giovedì 16 novembre 2023

critica e dialetto in poesia

Poco fa mi è tornato in mente Tommaso Di Dio che nella sua nuova antologia della poesia italiana contemporanea non inserisce nemmeno un dialettale, giustificandosi dicendo che avrebbero preso troppo spazio nel piano dell’opera – ma se ne puoi fare a meno vuol dire che li ritieni comunque accessori, inessenziali al discorso – mentre rileggevo uno studio (di Daniele Maria Pegorari) sulle varie storie della letteratura italiana del ‘900 in cui si annotava che alcuni fra i più strenui oppositori della stessa poesia dialettale sono proprio i poeti, ancora meglio se di una certa sinistra storica. La diatriba, insomma, è vecchia. Sanguineti, ad esempio, li ignorava tutti in toto, considerandoli nel quadro sperimentale della nuova poesia italiana che auspicava, portatori di un retaggio ideologico passatista e al massimo interessante sul piano antropologico; così Fortini, che addirittura per i dialettali provava quasi un’avversione viscerale (scrivere in dialetto era come votare per la Lega, scriveva nei primi anni ’90). In particolare sono gustose alcune sue impressioni critiche sui dialettali, che sembrano particolarmente calzanti a contestare in particolar modo le scelte estetiche dell’amico-nemico Pasolini, che manco a dirlo è stato il primo a fare una vera e propria ricognizione della poesia dialettale in Italia, regione per regione, oltre a essere egli stesso poeta in friulano. Così Fortini nei suoi scritti paragona l’atto del poeta dialettale a un “rifiuto alla partecipazione politica”, dove il poeta che ricorre a una lingua che non è più parlata “si esclude dalla comunicazione e dalla stessa modernità”, svuotando la sua scrittura del principio di realtà e rifugiandosi così in un “antagonismo neo-decadente”, del tutto inattuale in “un sistema più simile a quello dell’età barocca” per via della convivenza pressoché pacifica di convenzione e anticonformismo. Scrivere in dialetto equivarrebbe, allora, a una sorta di “suicidio culturale” dell'autore o, per restare nello stesso ambito metaforico funebre, “una comunicazione cum mortuis in lingua mortua”. E qui davvero non si capisce più a chi sta parlando, se a uno solo in particolare, o se ai molti che gli sono seguiti.

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