannunzianesimo inconfessabile", come lo definì Carmelo Bene parlando di Pasolini. Questa nostra voglia di successo in cui la poesia è sorretta dal corpo del poeta e non l'opposto. Non a caso Pasolini è l'eroe per eccellenza dei nostri tempi, il più appellato: pochissimo letto, anche se citato da tutti come massimo esempio di qualsiasi cosa abbia mai fatto, e per questo riciclabile all'occorrenza.
lunedì 2 gennaio 2023
le domande di un lettore
Ciao Antonio, ho seguito il tuo consiglio e a Natale ho preso un libro di Pasolini. Ho preso Petrolio. È scritto molto bene. Sono al capitolo 10 e finora c’è uno che a me sembra Pasolini che adesca le bambine per strada e per eccitarsi si sbottona i pantaloni e mostra loro il pene. Sono sicuro che c’è un significato nascosto, ma qual è?
sabato 14 maggio 2022
primo spettacolo
mercoledì 20 aprile 2022
touché
Ieri credo, non ricordo su che testata, Nicola Lagioia diceva una cosa molto intelligente in un articolo che pure parlava d’altro, l’orribile guerra e come la viviamo/vediamo. Diceva, come chiusa del pezzo, che oggi in Italia abbiamo una lunga schiera di candidati a nuovi Pasolini ma nemmeno un Calvino. Touché. Ho questa sensazione che Calvino sia un po’ passato di moda, anche se un paio di libri suoi (Palomar su tutti) sono sempre bellissimi, ma nemmeno Pasolini è così letto come sembra. Più che altro, con lui, è forte la tentazione del j’accuse, con quella punta di masochismo privo di vera ironia che agli italiani – in fondo tutti cattoliconi fin nel midollo – piace così tanto. Ecco che stamattina, come cura per tutto questo, mi è capitato fra le mani il più elegante e perfido Flaiano, spesso rassegnato ma per questo mai violento, anche nei suoi momenti di massima infelicità. Flaiano puoi leggerlo in bagno senza perdere il filo del discorso e permette sempre di cavarsela con una battuta che per brevità puoi rivenderti su twitter. Meno Pasolini e più Flaiano, dunque? Ne verremo certamente migliorati. Questa, ad esempio, l’ho letta poco fa: “Ma è in questa solitudine prossima al delitto che nascono i pittori e i poeti della domenica” (da Diario degli errori).
sabato 12 marzo 2022
il segreto di pulcinella
Io so, diceva Pasolini. Io so i nomi dei responsabili delle stragi. Ecco, se c’è una cosa di cui mi sto rendendo conto in questi giorni sul conflitto ucraino, è la quantità spaventosa di persona che sapeva. Gli ucraini lo sapevano da prima della rivoluzione del 2014 e infatti lo aspettavano già da dieci anni a questa parte. I complottisti lo sapevano perché glielo ha detto Giulietto Chiesa nel famoso video che rivela come lo sapevano anche la CIA e la NATO, e se lo sapeva la NATO lo sapeva anche l’UE, ma lo sapevano persino in Australia, che partecipa alle esercitazioni NATO. Lo sapeva Israele che è pappa e ciccia con gli USA. Putin lo sapeva da un pezzo che avrebbe attaccato e se qualcuno aveva dubbi in merito lo hanno documentato quelli di Anonymous. Ma se lo sapeva Putin lo sapeva anche la Cina, visto che hanno aspettato la fine dei giochi olimpici, e se lo sapevano in Cina probabilmente lo sapevano anche in buona parte dell’Africa, visto che nel frattempo la Cina se n’è comprata metà nel silenzio di tutti. Lo sapeva persino il professor Orsini della Luiss di Roma che rivela come lo abbia detto in Senato che quindi, a sua volta, lo sapeva. L’unico che non sapeva nulla, in pratica, ero io. Ecco, in tutto questo il prof. Orsini, imbronciato e quasi in lacrime, accusa il fallimento dell’Europa e chiede in TV: “Perché nessuno, quando sono andato in Senato per dirlo, ha fatto nulla?” E a me invece verrebbe da chiedere: Ma se lo sapevano già tutti che sarebbe successo, e non l’hanno fatto, chi avrebbe dovuto fare qualcosa? Gli alieni? Se lo sapevano già tutti da anni, persino i pinguini in Antartico, non è la prova più evidente che tutti stavano semplicemente aspettando che scoppiasse? Non è già un complotto fatto e finito, questo? E mi pare che l’unica cosa che finora nessuno si aspettasse davvero è la strenua resistenza degli Ucraini. L’unica differenza che passa fra essere umani ed essere ingranaggi di un potere che dà già tutto per scontato, persino la vita degli altri. A volte l’umanità fa di queste sorprese. E questo a molti dà fastidio, secondo me, non per lo spargimento di sangue, ma perché li mette di fronte alla propria inutilità e grettezza.
venerdì 4 marzo 2022
les carabiniers
lunedì 8 novembre 2021
l'attualità di pasolini
L'attualità di Pasolini non cessa un solo giorno di stupirci. Persino in relazione alle polemiche di questi giorni filtrate da informazione e social, ecco cosa scrive il vate nel suo progetto di film per un “San Paolo”, con vari innesti dalla Bibbia: «Alcuni cristiani venuti dalla Giudea, insinuarono presso i fratelli non giudei: “Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete salvarvi”. Ne sorsero dissensi e discussioni con Paolo e Barnaba. Allora si decise che i due apostoli salissero a Gerusalemme a consultare gli anziani sulla scottante questione… – Finito di stendere queste righe, Luca, come riscosso e tornato alla realtà, si alza vivacemente, fa un rutto ed esce dalla stanza.»
