giovedì 5 marzo 2020

pasolini giornalista

Ieri ho letto questo pezzo uscito su Pangea in cui l'autore, Luigi Mascheroni, discutendo questa tesi, peraltro interessante, che alcuni dei più bei libri pubblicati in Italia, e specie negli ultimi anni, sono opere di nofiction o autofiction scritte da giornalisti, cita vari esempi, a cominciare da Malaparte in copertina; fino al punto di inserire nella lista il Pasolini "giornalista" di Scritti corsari, essendo (dice) i romanzi illeggibili, le poesie illeggibili e cariche di ideologia, i film inguardabili ecc. E qui, secondo me, l'autore ha detto due fesserie in una. La prima perché Scritti corsari non è l'opera di un giornalista che prova a strutturarsi narrativamente, ma all'opposto è il libro di un poeta che prova a fare il giornalista: tutto il libro è montato intuitivamente come una raccolta di poesie in prosa, e resta ancora affascinante non per la sua attualità (quella sì superata dalla storia e dalla cronaca), ma per la fortissima sensibilità poetica sottesa al testo (Io so, L'articolo delle lucciole, persino il brutto articolo sui capelloni, sono ancora capaci di "illuminare" il lettore non certo per il "fatto" che raccontano, ma per la lingua e per lo sguardo utilizzati, che sono lingua e sguardo del poeta); e la seconda fesseria perché quella degli Scritti corsari è l'identica sensibilità poetica che fa da filtro, senza distinzioni, a tutti i lavori di Pasolini, alcuni più riusciti altri meno. E per cui, molte sue raccolte in versi, anche le più ideologiche, anzi soprattutto quelle, sono ancora leggibilissime (come dice Bordini, Trasumanar e Organizzar è la più autenticamente "dantesca" delle opere pasoliniane); e di sicuro tutti i suoi film sono guardabilissimi e a volte addirittura straordinari (a cominciare, per me, dal visionario e ideologico Porcile).

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