Anche io sono convinto, come tutti, che viviamo in un periodo di continua propaganda, spesso giornalistica, che ci bombarda dalla mattina alla sera con notizie interessate a descriverci una realtà manichea dove noi si sta sempre dalla parte dei buoni. Però, devo anche dire, non sempre il modo in cui esprimiamo il nostro dissenso critico è più limpido, e meno interessato, del modo in cui si fanno infinocchiare gli altri. Ad esempio, a parità di bombardamento mediatico sui fatti di guerra di questi giorni a Gaza, se messi a confronto con quelli dell’anno passato in Ucraina, io ancora non ho letto un giudizio dissidente che si lamenta – come invece facevano di continuo l’anno scorso – che quando si parla, su tutti i canali televisivi e social, o pro o contro, di quell’orribile e ingiustificato attacco, ci si scorda degli altri 59 o 60 conflitti in corso nel mondo, molti dei quali in Africa. Io questo rimprovero che facevano tutti: “perché non parlate delle altre guerre del mondo?” oggi non lo sento più dire da nessuno, né da una parte né dall’altra della barricata, e mentre i Tg rilanciano la palla più fiaccamente sul conflitto in Ucraina, dell’Afghanistan, ad esempio, che era il caso precedente non ne parla più nessuno in assoluto. Che non significa che minimizzo lo schifo che mi fanno i fatti in corso, significa che (almeno per ciò che vedo) per alcuni un morto nel conflitto in Sudan acquista più o meno rilevanza umana, o peggio ancora statistica, se messo sulla bilancia a confronto del conflitto che gli sta più o meno a cuore, o che intende contestare, e questo mi pare non sia tanto giusto, né alla fine un discorso più pulito di tanti altri.
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