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venerdì 6 dicembre 2024

i papponi

Oggi il servizio al Tg dice che, mentre mancano le figure tecniche e professionali nelle aziende e si teme che l’avvento dell’AI e della manodopera straniera porterà a una crisi senza pari del lavoro, in Italia si abbassa sempre più il livello culturale della popolazione e le scuole fanno sempre più fatica a formare le nuove generazioni. Un amico insegnante mi racconta di un colloquio con una madre, anch’essa insegnante, che di fronte ai voti bassissimi e al disinteresse dei due figli (uno in prima e uno in terza) si giustifica dicendo che tanto il loro è un problema generazionale, non ci si può fare niente, al che il mio amico infastidito le ha risposto: “E noi che vogliamo fare, ci vogliamo arrendere?”. Ma la situazione è comune a moltissimi genitori, che più sono giovani e meno stanno dietro ai figli. Il futuro per questi ragazzi, continua il servizio al Tg, si prospetta sempre più nero. L’altro giorno una bambina in una classe delle medie ha detto che da grande vuole fare la maestra perché “le maestre mangiano e dormono tutto il tempo e non fanno niente”, il sogno di questi bambini infatti è fare il meno possibile; un’altra bambina vuole fare il carabiniere perché le piace l’idea di portare una divisa e picchiare in testa la gente; mentre sta diventando una moda fra i maschietti (a quanto pare introdotta da TikTok) dire che da grande faranno “i mantenuti”. In che senso mantenuti? “Che mi cerco una ragazza più grande che lavora e mi faccio mantenere da lei”. Niente di nuovo, insomma, ai tempi di Pasolini quelli così si chiamavano papponi.

venerdì 8 novembre 2024

pasolini

Ieri mi hanno ricordato che l'anno prossimo sono 50 anni esatti che è morto Pasolini. Dopo l'ubriacatura mistico-commerciale che c'è stata due anni fa per il centenario della nascita, non riesco a immaginarmi cosa ci inventeremo, eppure so per certo che in qualche modo riusciremo ancora a spremere qualche goccia di sangue dalla sua opera e dal suo corpo, forse riusciremo pure a dire, ufficialmente, chi lo ha ucciso e come. Dopo 50 anni di bugie e omertà forse ce la potremmo fare.

mercoledì 20 marzo 2024

un buon sceneggiatore

Ci sono incontri che ti cambiano la vita anche sotto il profilo artistico. A volte preso in giro come un Visconti minore, Mauro Bolognini fa parte di quella schiera di registi tecnicamente molto dotati ma che hanno bisogno di un buon sceneggiatore per risplendere. Nel suo caso il personaggio chiave della sua filmografia è stato Pier Paolo Pasolini che prima ancora di fare egli stesso del cinema aveva lavorato come comparsa e sceneggiatore con Mario Soldati e Federico Fellini. Con la collaborazione di Pasolini, che per lui scrisse e adattò alcuni soggetti assai innovativi per l’epoca, Bolognini ha dato vita al periodo artisticamente più rilevante della sua carriera, quello fra la fine degli anni ’50 e i primi ‘60, con titoli come Giovani mariti (che fa il verso a I vitelloni), La notte brava, Il bell’Antonio e il più volte censurato La giornata balorda. Dei quattro i più belli sono probabilmente i due centrali, con La notte brava, interamente scritto da Pasolini, che è un film straordinario, dal ritmo forsennato, che attinge tanto al noir americano quanto alle atmosfere borgatare e al mal di vivere tipici di Pasolini, e Il Bell’Antonio che riprende la trama di Brancati ma la rielabora e trasforma per renderne più forti le atmosfere nichiliste e mortifere, il senso di vuoto che lo pervade. Dopo questi Bolognini farà ancora degli ottimi film (La viaccia, Senilità), ma tenderà ad adeguarsi nei ‘70, anche su suggerimento proprio di Pasolini che gli diceva “tutto ciò che ti serve è nel libro stesso” (il problema, aggiungo io, è come lo leggi) su un cinema di trasposizione letteraria eccelso sotto il profilo formale ma forse privo di guizzi (con delle palesi eccezioni, come ad esempio il truculento e sardonico Gran bollito). Oggi Pasolini è più famoso, ma il loro fu un rapporto di vera amicizia, di scambio alla pari, tanto che lo stesso Pasolini, che molto aveva imparato da Bolognini in ambito di ripresa e montaggio, quando decise che era venuto per lui il momento di girare il suo primo film, dopo un bidone ricevuto da Fellini, venne aiutato proprio da Bolognini che si era innamorato del suo progetto e gli trovò nel giro di un pomeriggio un produttore, Alfredo Bini, non solo restituendogli il favore, ma contribuendo effettivamente alla creazione di Accattone.

