Ieri ho letto La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che… di Cesare Viviani (Il Nuovo Melangolo, 2018), libricino tutto sommato superfluo che parla dello svilimento odierno della poesia, ma con un piglio offeso, a metà fra l’elitario e il paternalistico, e ribadendo concetti abbastanza scontati: se la poesia si muove sul limite allora non si può definire (ma va). E però Viviani non è un fesso e il libretto ha degli elementi di interesse. In particolare, mi ha colpito questo passaggio: «Io, testimone degli ultimi quarantacinque anni (1973-2017), posso dire che allora la poesia aveva uno spazio marginale ma di grande valore, nella considerazione sociale. Oggi, invece, lo spazio è marginale e svalutato: il mondo dell’utilità l’ha seppellita considerandola un esercizio narcisistico di altri tempi. Allora non sarebbe meglio consegnare a mano 10-20-30-40 copie (tante quante le persone che stimiamo, non più di quaranta) del libro stampato a nostre spese, facendone 10-20-30-40 doni?». Viviani qui tocca un nodo fondamentale. Perché la maggior parte dei poeti che conosco – a cominciare da Viviani stesso, che predica bene e poi pubblica con Einaudi – ribadisce esattamente, E CON FORZA, le stesse cose: che la poesia non si può definire nella sua vera essenza; che si spinge sempre verso un limite; che è sempre poesia civile, anche se non di lotta, perché si rimescola nell’umano; e che nella sua pura essenza è assolutamente fuori dai meccanismi (e servilismi) del mercato. Ma allora perché, pur essendo tutti d’accordo che la poesia è fuori dal mercato, dalle sue possibilità e dalle sue ambizioni, ci ostiniamo testardamente a misurarla coi criteri del mercato? «Quante copie stampi, dove le mandi, dove sono le mie percentuali? Il libro è in libreria o no? Andiamo al festival o no? Mi puoi recensire il libro, sì o no?». Questa doppia morale, di dirsi assolutamente liberi e fuori da un sistema aborrito, disprezzato, spesso definito corrotto, pur volendoci rientrare a tutti i costi e da paria – o con la pretesa assurda di voler fare una rivoluzione dall’interno – non è un po’ una falsa morale, sia pure stupida, sia pure ingenua, o più semplicemente indotta dalla realtà che dovremmo trascendere, dice Viviani, proprio in virtù della poesia, e che non trascendiamo perché la nostra sbandierata fede nella poesia non è abbastanza?
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
domenica 13 dicembre 2020
sabato 22 agosto 2020
con che occhi mi guarda: sull'imperfetto di cesare viviani
Ora tocca all’imperfetto di Cesare Viviani (Einaudi, 2020) è un’opera di grande sobrietà, quasi scarna dal punto di vista estetico, cosa che farà arricciare il naso ad alcuni, ma dall’indubbia perfezione formale (ogni verso è lavorato di cesello), che riesce nell’impresa di essere a un tempo tanto semplice alla prima lettura, con un vocabolario immediato e componimenti brevi o brevissimi di carattere gnomico, quanto profonda nei contenuti che vanno spingendosi, attraverso le umane esperienze della perdita e della creazione artistica, fino all’esplorazione filosofica del tempo e della presenza del divino (non a caso a nume tutelare della raccolta è chiamato Mario Luzi): ricerca di Dio che altro non è che ricerca intorno alla verità dell’esistenza; così da avere necessità, per essere meglio goduta, di una seconda se non proprio di una terza lettura, e di meditazione.
Riporto qui, come estratto, la parte centrale della terzo capitolo del libro (pag. 48-53), dove ogni frammento vive non in se stesso ma nell’intera sequenza, e acquista sostanza nella sua risonanza con gli altri: se questo è vero per ogni raccolta che si rispetti, qui diventa fondamentale. Così, ad esempio, l’apparentemente prosaico racconto della visita all’editore acquista di peso, implicazioni e ironia se letto tenendo conto del distico nella pagina a fronte (su opera, tempo e creatore), e dei versi successivi sullo sguardo dell’uccello: forse d’uno dei due polli finiti dentro una natura morta?
*
È nel buio, a notte fonda,
che devi cercare, perché
la luce del giorno nasconde
quello che cerchi.
Ed è con entrambe le mani
che devi afferrare lo spirito.
Io mi comporto bene solo sulla pagina.
*
La vita ti fa una ferita
e tu con le dita
vuoi rimediare cucendo,
attento che i margini
combacino.
*
Il tempo sorprende il creatore,
non gli fa finire l’opera.
*
(Vado dall’editore a presentargli
il mio nuovo manoscritto,
e nella mano sinistra tengo
due bellissimi polli nostrani,
allevati nel modo giusto, all’aperto.
Le segretarie si mettono a ridere,
ma io non capisco e spiego
che i polli sono un dono
per favorire la disposizione d’animo
dell’editore,
per addolcire la pratica.
Le ragazze non capiscono
e mi dicono «aspetti, vediamo se è libero»).
*
Con che occhi mi guarda
quell’uccello,
con che occhi mi vede, non si sa,
forse gli stessi
di un ritratto di ignoto.
*
Sei rimasta sola
a manovrare in casa
per riempire i vuoti,
ma ne chiudi uno e se ne apre
un altro,
non ci sono così tanti libri
da seppellirti.
(Nell'immagine: Felice Boselli, Natura morta con polli spennati e appesi, 1700-1705)
mercoledì 5 agosto 2020
ricordino di sergio zavoli (alla maniera di cesare viviani)
e Zavoli ordinò un brodino vegetale,
martedì 4 agosto 2020
vado dall’editore a presentargli...
il mio nuovo manoscritto,
e nella mano sinistra tengo
due bellissimi polli nostrani,
allevati nel modo giusto, all’aperto.
Le segretarie si mettono a ridere,
ma io non capisco e spiego
che i polli sono un dono
per favorire la disposizione d’animo dell’editore,
per addolcire la pratica.
Le ragazze non capiscono
e mi dicono “aspetti, vediamo se è libero”).
Cesare Viviani, Ora tocca all’imperfetto (Einaudi)