Ieri sera ho
visto il mio primo spettacolo in teatro da quando è scoppiata la pandemia. Mi
sono accorto così che anche per fare lo spettatore occorre una disciplina che
dopo più di due anni a casa va riconquistata. Lo spettacolo, Museo Pasolini di
Ascanio Celestini – due ore assai belle ma impegnative, com’è giusto, perché uno
spettacolo serio deve dare ma deve anche chiedere – si è trasformato presto in
una lotta fra immaginazione e corpo, con la mia immaginazione che spingeva per
uscire e sollevarsi e il mio corpo che mi rimproverava, e faceva i capricci,
per riprendere peso. Ma quanto è scomoda questa poltrona? Mi fa male la
schiena, mi si sta addormentando la gamba! E questa mascherina quant’è odiosa!
Mi sembra di portare una museruola! Mi manca l’aria, mi sta salendo il mal di
testa, ecco che mi sta pulsando un occhio, è la prova che sta per partirmi un
vaso sanguigno, maledetta museruola! Oddio, devo riprendere fiato, mi serve una
pausa, fatemi alzare, non riesco più a seguire cosa dice… e se l’abbassassi
piano piano sul mento e mi prendessi una boccata d’aria, mi noterà qualcuno? Ma
non c’è storia, devo, o quello o vado in ipoventilazione! E così avremo due
poeti morti stasera, Pier Paolo Pasolini e Vitantonio Lillo, uno ammazzato dal
fascismo e l’altro dalla mascherina. Ma quella che mi scalcia dalla poltrona
dietro che vuole, starà soffocando anche lei? Madonna, meglio non pensarci, meglio
concentrarsi sulle parole… Ma qui mi sta venendo fame, sono due ore che Ascanio
parla di maritozzi nel caffè, di caciare e caciotte, di mangiarsi gli elefanti
del circo! E se comincia a brontolarmi lo stomaco si sentirà in sala? Ma come
fa a parlare così tanto senza incepparsi? Gli verrà mai sete? E il mal di gola?
Si scorderà le parole qualche volta? E con un corpo così piccolo, dove le terrà
nascoste?
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