giovedì 16 novembre 2023

critica e dialetto in poesia

Poco fa mi è tornato in mente Tommaso Di Dio che nella sua nuova antologia della poesia italiana contemporanea non inserisce nemmeno un dialettale, giustificandosi dicendo che avrebbero preso troppo spazio nel piano dell’opera – ma se ne puoi fare a meno vuol dire che li ritieni comunque accessori, inessenziali al discorso – mentre rileggevo uno studio (di Daniele Maria Pegorari) sulle varie storie della letteratura italiana del ‘900 in cui si annotava che alcuni fra i più strenui oppositori della stessa poesia dialettale sono proprio i poeti, ancora meglio se di una certa sinistra storica. La diatriba, insomma, è vecchia. Sanguineti, ad esempio, li ignorava tutti in toto, considerandoli nel quadro sperimentale della nuova poesia italiana che auspicava, portatori di un retaggio ideologico passatista e al massimo interessante sul piano antropologico; così Fortini, che addirittura per i dialettali provava quasi un’avversione viscerale (scrivere in dialetto era come votare per la Lega, scriveva nei primi anni ’90). In particolare sono gustose alcune sue impressioni critiche sui dialettali, che sembrano particolarmente calzanti a contestare in particolar modo le scelte estetiche dell’amico-nemico Pasolini, che manco a dirlo è stato il primo a fare una vera e propria ricognizione della poesia dialettale in Italia, regione per regione, oltre a essere egli stesso poeta in friulano. Così Fortini nei suoi scritti paragona l’atto del poeta dialettale a un “rifiuto alla partecipazione politica”, dove il poeta che ricorre a una lingua che non è più parlata “si esclude dalla comunicazione e dalla stessa modernità”, svuotando la sua scrittura del principio di realtà e rifugiandosi così in un “antagonismo neo-decadente”, del tutto inattuale in “un sistema più simile a quello dell’età barocca” per via della convivenza pressoché pacifica di convenzione e anticonformismo. Scrivere in dialetto equivarrebbe, allora, a una sorta di “suicidio culturale” dell'autore o, per restare nello stesso ambito metaforico funebre, “una comunicazione cum mortuis in lingua mortua”. E qui davvero non si capisce più a chi sta parlando, se a uno solo in particolare, o se ai molti che gli sono seguiti.

giovedì 21 settembre 2023

luce

La luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci…

(Pasolini, 1957)

Ma come tarda la luce a ferirmi.
(Sereni, 1965)

domenica 21 maggio 2023

una storia comica e perfettamente editoriale

Rileggo "Miss Rosselli" di Renzo Paris e trovo comica, come la prima volta che l’ho letta, la storia della pubblicazione del suo primo libro, "Variazioni belliche". La Rosselli all’epoca ha 30 anni, vive in Italia pur non avendo ottenuto la cittadinanza (è a tutti gli effetti un’esule in patria) e sente di non aver concluso ancora nulla nella sua vita. Manda le sue poesie a Bobi Bazlen (Adelphi) che apprezza ma non ha i mezzi per pubblicare («Come al solito qui molti promettono e pochi possono», commenta la Rosselli in una lettera), poi va da Feltrinelli che la consiglia di rivolgersi a un editore “minore”, poi va da Mondadori, che le chiede un contributo economico. Infine, alla vecchia maniera italiana, va da suo cugino Alberto Moravia che la presenta a Pier Paolo Pasolini, il quale mette una buona parola e la fa pubblicare da Garzanti. Garzanti, dopo due anni, le rendiconta 0 vendite, nemmeno una copia venduta, cosa che fa inviperire la Rosselli, la quale replica all'editore che 1 copia l'ha comprata lei in libreria, quindi non possono certo essere 0. Ma l’opera, a parte una stroncatura di Spatola, piace tanto al Gruppo 63 che la invitano al celebre convegno di Palermo con cui provano, durante un’intensa settimana di lavori, a svecchiare il panorama della letteratura italiana, asfittico e colluso col potere, anche se la Rosselli li definisce dei provinciali arrivati in ritardo. Ironia della sorte, l’albergo che ospita il convegno del liberissimo Gruppo 63 è di proprietà di un noto esponente della P2.


