lunedì 31 agosto 2020

una gran bell’idea

Tutto è puro per i puri, diceva San Paolo, e forse tutto è poesia per i poeti, e ancora più per i non poeti. Scrive, Franco Bifo Berardi nel primo capitolo del suo Respirare. Caos e poesia (Sossella, 2019) – dove si discute, fra le altre cose, di poesia come rimedio e rivoluzione per il caos odierno: «La poesia è un atto di linguaggio che non può essere definito, perché definire significa porre un limite, e la poesia è per l’appunto eccesso che va oltre il limite del linguaggio, che è anche il limite del mondo». Molto bello. Ma se in un libro effettivamente pieno di intuizioni com’è questo – a cominciare dall’assunzione della mancanza di respiro come metafora ultima della nostra epoca, dallo «I can’t breathe!» pronunciato da Eric Garner ben prima dell’omicidio Floyd, al disastro economico e ambientale che si estende, oggi, fino alla pandemia che attacca le nostre vie respiratorie – gli unici poeti sviscerati sono gli ottocenteschi Hölderlin e Rilke (più i primonovecenteschi Yeats e Dylan Thomas, ma con meno spazio) lì dove invece ci si spinge in altri ambiti a trattare opere e autori contemporanei, come Freedom di Franzen, Carnage di Polanski o Black Star di Bowie, non è un po’ come abdicare all’idea diffusa che ormai il termine “poesia” si sia fatto mero aggettivo, che la poesia si faccia altrove, in altri ambiti, non è più campo d’azione di chi scrive in versi, inadeguati a trattare una realtà complessa, ma di chi utilizza forme e linguaggi “contemporanei”? Ci può anche stare come teoria, ma che senso ha allora dire che la poesia è il rimedio, se per esprimere quanto sta accadendo oggi poi mi rivolgo al cinema? Devo forse pensare che, per il fatto che la poesia non ha limiti, il cinema e il rock siano un sottogenere della poesia (dibattito stravecchio)? Ma questo non è svilire cinema e rock nelle loro potenzialità di linguaggio? E va bene che la poesia non ha limiti, ma se tutto è poesia, allora cosa non lo è? O devo invece concludere, assai più semplicemente, che Bifo Berardi parli e scriva di poesia come salvezza dal caos, senza aver letto i poeti contemporanei? Ovvero ribadendo ancora una volta l’amara verità: che quella della poesia come rivoluzione è una gran bell’idea, ma la poesia, come sempre, è meglio dirla che leggerla?

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