“Ma perché vi ostinate a partecipare ai concorsi di poesia? – scrivono alcuni – I concorsi sono tutti truccati, oppure delle pagliacciate. E i poeti veri i concorsi non li guardano nemmeno, leggono i grandi e scrivono le loro cose per sé.” Sarà così, ma io so che la storia della poesia è piena, da sempre, di concorsi e di liti anche epiche fra i “poeti veri” per i premi in denaro: la mia preferita resta quella di Giorgio Caproni e Giovanni Giudici che al premio Viareggio 1988 contestarono la vittoria di Raffaello Baldini dicendo che la sua, che scriveva in dialetto di Santarcangelo, era una lingua “ignota”. Alla faccia della sportività dei poeti. C’è anche un’acidissima leggenda metropolitana che raccomanda di non partecipare mai a un concorso ogni qualvolta Milo De Angelis pubblica un nuovo libro perché tanto a quel punto li vincerà tutti lui. Uno mi dirà che Milo non ne sa nulla, che è tutta colpa dell’ufficio stampa di Mondadori. Ma io non ho mai sentito di De Angelis abbia che si sia sdegnato della cosa e detto: “Madonna, come li odio questi concorsi letterari, dove mi danno 1000, 2000, 5000 euro per aver scritto il mio libro, nono dateli a un altro, io preferisco restarmene a casa a tradurre Lucrezio.” Scrivo questo post contraddicendomi, perché dopo averli visti/vissuti a me i concorsi stanno mediamente antipatici ma non trovo giusto negarli ai miei autori, anzi di recente me ne sono scordati un paio a cui mandare dei libri e mi sento in colpa. Per fortuna che i concorsi sono sempre lì e li recuperiamo l’anno prossimo, sperando che Milo nel frattempo non pubblichi nulla.
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