mercoledì 15 marzo 2023

il modello vincente

Oggi leggevo un post malevolo contro il poeta D'Annunzio e pensavo che anche se ne scriviamo spesso malissimo, pur conoscendo poco o nulla della sua opera, alla fine ha vinto il suo modello, dove il personalismo ha la predominanza sul contenuto espresso dal pensiero. Chi legge più D'Annunzio oggi? Chi legge i versi di chiunque? Chi compra i versi di chiunque, a meno che non siano già marchiati dal successo del loro autore che dà lustro a noi col nostro acquisto? E quindi cosa compriamo, cosa vendiamo, che presentiamo di noi agli altri, a esclusione della nostra bella presenza, dei nostri fantastici post acchiappalike, delle recensioni sbandierate con finta umiltà, delle foto simpatiche o sexy su IG che non smuovono una vendita, al massimo se va bene una scopata? E mai che ammettiamo apertamente questo nostro "dannunzianesimo inconfessabile", come lo definì Carmelo Bene parlando di Pasolini. Questa nostra voglia di successo in cui la poesia è sorretta dal corpo del poeta e non l'opposto. Non a caso Pasolini è l'eroe per eccellenza dei nostri tempi, il più appellato: pochissimo letto, anche se citato da tutti come massimo esempio di qualsiasi cosa abbia mai fatto, e per questo riciclabile all'occorrenza.

lunedì 2 gennaio 2023

le domande di un lettore

Ciao Antonio, ho seguito il tuo consiglio e a Natale ho preso un libro di Pasolini. Ho preso Petrolio. È scritto molto bene. Sono al capitolo 10 e finora c’è uno che a me sembra Pasolini che adesca le bambine per strada e per eccitarsi si sbottona i pantaloni e mostra loro il pene. Sono sicuro che c’è un significato nascosto, ma qual è?

sabato 14 maggio 2022

primo spettacolo

Ieri sera ho visto il mio primo spettacolo in teatro da quando è scoppiata la pandemia. Mi sono accorto così che anche per fare lo spettatore occorre una disciplina che dopo più di due anni a casa va riconquistata. Lo spettacolo, Museo Pasolini di Ascanio Celestini – due ore assai belle ma impegnative, com’è giusto, perché uno spettacolo serio deve dare ma deve anche chiedere – si è trasformato presto in una lotta fra immaginazione e corpo, con la mia immaginazione che spingeva per uscire e sollevarsi e il mio corpo che mi rimproverava, e faceva i capricci, per riprendere peso. Ma quanto è scomoda questa poltrona? Mi fa male la schiena, mi si sta addormentando la gamba! E questa mascherina quant’è odiosa! Mi sembra di portare una museruola! Mi manca l’aria, mi sta salendo il mal di testa, ecco che mi sta pulsando un occhio, è la prova che sta per partirmi un vaso sanguigno, maledetta museruola! Oddio, devo riprendere fiato, mi serve una pausa, fatemi alzare, non riesco più a seguire cosa dice… e se l’abbassassi piano piano sul mento e mi prendessi una boccata d’aria, mi noterà qualcuno? Ma non c’è storia, devo, o quello o vado in ipoventilazione! E così avremo due poeti morti stasera, Pier Paolo Pasolini e Vitantonio Lillo, uno ammazzato dal fascismo e l’altro dalla mascherina. Ma quella che mi scalcia dalla poltrona dietro che vuole, starà soffocando anche lei? Madonna, meglio non pensarci, meglio concentrarsi sulle parole… Ma qui mi sta venendo fame, sono due ore che Ascanio parla di maritozzi nel caffè, di caciare e caciotte, di mangiarsi gli elefanti del circo! E se comincia a brontolarmi lo stomaco si sentirà in sala? Ma come fa a parlare così tanto senza incepparsi? Gli verrà mai sete? E il mal di gola? Si scorderà le parole qualche volta? E con un corpo così piccolo, dove le terrà nascoste?

