Ora tocca all’imperfetto di Cesare Viviani (Einaudi, 2020) è un’opera di grande sobrietà, quasi scarna dal punto di vista estetico, cosa che farà arricciare il naso ad alcuni, ma dall’indubbia perfezione formale (ogni verso è lavorato di cesello), che riesce nell’impresa di essere a un tempo tanto semplice alla prima lettura, con un vocabolario immediato e componimenti brevi o brevissimi di carattere gnomico, quanto profonda nei contenuti che vanno spingendosi, attraverso le umane esperienze della perdita e della creazione artistica, fino all’esplorazione filosofica del tempo e della presenza del divino (non a caso a nume tutelare della raccolta è chiamato Mario Luzi): ricerca di Dio che altro non è che ricerca intorno alla verità dell’esistenza; così da avere necessità, per essere meglio goduta, di una seconda se non proprio di una terza lettura, e di meditazione.
Riporto qui, come estratto, la parte centrale della terzo capitolo del libro (pag. 48-53), dove ogni frammento vive non in se stesso ma nell’intera sequenza, e acquista sostanza nella sua risonanza con gli altri: se questo è vero per ogni raccolta che si rispetti, qui diventa fondamentale. Così, ad esempio, l’apparentemente prosaico racconto della visita all’editore acquista di peso, implicazioni e ironia se letto tenendo conto del distico nella pagina a fronte (su opera, tempo e creatore), e dei versi successivi sullo sguardo dell’uccello: forse d’uno dei due polli finiti dentro una natura morta?
*
È nel buio, a notte fonda,
che devi cercare, perché
la luce del giorno nasconde
quello che cerchi.
Ed è con entrambe le mani
che devi afferrare lo spirito.
Io mi comporto bene solo sulla pagina.
*
La vita ti fa una ferita
e tu con le dita
vuoi rimediare cucendo,
attento che i margini
combacino.
*
Il tempo sorprende il creatore,
non gli fa finire l’opera.
*
(Vado dall’editore a presentargli
il mio nuovo manoscritto,
e nella mano sinistra tengo
due bellissimi polli nostrani,
allevati nel modo giusto, all’aperto.
Le segretarie si mettono a ridere,
ma io non capisco e spiego
che i polli sono un dono
per favorire la disposizione d’animo
dell’editore,
per addolcire la pratica.
Le ragazze non capiscono
e mi dicono «aspetti, vediamo se è libero»).
*
Con che occhi mi guarda
quell’uccello,
con che occhi mi vede, non si sa,
forse gli stessi
di un ritratto di ignoto.
*
Sei rimasta sola
a manovrare in casa
per riempire i vuoti,
ma ne chiudi uno e se ne apre
un altro,
non ci sono così tanti libri
da seppellirti.
(Nell'immagine: Felice Boselli, Natura morta con polli spennati e appesi, 1700-1705)
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