Visualizzazione post con etichetta cesare viviani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cesare viviani. Mostra tutti i post

domenica 13 dicembre 2020

doppia morale

Ieri ho letto La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che… di Cesare Viviani (Il Nuovo Melangolo, 2018), libricino tutto sommato superfluo che parla dello svilimento odierno della poesia, ma con un piglio offeso, a metà fra l’elitario e il paternalistico, e ribadendo concetti abbastanza scontati: se la poesia si muove sul limite allora non si può definire (ma va). E però Viviani non è un fesso e il libretto ha degli elementi di interesse. In particolare, mi ha colpito questo passaggio: «Io, testimone degli ultimi quarantacinque anni (1973-2017), posso dire che allora la poesia aveva uno spazio marginale ma di grande valore, nella considerazione sociale. Oggi, invece, lo spazio è marginale e svalutato: il mondo dell’utilità l’ha seppellita considerandola un esercizio narcisistico di altri tempi. Allora non sarebbe meglio consegnare a mano 10-20-30-40 copie (tante quante le persone che stimiamo, non più di quaranta) del libro stampato a nostre spese, facendone 10-20-30-40 doni?». Viviani qui tocca un nodo fondamentale. Perché la maggior parte dei poeti che conosco – a cominciare da Viviani stesso, che predica bene e poi pubblica con Einaudi – ribadisce esattamente, E CON FORZA, le stesse cose: che la poesia non si può definire nella sua vera essenza; che si spinge sempre verso un limite; che è sempre poesia civile, anche se non di lotta, perché si rimescola nell’umano; e che nella sua pura essenza è assolutamente fuori dai meccanismi (e servilismi) del mercato. Ma allora perché, pur essendo tutti d’accordo che la poesia è fuori dal mercato, dalle sue possibilità e dalle sue ambizioni, ci ostiniamo testardamente a misurarla coi criteri del mercato? «Quante copie stampi, dove le mandi, dove sono le mie percentuali? Il libro è in libreria o no? Andiamo al festival o no? Mi puoi recensire il libro, sì o no?». Questa doppia morale, di dirsi assolutamente liberi e fuori da un sistema aborrito, disprezzato, spesso definito corrotto, pur volendoci rientrare a tutti i costi e da paria – o con la pretesa assurda di voler fare una rivoluzione dall’interno – non è un po’ una falsa morale, sia pure stupida, sia pure ingenua, o più semplicemente indotta dalla realtà che dovremmo trascendere, dice Viviani, proprio in virtù della poesia, e che non trascendiamo perché la nostra sbandierata fede nella poesia non è abbastanza?

sabato 22 agosto 2020

con che occhi mi guarda: sull'imperfetto di cesare viviani

 

Ora tocca all’imperfetto di Cesare Viviani (Einaudi, 2020) è un’opera di grande sobrietà, quasi scarna dal punto di vista estetico, cosa che farà arricciare il naso ad alcuni, ma dall’indubbia perfezione formale (ogni verso è lavorato di cesello), che riesce nell’impresa di essere a un tempo tanto semplice alla prima lettura, con un vocabolario immediato e componimenti brevi o brevissimi di carattere gnomico, quanto profonda nei contenuti che vanno spingendosi, attraverso le umane esperienze della perdita e della creazione artistica, fino all’esplorazione filosofica del tempo e della presenza del divino (non a caso a nume tutelare della raccolta è chiamato Mario Luzi): ricerca di Dio che altro non è che ricerca intorno alla verità dell’esistenza; così da avere necessità, per essere meglio goduta, di una seconda se non proprio di una terza lettura, e di meditazione.

Riporto qui, come estratto, la parte centrale della terzo capitolo del libro (pag. 48-53), dove ogni frammento vive non in se stesso ma nell’intera sequenza, e acquista sostanza nella sua risonanza con gli altri: se questo è vero per ogni raccolta che si rispetti, qui diventa fondamentale. Così, ad esempio, l’apparentemente prosaico racconto della visita all’editore acquista di peso, implicazioni e ironia se letto tenendo conto del distico nella pagina a fronte (su opera, tempo e creatore), e dei versi successivi sullo sguardo dell’uccello: forse d’uno dei due polli finiti dentro una natura morta?  

 

 

*

È nel buio, a notte fonda,

che devi cercare, perché

la luce del giorno nasconde

quello che cerchi.

 

Ed è con entrambe le mani

che devi afferrare lo spirito.

 

Io mi comporto bene solo sulla pagina.

 

 

*

La vita ti fa una ferita

e tu con le dita

vuoi rimediare cucendo,

attento che i margini

combacino.

 

*

Il tempo sorprende il creatore,

non gli fa finire l’opera.

 

*

(Vado dall’editore a presentargli
il mio nuovo manoscritto,
e nella mano sinistra tengo
due bellissimi polli nostrani,
allevati nel modo giusto, all’aperto.
Le segretarie si mettono a ridere,
ma io non capisco e spiego
che i polli sono un dono
per favorire la disposizione d’animo

dell’editore,
per addolcire la pratica.
Le ragazze non capiscono
e mi dicono «aspetti, vediamo se è libero»).

 

*

Con che occhi mi guarda

quell’uccello,

con che occhi mi vede, non si sa,

forse gli stessi

di un ritratto di ignoto.

 

 

*

Sei rimasta sola

a manovrare in casa

per riempire i vuoti,

ma ne chiudi uno e se ne apre

un altro,

non ci sono così tanti libri

da seppellirti.

 

 

(Nell'immagine: Felice Boselli, Natura morta con polli spennati e appesi, 1700-1705)

 

mercoledì 5 agosto 2020

ricordino di sergio zavoli (alla maniera di cesare viviani)

Siccome quando muore uno famoso 
ognuno ha sempre un ricordo anche minuto 
da riportare per dire che lui c'era, 
mi ricordo a L'Aquila una cena

con Zavoli in un ristorante a 5 stelle, 
in cui io arrivai in ritardo 
(mi ero fermato a chiacchierare con uno 
che scriveva brutte poesie in dialetto) 

e Zavoli ordinò un brodino vegetale, 
che bevve con gusto dal cucchiaio 
delicato e tremante, poi se ne andò a riposare
mentre arriva il mio piatto.

martedì 4 agosto 2020

vado dall’editore a presentargli...

(Vado dall’editore a presentargli
il mio nuovo manoscritto,
e nella mano sinistra tengo
due bellissimi polli nostrani,
allevati nel modo giusto, all’aperto.
Le segretarie si mettono a ridere,
ma io non capisco e spiego
che i polli sono un dono
per favorire la disposizione d’animo dell’editore,
per addolcire la pratica.
Le ragazze non capiscono
e mi dicono “aspetti, vediamo se è libero”).

Cesare Viviani, Ora tocca all’imperfetto (Einaudi)