mercoledì 20 aprile 2022

touché

Ieri credo, non ricordo su che testata, Nicola Lagioia diceva una cosa molto intelligente in un articolo che pure parlava d’altro, l’orribile guerra e come la viviamo/vediamo. Diceva, come chiusa del pezzo, che oggi in Italia abbiamo una lunga schiera di candidati a nuovi Pasolini ma nemmeno un Calvino. Touché. Ho questa sensazione che Calvino sia un po’ passato di moda, anche se un paio di libri suoi (Palomar su tutti) sono sempre bellissimi, ma nemmeno Pasolini è così letto come sembra. Più che altro, con lui, è forte la tentazione del j’accuse, con quella punta di masochismo privo di vera ironia che agli italiani – in fondo tutti cattoliconi fin nel midollo – piace così tanto. Ecco che stamattina, come cura per tutto questo, mi è capitato fra le mani il più elegante e perfido Flaiano, spesso rassegnato ma per questo mai violento, anche nei suoi momenti di massima infelicità. Flaiano puoi leggerlo in bagno senza perdere il filo del discorso e permette sempre di cavarsela con una battuta che per brevità puoi rivenderti su twitter. Meno Pasolini e più Flaiano, dunque? Ne verremo certamente migliorati. Questa, ad esempio, l’ho letta poco fa: “Ma è in questa solitudine prossima al delitto che nascono i pittori e i poeti della domenica” (da Diario degli errori).

sabato 12 marzo 2022

il segreto di pulcinella

Io so, diceva Pasolini. Io so i nomi dei responsabili delle stragi. Ecco, se c’è una cosa di cui mi sto rendendo conto in questi giorni sul conflitto ucraino, è la quantità spaventosa di persona che sapeva. Gli ucraini lo sapevano da prima della rivoluzione del 2014 e infatti lo aspettavano già da dieci anni a questa parte. I complottisti lo sapevano perché glielo ha detto Giulietto Chiesa nel famoso video che rivela come lo sapevano anche la CIA e la NATO, e se lo sapeva la NATO lo sapeva anche l’UE, ma lo sapevano persino in Australia, che partecipa alle esercitazioni NATO. Lo sapeva Israele che è pappa e ciccia con gli USA. Putin lo sapeva da un pezzo che avrebbe attaccato e se qualcuno aveva dubbi in merito lo hanno documentato quelli di Anonymous. Ma se lo sapeva Putin lo sapeva anche la Cina, visto che hanno aspettato la fine dei giochi olimpici, e se lo sapevano in Cina probabilmente lo sapevano anche in buona parte dell’Africa, visto che nel frattempo la Cina se n’è comprata metà nel silenzio di tutti. Lo sapeva persino il professor Orsini della Luiss di Roma che rivela come lo abbia detto in Senato che quindi, a sua volta, lo sapeva. L’unico che non sapeva nulla, in pratica, ero io. Ecco, in tutto questo il prof. Orsini, imbronciato e quasi in lacrime, accusa il fallimento dell’Europa e chiede in TV: “Perché nessuno, quando sono andato in Senato per dirlo, ha fatto nulla?” E a me invece verrebbe da chiedere: Ma se lo sapevano già tutti che sarebbe successo, e non l’hanno fatto, chi avrebbe dovuto fare qualcosa? Gli alieni? Se lo sapevano già tutti da anni, persino i pinguini in Antartico, non è la prova più evidente che tutti stavano semplicemente aspettando che scoppiasse? Non è già un complotto fatto e finito, questo? E mi pare che l’unica cosa che finora nessuno si aspettasse davvero è la strenua resistenza degli Ucraini. L’unica differenza che passa fra essere umani ed essere ingranaggi di un potere che dà già tutto per scontato, persino la vita degli altri. A volte l’umanità fa di queste sorprese. E questo a molti dà fastidio, secondo me, non per lo spargimento di sangue, ma perché li mette di fronte alla propria inutilità e grettezza.