sabato 31 ottobre 2020
il nemico
Ci sono poesie che hanno bisogno di un nemico per vivere, di un antagonista contro cui scagliarsi come pietre. Alcune delle poesie più belle di Sanguineti, contenute in POSTKARTEN (1972-1977), sono così. In particolare, verso la fine, ce ne sono due, una accanto all’altra, contro Montale e Sciascia, esponenti di un’Italia vecchia da stracciare. Sanguineti che era militante integrato nel PCI voleva fortemente, sulla linea di Berlinguer e insieme ad altri come Calvino, che il partito potesse andare al Governo, muovendosi di conseguenza, persino coi compromessi, perché – diceva – solo operando dall'interno si potevano cambiare in meglio le cose. In questo modo si scontrava con un'altra ala degli intellettuali di sinistra, con Fortini e Sciascia, i quali ritenevano che l'unica maniera pulita di fare politica, in uno Stato come il nostro, fosse quella di non compromettersi in nessun modo col potere e continuare a fare opposizione dall’esterno, fare letteralmente i cani da guardia del sistema. Ne scaturì, su L’Espresso, uno scambio di opinioni educato ma non pacifico con Sciascia, in cui maturò una rottura fra i due. E Montale? Montale, inconsapevolmente, fu all’origine di quello scontro. Intervistato in merito al processo alle Brigate Rosse per cui sedici dei giurati chiamati a far parte dell’assise si dichiararono, con tanto di certificato medico, inabili all’incarico, coerentemente con la propria filosofia di vita il poeta disse che da un certo punto di vista lui capiva quelle persone perché anche lui, da cittadino, avrebbe avuto paura. Ne scaturì una querelle per cui da una parte gli integrati del PCI gli rimproveravano la vigliaccheria (avrebbe dovuto invece dire, da intellettuale e senatore, che prima di tutto veniva il dovere verso lo Stato, perché “lo Stato siamo noi”, come scrisse Cavino), e dall’altra gli eretici che difesero Montale il quale aveva espresso il timore del cittadino comune proprio di fronte ai mali di uno Stato di cui non solo non si riconosce come parte, ma che anzi ti è nemico, antagonista. Chi aveva ragione e chi torto? Entrambi e nessuno, mi pare. Perché, se è vero che Sanguineti aveva ragione nel principio – non si può fare opposizione a vita, lasciando sempre agli altri la possibilità di decidere anche per te –, è anche vero che la nostra storia ha dato ragione a Sciascia. Ma ancora, va detto che se c’è stato un intellettuale che voleva fare una rivoluzione per essere meglio integrato con gli altri fu proprio Sanguineti, il quale non riuscì mai né a fare una rivoluzione, né a integrarsi in niente e con nessuno, troppo colto per mettersi alla pari con le classi operaie per cui faceva politica, che manco capivano la sua lingua, e troppo militante per trovare una mediazione possibile con chi parlava la sua stessa lingua ma non condivideva l’uguale integralismo politico. (E infatti, non a caso, il suo antagonista per eccellenza, fu l’amato-odiato Pasolini, che gli era tanto più simile nel rigore, nella solitudine e nelle pulsioni di morte di quanto Sanguineti stesso avrebbe mai voluto/potuto ammettere).
mercoledì 9 settembre 2020
in morte di nico naldini
lunedì 22 giugno 2020
toscanata
martedì 2 giugno 2020
intorno al nulla
Stamattina, rileggendo questa sua poesia, pensavo a D’Annunzio, idolatrato in vita e poi rifiutato in morte, e persino come scrittore ritenuto tronfio, vuoto e illeggibile soprattutto da chi i suoi libri non li ha mai nemmeno aperti. Io nemmeno li ho mai letti per intero e di lui conosco solo le poche poesie scolastiche, La pioggia nel pineto ad esempio, che forse è la poesia più parodiata del ‘900, segno forse che è molto meno fatua di quanto si crede se poi non riesci più a dimenticartela. Ma tutto D’Annunzio è così, insinuante e nascosto, e te ne accorgi soprattutto negli indizi lasciati fra le pagine da chi più lo ha tenuto a distanza, Malaparte e Pasolini, persino Montale. E pensavo anche al miracolo di quell’ultima poesia, Qui giacciono i miei cani, scritta nel 1935 e ritrovata fra le sue carte come un appunto, riemersa oggi, poco prima che venisse definitivamente relegato nei manuali scolastici come un residuo bellico, e invece citata apertamente, in tutto il suo puro nichilismo, da tanti nuovi autori come Magrelli (che la inserisce in un suo canone) e Trevi (che le dedica un libro). Si potrebbe mai dire di questi versi – che sono il corrispettivo novecentesco del quattrocentesco Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo – che sono tronfi e vuoti? All’improvviso D’Annunzio ritorna attuale e vivissimo proprio perché va fuori dal tempo e ancora di più, mi accorgo, c’è l’ironia di questo ex-poeta, a cui hanno tolto da tempo e con disprezzo lo status di vate, che viene salvato in extremis dal nulla, proprio da una sua poesia intorno al nulla che già si prefigurava.