Devo dire che dopo aver assistito al primo funerale mediatico-planetario tributato a David Bowie a inizio anno, i toni più sommessi e intimi dedicati a Leonard Cohen in queste ore mi fanno pensare a una battuta che Paolo Villaggio fece alcuni anni fa durante la commemorazione funebre per Mario Monicelli: «A Roma morire dopo Sordi era una stronzata».
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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sabato 12 novembre 2016
venerdì 11 novembre 2016
a singer must die
And I thank you, I thank you for doing your duty,
you keepers of truth, you guardians of beauty.
domenica 10 gennaio 2016
mentre il vento fa il solletico ai sogni
Quando Claudio Lolli cita i suoi punti di riferimento musicali in genere indica sempre i Beatles, Francesco Guccini e Piero Ciampi. Molti poi lo accostano, nel suo primo periodo, a Bob Dylan (in Italia basta che suoni la chitarra acustica e ti dicono che sei come Dylan). In realtà il primo Lolli ha più debiti verso Leonard Cohen che non verso Dylan, e nella sua particolare e bellissima “trilogia elettrica” (Ho visto anche degli zingari felici - Disoccupate le strade dei sogni - Extranei) il riferimento fortissimo è Neil Young, particolarmente quello di Zuma e American Stars ‘n’ Bars. Un altro punto fisso di quel periodo, mai ricordato adeguatamente (ed è strano vista la comune origine bolognese) è Lucio Dalla, in particolare il Lucio Dalla assai sperimentale dei dischi scritti con Roberto Roversi. Forse il brano in cui è più evidente questa influenza è I giornali di marzo, il cui titolo pare una evidente parodia della più famosa I giardini di marzo di Battisti, con un testo di forte impronta politica che è in realtà il cut up di vari titoli di giornale riguardanti i violenti scontri di piazza avvenuti a Bologna l’11 marzo 1977, e con un arrangiamento e un cantato che sono praticamente modellati su quelli di Dalla.
lunedì 28 dicembre 2009
carver e il mostro a due teste
Pensavo a Raymond Carver. Ultimamente, com’è solito per i grandi, è tutto un ritorno alla sua opera, con una nuova operazione di mercato tesa al recupero dei suoi testi originali. Operazione che in sé ha qualcosa di nobile e insieme di ambiguo, se si considera che sono state proprio le leggi di mercato a creare il caso Carver.
Oggi che gli si riconosce d’essere stato lo scrittore americano più influente del secondo ‘900 e il più grande del secolo con Hemingway, leggendo le sue biografie viene quasi fuori come una vittima inerme di Gordon Lish, il suo editor. Se non fosse che fu proprio Lish a consentirgli di pubblicare con delle grandi case editrici e quindi arrivare al grosso pubblico in maniera tale da potersi far notare e diventare economicamente indipendente. E poi Lish, al di là di tutto, come editor era bravo, aveva talento e fiuto. Il fatto che, con tutto il suo fiuto, avesse capito che Carver era bravo, uno su cui investire, ma non che fosse un vero genio, per cui si permetteva di trattarlo come qualsiasi altro scrittore, non è di per sé una colpa. Carver lo lasciava fare perché, nonostante la sofferenza e l’umiliazione provate nel vedere il proprio lavoro fatto a pezzi dalle revisioni talvolta brutali di Lish, disperazione che si può ben leggere nelle sue lettere, la possibilità di venire pagato per il proprio lavoro era più forte. Certo, ha guadagnato più il mercato con Carver che non viceversa, e Carver preso in questa contraddizione fra arte e necessità è rimasto schiacciato, ma Lish più che un sadico aguzzino, come viene spesso descritto, era la norma con un pizzico di gusto in più. Tutto il sistema editoriale, confessa chi ci lavora, quasi a giustificare i propri metodi, ubbidisce a queste leggi, e il caso Carver è venuto allo scoperto e sembra starsene lì come una pianta grassa nel deserto, solo perché Carver è diventato, per una serie di casi fortunati, più grande del mercato.
E questo ci riporta a oggi che il mercato fa mea culpa nei suoi confronti. Rispuntano le edizioni originali dei suoi lavori. Poiché però c’è un interesse filologico nella cosa è possibile trovare, accanto agli originali, anche i racconti rimaneggiati da Lish, a cui a questo punto andrebbe riconosciuto insieme a Carver il ruolo di padre del minimalismo americano. Fare un confronto fra i racconti prima e dopo il suo intervento è davvero una cosa interessante. Non so se riesco a spiegarlo, è sempre una questione di sfumature, ma nei racconti originali di Carver ci senti l’aria intorno ai personaggi, un’aria densa e calda, immobile. Con Lish tutto diventa più freddo, più asettico, come se quest’aria fosse stata tagliata con un bisturi di precisione, tutto ripulito per bene e gettati via gli scarti. Non c’è abbastanza aria da riempirti i polmoni. Il risultato è così intenso da aver modificato l’idea stessa di scrittura narrativa e, se non fosse stato il frutto di una sopraffazione, si potrebbe tranquillamente considerare il lavoro a quattro mani di due autori a confronto. Lish non era un idiota, aveva una visione poetica simile a quella di Carver ma più dura, ma gli mancava la grandezza necessaria a realizzarla da solo e così si imponeva con brutalità all’altro, che trattava un po’ come un facchino. Carver faceva il lavoro sporco, scrivendo le storie e Lish le rifiniva a modo suo, cioè togliendo ad arte quanto più respiro poteva all’opera. Solo con Cattedrale, quando sentì di aver scritto il suo capolavoro ma era anche abbastanza famoso da potersi permettere delle alternative, Carver trovò la forza per liberarsi di lui e dare spazio alla propria creatività.