venerdì 4 marzo 2022

les carabiniers

Ho appena finito di vedere quello che, almeno per i miei gusti, è uno dei più bei film di Godard dei Sessanta, l’assai sottovalutato Les Carabiniers del 1963. Realizzato in appena tre settimane, al contrario di altri suoi film ha una trama solida, probabilmente perché adattato da un testo teatrale insieme a Roberto Rossellini e Jean Gruault. Girato in un efficace bianco e nero sporco, il film è chiaramente debitore tanto di Brecht, soprattutto per l’uso delle didascalie, quanto di certo cinema neorealista e per certi versi ricorda il primo Pasolini. Non ha però una trasposizione in italiano – si può vederlo solo in francese coi sottotitoli – perché l’arma dei Carabinieri all’epoca si sentì offesa dall’adattamento di Rossellini e da come si vedevano rappresentati. Una cosa simile era già capitata cinque anni prima con La grande guerra di Monicelli, che ha qualcosa di simile nel soggetto, quando l’esercito si ritenne offeso dall’immagine che se ne dava e pretese un riscatto finale dei due protagonisti. Ma nemmeno in Francia il film andò bene, tanto che Godard corse ai ripari girando immediatamente Il disprezzo attraverso cui riprese quota al botteghino mostrando il culo della Bardot, insieme a quel genio di Fritz Lang e a Villa Malaparte. Di cosa parla il film di Godard? Di due poveracci che vivono nelle baracche con le loro compagne e vengono arruolati dai carabinieri (fucilieri) del re con la promessa di potersi facilmente arricchire in guerra, attraverso il saccheggio. Quando vanno in guerra uccidono, stuprano, rapinano senza il minimo rimorso, ma quando tornano a casa sono più poveri di prima. Allo scoppio di una rivoluzione vengono ammazzati, proprio dai carabinieri, per ordine del re. Rispetto a quello di Monicelli in questo caso non c’è nessuna maturazione o riscatto personale: i due protagonisti sono degli imbecilli amorali che non solo vengono abbruttiti dalla guerra, ma muoiono senza nemmeno capire il male che hanno fatto. Ragion per cui il film all’epoca venne letteralmente stroncato dalla critica che rinfacciò a Godard – ingiustamente – di aver semplificato la guerra e per questo offeso le sue vittime. Il pubblico, in ogni caso, preferì Il disprezzo.

lunedì 8 novembre 2021

l'attualità di pasolini

L'attualità di Pasolini non cessa un solo giorno di stupirci. Persino in relazione alle polemiche di questi giorni filtrate da informazione e social, ecco cosa scrive il vate nel suo progetto di film per un “San Paolo”, con vari innesti dalla Bibbia: «Alcuni cristiani venuti dalla Giudea, insinuarono presso i fratelli non giudei: “Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete salvarvi”. Ne sorsero dissensi e discussioni con Paolo e Barnaba. Allora si decise che i due apostoli salissero a Gerusalemme a consultare gli anziani sulla scottante questione… – Finito di stendere queste righe, Luca, come riscosso e tornato alla realtà, si alza vivacemente, fa un rutto ed esce dalla stanza.»

