Alcuni artisti, in genere i più indipendenti – quelli che oggi vengono definiti geni ribelli – alle prese con Hollywood ebbero più problemi che gratificazioni. Charlie Chaplin, ad esempio, venne cacciato dall’America per la sua vita scandalosa, e ancora di più Orson Welles o Erich Von Stroheim che nella terra della libertà finirono esattamente come Eisenstein sotto Stalin, incompresi, e per questo temuti, ostacolati e censurati a vita con la scusa che erano “inaffidabili”. Ma problemi ebbero anche tutti coloro che sulle prime erano stati accolti a braccia aperte. Per Fritz Lang l’America cominciò come una lunga vacanza e si chiuse nel disgusto per Hollywood. Jean Renoir, meno cinico e assai più poetico, quel disgusto lo avvertì da subito e non riuscì mai ad adeguarsi al sistema, fu anzi uno dei pochi a scappare da quella gabbia di matti, rimpatriando subito dopo la guerra. Mentre Murnau faceva di necessità virtù e compensava malumori artistici e cattiva fama personale con la frequentazione di bei ragazzi disponibili. L’unico regista europeo emigrato a Hollywood che in America si sentì liberato fu Ernst Lubitsch a cui tutta quell’ipocrisia americana piaceva da matti. Ci sguazzava dentro come un maiale nel fango, e infatti il decantato “Lubitsch touch”, come lo definivano i suoi ammiratori, Billy Wilder in testa, altro non era che l’insieme degli espedienti visivi e narrativi studiati da Lubitsch per aggirare la ferrea censura americana. E il più delle volte ci riusciva perché Lubitsch non solo era un genio, ma ci si divertiva. Tutto quel divertimento si avverte e rende le sue pellicole ancora deliziose. La cosa più bella, però, è stata scoprire come il primo film perfettamente compiuto da Lubitsch in America – e non scordiamo che L. era arrivato dall’Europa con la fama di regista di drammoni storici – il primo film realizzato nel nuovo stile “americano” in cui poi eccelse, quel tipo di commedia romantica, brillantissima, leggera, ma non frivola, sensuale, allusiva e agile, perfettamente caricata come un orologio austriaco, sia The Marriage Circle, film ancora muto che parla di seduzione, di desiderio come vero motore della vita, di scambi di coppia e di corna senza pentimento, e tutto questo nel 1924; la cosa più bella è stata scoprire come tale opera, e tutta la rivoluzione stilistica che si porta dietro, sia stata ispirata, o meglio ancora stimolata, dalla visione di A Woman of Paris di Charlie Chaplin, primo film drammatico, e delicatissimo, del regista inglese che nel 1923 sfidò il pubblico americano a seguirlo in una storia matura, senza il vagabondo e senza nemmeno un vero e proprio lieto fine. Infatti al pubblico non piacque e non lo premiò, ma la visione di quel film motivò l’arte di Lubitsch a fare un salto di stile. Perché una volta i film, e tutte le opere d’arte, avevano questo potere, almeno una volta ce lo avevano.
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