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venerdì 19 luglio 2024

i ruoli

Ho grossi problemi, io, con i ruoli. Va da sé che, dal mio punto di vista, sono gli altri ad avere problemi con i ruoli: per me non dovrebbero esistere. A ben guardare, è solo in questo che sono davvero un ribelle: nella caparbietà con cui mi rifiuto di prender parte ad una recita. I ruoli sono una finzione teatrale. La vita dovrebbe essere autentica. Invece accade che il teatro sia alquanto più autentico e versatile della vita. A teatro, infatti, due attori potranno essere padre e figlio per una stagione. Poi saranno magari, per un’altra stagione, vecchio servo e giovin padrone. Tanto per dire. Senza contare quei casi esemplari in cui, specie in passato, due grandi attori si scambiavano ogni sera le parti di Iago e di Otello. Nella vita, invece, sempre padre e figlio, marito e moglie, medico e paziente, padrone e servo, collega e collega, carnefice e vittima. Tutti blocchi di ghiaccio rappresi intorno alla sagoma un po’ indistinta, un po’ approssimativa, ma assolutamente non sostituibile, di una parte surgelata, insapore. Niente di genuino, questo lo sappiamo tutti: ma con i surgelati, almeno, si va sul sicuro: i rischi di intossicazione sono minimi.
 
Ezio Sinigaglia, Sillabario all’incontrario (TerraRossa, 2023)

sabato 16 novembre 2019

essere uno scrittore postumo

Ho letto l'intervista di Monica Rossi pubblicata oggi su Pangea, per altro interessante, ma mi soffermo su un punto in cui si dice: “Se ti definisci scrittore vuol dire che, in concreto, quello è il tuo lavoro. Con i proventi dei tuoi libri ci paghi l’affitto, le bollette, la spesa, la macchina, le vacanze, i vestiti, la scuola per i figli? Allora si, sei uno scrittore.” Monica Rossi, insomma, lega il ruolo ai risultati economici, gli altri possono certo sentirsi scrittori, ma senza pretendere di definirsi così, almeno finché non arriva il successo che li riscatterà. Da questo punto di vista nessun poeta italiano, a parte un paio di casi, è da considerarsi uno scrittore. Eppure, mi chiedo, se uno scrive un solo libro di grande successo commerciale e poi non ne scrive più, oppure non ne imbrocca più nessun altro con uguale successo e finisce pieno di debiti, quello è uno scrittore? Oppure, se di uno che si sente uno scrittore, che magari è morto in povertà o misconosciuto, dopo anni un editore pubblica i suoi libri e hanno successo, quello sconosciuto arrivato al successo dopo, è finalmente uno scrittore (anche se a pagare le bollette coi diritti sarà qualcun altro al posto suo)? Oppure è uno scrittore postumo, nel senso che lo scrittore è venuto dopo l’uomo, quando si è liberato del corpo? E se sì, se diventa scrittore postumo, non rientra anche quel suo essere postumo in un mito della “mentalità borghese”? Lo dico anche pensando alla linea editoriale di Pangea, che spesso fa dei gran lavori biografici per riportare l'attenzione su scrittori trascurati e spesso ingiustamente considerati minori i quali, se fosse buono quanto detto in premessa, semplicemente non andrebbero considerati scrittori, avvalorando l'oblio a cui il mercato editoriale li ha già condannati da tempo.

venerdì 19 settembre 2014

il poeta è un emarginato

In Italia il poeta è un emarginato vero e proprio e non conta nulla: basta osservare di passata che non esistono cattedre universitarie di poesia e nessun poeta è invitato come poeta in residence nelle nostre Università dove addirittura il poeta professore è ancora ignorato come poeta (e, anzi, la sua presenza crea un certo imbarazzo) e dove, da secoli, non esistono più nemmeno i poeti laureati. [...] Se, invece, i poeti ricevessero le attenzioni, le cure e il mandato sociale che ricevono altrove, forse avremmo anche un pubblico di lettori più maturi. [...] Per esempio, in Italia non sarebbe possibile avere per una elezione politica un Inaugural poet. Invece Obama (e prima di lui altri tre presidenti) ha invitato al suo giuramento Elizabeth Alexander a leggere una poesia da lei composta per l’occasione. E, si badi bene, si tratta di una poetessa che è anche professoressa di ‘African American Studies and English Literature’ alla Yale University. La partecipazione di un poeta a un evento storico di quel livello ha di fatto ribadito, almeno in America, che il poeta ha ancora un mandato sociale ben preciso e riconosciuto. (Alessandro Polcri) 

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giovedì 31 maggio 2012

tre considerazioni sul disastro in emilia e dintorni

Prima considerazione. Con tutto il rispetto per le vittime, da ciò che si vede il terremoto in Emilia Romagna rimarcherà ancora una volta la differenza di trattamento istituzionale fra Nord e Sud del Paese. Se così non fosse il copione è già scritto (L'Aquila, l'Irpinia, ecc...) e l'Emilia è condannata.
Seconda considerazione. Arriva oggi la notizia, già paventata, dell’aumento di altri due centesimi sulle accise benzina. In questo modo l’intero Paese, meno qualcuno, si assumerà il compito di ricostruire l’Emilia. La speranza (sempre per la storia del copione qua sopra) è che i soldi arrivino a chi servono. Per il resto è altrettanto chiaro, in nome del decreto “quando si comincia non si torna più indietro”, che i nostri nipotini non vedranno la pensione ma pagheranno ancora quei due centesimi, finendo per considerare l’Emilia esattamente come l’Etiopia: un nome su un elenco senza più lacrime a mitigare la vergogna.
Terza considerazione. Già da un po’ mi sono fatto l’idea che il momento più basso della storia della nostra Repubblica l’abbiamo raggiunto con Napolitano, quel giorno in cui la Merkel si è sentita costretta a chiamarlo per “suggerirgli” di mandare a casa Berlusconi, dopo anni di agonia, silenzi oppure menzogne. La verità nuda e cruda è che Napolitano è vecchio (non solo in senso anagrafico) e inadatto ai tempi che corrono. Ci sono molti ruoli che un uomo può giocare in particolari periodi storici e non a tutti è dato di averli in primo piano. Se Napolitano, che un giorno verrà ricordato come il telefono bianco del Quirinale, al momento giusto fosse rimasto a casa a scrivere le sue memorie quanto più bene avrebbe fatto al nostro Paese.