sabato 31 ottobre 2020

il nemico

Ci sono poesie che hanno bisogno di un nemico per vivere, di un antagonista contro cui scagliarsi come pietre. Alcune delle poesie più belle di Sanguineti, contenute in POSTKARTEN (1972-1977), sono così. In particolare, verso la fine, ce ne sono due, una accanto all’altra, contro Montale e Sciascia, esponenti di un’Italia vecchia da stracciare. Sanguineti che era militante integrato nel PCI voleva fortemente, sulla linea di Berlinguer e insieme ad altri come Calvino, che il partito potesse andare al Governo, muovendosi di conseguenza, persino coi compromessi, perché – diceva – solo operando dall'interno si potevano cambiare in meglio le cose. In questo modo si scontrava con un'altra ala degli intellettuali di sinistra, con Fortini e Sciascia, i quali ritenevano che l'unica maniera pulita di fare politica, in uno Stato come il nostro, fosse quella di non compromettersi in nessun modo col potere e continuare a fare opposizione dall’esterno, fare letteralmente i cani da guardia del sistema. Ne scaturì, su L’Espresso, uno scambio di opinioni educato ma non pacifico con Sciascia, in cui maturò una rottura fra i due. E Montale? Montale, inconsapevolmente, fu all’origine di quello scontro. Intervistato in merito al processo alle Brigate Rosse per cui sedici dei giurati chiamati a far parte dell’assise si dichiararono, con tanto di certificato medico, inabili all’incarico, coerentemente con la propria filosofia di vita il poeta disse che da un certo punto di vista lui capiva quelle persone perché anche lui, da cittadino, avrebbe avuto paura. Ne scaturì una querelle per cui da una parte gli integrati del PCI gli rimproveravano la vigliaccheria (avrebbe dovuto invece dire, da intellettuale e senatore, che prima di tutto veniva il dovere verso lo Stato, perché “lo Stato siamo noi”, come scrisse Cavino), e dall’altra gli eretici che difesero Montale il quale aveva espresso il timore del cittadino comune proprio di fronte ai mali di uno Stato di cui non solo non si riconosce come parte, ma che anzi ti è nemico, antagonista. Chi aveva ragione e chi torto? Entrambi e nessuno, mi pare. Perché, se è vero che Sanguineti aveva ragione nel principio – non si può fare opposizione a vita, lasciando sempre agli altri la possibilità di decidere anche per te –, è anche vero che la nostra storia ha dato ragione a Sciascia. Ma ancora, va detto che se c’è stato un intellettuale che voleva fare una rivoluzione per essere meglio integrato con gli altri fu proprio Sanguineti, il quale non riuscì mai né a fare una rivoluzione, né a integrarsi in niente e con nessuno, troppo colto per mettersi alla pari con le classi operaie per cui faceva politica, che manco capivano la sua lingua, e troppo militante per trovare una mediazione possibile con chi parlava la sua stessa lingua ma non condivideva l’uguale integralismo politico. (E infatti, non a caso, il suo antagonista per eccellenza, fu l’amato-odiato Pasolini, che gli era tanto più simile nel rigore, nella solitudine e nelle pulsioni di morte di quanto Sanguineti stesso avrebbe mai voluto/potuto ammettere).

mercoledì 9 settembre 2020

in morte di nico naldini

È morto oggi Nico Naldini, che fu cugino e biografo di Pasolini. Naldini era fra quelli che sostenevano che Pasolini non fu vittima di una congiura ma semplicemente dei propri vizi. Ho sempre pensato che, proprio per questo, fu tra quelli che più soffrirono per la sua morte. Perché gridare "me lo hanno ammazzato!" come faceva Laura Betti, in parte assolve da colpe, lanciadole fuori, all'esterno, come pietre; mentre, all'opposto, persino il più rassegnato "si è fatto ammazzare" sottintende quasi sempre, con furore autopunitivo, un opprimente "...e io non ero lì a salvarlo".


lunedì 22 giugno 2020

toscanata

Ieri ho letto due articoli che ho trovato a loro modo stupidi. Il primo diceva (più o meno, vado a memoria): Contro Montanelli leggiamo piuttosto Malaparte, che fu suo avversario e scrittore coi fiocchi. Contro? Il secondo (cito sempre a memoria): perché Montanelli no e Pasolini sì? Risposta: Perché Pasolini in vita ha sofferto di più, pagando per le sue colpe. Che sono un po’ delle stronzate. Primo, perché Malaparte fu fascista tanto quanto Montanelli, al punto che partecipò alla marcia su Roma ed ebbe un ruolo attivo nell’omicidio Matteotti, nel senso che non uccise lui Matteotti ma, per mandato di Mussolini, coprì in tribunale gli assassini di Matteotti con una falsa testimonianza, quindi partecipando alla loro impunità e all’affermazione definitiva del fascismo che si poneva al di sopra della Legge dello Stato. Ci sono dei motivi per le sue azioni, ma il peccato rimane. E secondo perché, rispetto a Montanelli che violentò una bambina in Africa, Pasolini dall’agosto 1949, anno del primo processo per corruzione di minori, al giorno della sua morte, nel novembre del 1975, ogni singola notte della sua vita uscì a procacciarsi dei ragazzi (sono 26 anni circa, se calcoliamo uno a notte, per difetto sono circa 7000 incontri). Questi ragazzi erano spesso adolescenti, che adescava nelle borgate povere puntando, per sedurli, sulla sua auto fiammante e pagandone bene le prestazioni; mi pare che anche questo sia un rapporto di tipo padronale: non colonialista certo, ma economico, in cui ti compri le persone in virtù del tuo potere economico. Né mi pare si sia mai pentito, o meglio le uniche scuse che gli ho visto fare, in poesia, per il suo “equivoco amore” sono state verso sua madre, non verso i ragazzini. E va bene che molti di loro erano dei tagliagole, piccoli delinquenti o comunque ragazzi di vita, dei duri, cresciuti per la strada, ma se la pensiamo così che differenza passa, a questo punto, con usare l’espressione “ma lì le ragazze a quell’età sono già donne”? Non è lo stesso tipo di ragionamento? Quello che voglio dire è che leggo Malaparte con piacere immenso perché è scrittore immensamente più grande di Montanelli (e non solo), e questo lo sosterrò sempre indipendentemente dalle sue colpe, perché opero una scelta estetica, ma sulla bilancia dei peccati umani non è che uno sia migliore dell’altro e io questo nella mia testa lo so bene, e lo dico, né cerco giustificazioni morali attraverso la scrittura. E allo stesso modo faccio con Pasolini, di cui ho letto e visto (credo) quasi tutto, ma se dovessi metterli sulla bilancia dei peccati contro i minori non sono affatto sicuro che questa penderebbe dalla parte di Montanelli, anzi, direi l’opposto. Pasolini fu anche una vittima della nostra società, è vero, assai più di Montanelli, è vero. Ma tu, lettore, di fronte a uno dei tanti ragazzi violati da Pasolini, facendo una classica e volgarissima “toscanata” (per dirla come Malaparte), avresti mai il coraggio di dirgli: «Coraggio, poteva andarti peggio, poteva trombarti Montanelli».

martedì 2 giugno 2020

intorno al nulla


Stamattina, rileggendo questa sua poesia, pensavo a D’Annunzio, idolatrato in vita e poi rifiutato in morte, e persino come scrittore ritenuto tronfio, vuoto e illeggibile soprattutto da chi i suoi libri non li ha mai nemmeno aperti. Io nemmeno li ho mai letti per intero e di lui conosco solo le poche poesie scolastiche, La pioggia nel pineto ad esempio, che forse è la poesia più parodiata del ‘900, segno forse che è molto meno fatua di quanto si crede se poi non riesci più a dimenticartela. Ma tutto D’Annunzio è così, insinuante e nascosto, e te ne accorgi soprattutto negli indizi lasciati fra le pagine da chi più lo ha tenuto a distanza, Malaparte e Pasolini, persino Montale. E pensavo anche al miracolo di quell’ultima poesia, Qui giacciono i miei cani, scritta nel 1935 e ritrovata fra le sue carte come un appunto, riemersa oggi, poco prima che venisse definitivamente relegato nei manuali scolastici come un residuo bellico, e invece citata apertamente, in tutto il suo puro nichilismo, da tanti nuovi autori come Magrelli (che la inserisce in un suo canone) e Trevi (che le dedica un libro). Si potrebbe mai dire di questi versi – che sono il corrispettivo novecentesco del quattrocentesco Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo – che sono tronfi e vuoti? All’improvviso D’Annunzio ritorna attuale e vivissimo proprio perché va fuori dal tempo e ancora di più, mi accorgo, c’è l’ironia di questo ex-poeta, a cui hanno tolto da tempo e con disprezzo lo status di vate, che viene salvato in extremis dal nulla, proprio da una sua poesia intorno al nulla che già si prefigurava.

domenica 26 aprile 2020

quando un popolo canta

Ieri 25 aprile 2020 credo di aver sentito la mia Bella ciao preferita da molti anni a questa parte, nella versione cantata da Guccini con la voce tremante da vecchio, commovente nella sua purezza un po’ naif e insieme irriducibile. Guccini ne ha modificato il testo per attaccare, come fa da sempre, Berlusconi Salvini e i fasci della Meloni, e così cantando ha fatto incazzare la Meloni, ridando insomma alla canzone un senso politico che, devo dire la verità, mi sembra più divisivo che inclusivo: non il “25 è di tutti”, ma “tu no, tu non puoi, tu sei fuori”. Nella voce di Guccini non è più la canzone della grande festa popolare come spesso la viviamo, ma la viva testimonianza di qualcosa di irrisolto nella nostra identità di popolo. Io me la vivo spesso come un grande dubbio questa cosa, come una contraddizione: ma “se tu no, tu non puoi” mi chiedo, perché queste persone dovrebbero festeggiare, come rimproveriamo loro di non fare, una festa dove non sono gradite? Abbiamo fatto abbastanza per coinvolgerle, oppure no, non le volevamo proprio, perché ci faceva comodo avere un nemico che rafforzasse le nostre convinzioni? Io non lo so, e per dirla come Brecht: “solo i ciechi parlano di soluzioni, ma io ci vedo bene e non ho speranze per nessuno”. So che l’Italia che è venuta fuori dalla guerra non è più la loro, eppure è anche la loro perché un sacco di cose non sono state mai dette né risolte, perché come diceva Pasolini avremmo dovuto chiedere, avremmo dovuto voler sapere di più di quel che ci hanno detto, ma sapere non conveniva a nessuno, perché i puri, i veri puri di questa nazione, coloro che l’hanno fondata e la cui memoria inneggiamo il 25 aprile, sono stati una manciata, un “piatto di grano”, tutti gli altri bene o male da qualche parte sono saliti sul carro dei vincitori e hanno accettato dei compromessi per mantenersi vivi. Ieri però, nonostante la clausura, si respirava una bella atmosfera in questa Italia. Sospetto che per una volta sia stato merito del coronavirus, perché forse, se ci fosse stato il nulla osta, molta gente semplicemente sarebbe andata al mare a godersela la libertà invece di cantarla, ma che importa. Alla fine hanno cantato tutti, così la sera del 25 aprile del 2020 è arrivata la notizia della morte di Kim Jong-un e ho pensato che forse è vero, quando un popolo canta tutto insieme da qualche parte muore un dittatore.

sabato 4 aprile 2020

mentre tu sei in gattabuia

Scott Walker reinterpreta e omaggia, in questo pezzo, Pasolini. Il testo si basa infatti su "Uno dei tanti epiloghi" bellissima (bellissima) poesia d'amore scritta come addio a Ninetto Davoli e contenuta in "Trasumanar e organizzar". "Dio mio," scrive Pasolini "mentre tu sei in gattabuia, prendo con paura / l’aereo per un luogo lontano. Della nostra vita sono insaziabile, / perché una cosa unica al mondo non può essere mai esaurita."

giovedì 5 marzo 2020

pasolini giornalista

Ieri ho letto questo pezzo uscito su Pangea in cui l'autore, Luigi Mascheroni, discutendo questa tesi, peraltro interessante, che alcuni dei più bei libri pubblicati in Italia, e specie negli ultimi anni, sono opere di nofiction o autofiction scritte da giornalisti, cita vari esempi, a cominciare da Malaparte in copertina; fino al punto di inserire nella lista il Pasolini "giornalista" di Scritti corsari, essendo (dice) i romanzi illeggibili, le poesie illeggibili e cariche di ideologia, i film inguardabili ecc. E qui, secondo me, l'autore ha detto due fesserie in una. La prima perché Scritti corsari non è l'opera di un giornalista che prova a strutturarsi narrativamente, ma all'opposto è il libro di un poeta che prova a fare il giornalista: tutto il libro è montato intuitivamente come una raccolta di poesie in prosa, e resta ancora affascinante non per la sua attualità (quella sì superata dalla storia e dalla cronaca), ma per la fortissima sensibilità poetica sottesa al testo (Io so, L'articolo delle lucciole, persino il brutto articolo sui capelloni, sono ancora capaci di "illuminare" il lettore non certo per il "fatto" che raccontano, ma per la lingua e per lo sguardo utilizzati, che sono lingua e sguardo del poeta); e la seconda fesseria perché quella degli Scritti corsari è l'identica sensibilità poetica che fa da filtro, senza distinzioni, a tutti i lavori di Pasolini, alcuni più riusciti altri meno. E per cui, molte sue raccolte in versi, anche le più ideologiche, anzi soprattutto quelle, sono ancora leggibilissime (come dice Bordini, Trasumanar e Organizzar è la più autenticamente "dantesca" delle opere pasoliniane); e di sicuro tutti i suoi film sono guardabilissimi e a volte addirittura straordinari (a cominciare, per me, dal visionario e ideologico Porcile).