L’ambiguità a cui accennavo sopra deriva dal fatto che se il mercato, anche se con interessi economici, riconosce la necessità di ripubblicare il materiale originale di Carver, che proprio il modello di revisione editoriale teso esclusivamente alla vendita aveva modificato, di contro è come se ammettesse la propria estraneità e fondamentale indifferenza al mondo della Scrittura. Ma poi, ammettendo pure che Carver era un genio ma non necessariamente un unicum, uno che operava nel mondo della Scrittura ed è stato inglobato dal mondo dell’Editoria, e che il mercato pur investendo in lui non ha saputo (o voluto) riconoscere e valorizzare il suo talento e quindi, maltrattandolo dal punto di vista creativo come ha fatto attraverso Lish, ha contribuito alla sua depressione e all’alcolismo, ammettendo tutto questo il mercato della Cultura che ci sta intorno e ci permea non svela anche, ironicamente, che le leggi su cui basa la nostra esistenza sono del tutto amorali?
Oggi che gli si riconosce d’essere stato lo scrittore americano più influente del secondo ‘900 e il più grande del secolo con Hemingway, leggendo le sue biografie viene quasi fuori come una vittima inerme di Gordon Lish, il suo editor. Se non fosse che fu proprio Lish a consentirgli di pubblicare con delle grandi case editrici e quindi arrivare al grosso pubblico in maniera tale da potersi far notare e diventare economicamente indipendente. E poi Lish, al di là di tutto, come editor era bravo, aveva talento e fiuto. Il fatto che, con tutto il suo fiuto, avesse capito che Carver era bravo, uno su cui investire, ma non che fosse un vero genio, per cui si permetteva di trattarlo come qualsiasi altro scrittore, non è di per sé una colpa. Carver lo lasciava fare perché, nonostante la sofferenza e l’umiliazione provate nel vedere il proprio lavoro fatto a pezzi dalle revisioni talvolta brutali di Lish, disperazione che si può ben leggere nelle sue lettere, la possibilità di venire pagato per il proprio lavoro era più forte. Certo, ha guadagnato più il mercato con Carver che non viceversa, e Carver preso in questa contraddizione fra arte e necessità è rimasto schiacciato, ma Lish più che un sadico aguzzino, come viene spesso descritto, era la norma con un pizzico di gusto in più. Tutto il sistema editoriale, confessa chi ci lavora, quasi a giustificare i propri metodi, ubbidisce a queste leggi, e il caso Carver è venuto allo scoperto e sembra starsene lì come una pianta grassa nel deserto, solo perché Carver è diventato, per una serie di casi fortunati, più grande del mercato.
E questo ci riporta a oggi che il mercato fa mea culpa nei suoi confronti. Rispuntano le edizioni originali dei suoi lavori. Poiché però c’è un interesse filologico nella cosa è possibile trovare, accanto agli originali, anche i racconti rimaneggiati da Lish, a cui a questo punto andrebbe riconosciuto insieme a Carver il ruolo di padre del minimalismo americano. Fare un confronto fra i racconti prima e dopo il suo intervento è davvero una cosa interessante. Non so se riesco a spiegarlo, è sempre una questione di sfumature, ma nei racconti originali di Carver ci senti l’aria intorno ai personaggi, un’aria densa e calda, immobile. Con Lish tutto diventa più freddo, più asettico, come se quest’aria fosse stata tagliata con un bisturi di precisione, tutto ripulito per bene e gettati via gli scarti. Non c’è abbastanza aria da riempirti i polmoni. Il risultato è così intenso da aver modificato l’idea stessa di scrittura narrativa e, se non fosse stato il frutto di una sopraffazione, si potrebbe tranquillamente considerare il lavoro a quattro mani di due autori a confronto. Lish non era un idiota, aveva una visione poetica simile a quella di Carver ma più dura, ma gli mancava la grandezza necessaria a realizzarla da solo e così si imponeva con brutalità all’altro, che trattava un po’ come un facchino. Carver faceva il lavoro sporco, scrivendo le storie e Lish le rifiniva a modo suo, cioè togliendo ad arte quanto più respiro poteva all’opera. Solo con Cattedrale, quando sentì di aver scritto il suo capolavoro ma era anche abbastanza famoso da potersi permettere delle alternative, Carver trovò la forza per liberarsi di lui e dare spazio alla propria creatività.
L’ambiguità a cui accennavo sopra deriva dal fatto che se il mercato, anche se con interessi economici, riconosce la necessità di ripubblicare il materiale originale di Carver, che proprio il modello di revisione editoriale teso esclusivamente alla vendita aveva modificato, di contro è come se ammettesse la propria estraneità e fondamentale indifferenza al mondo della Scrittura. Ma poi, ammettendo pure che Carver era un genio ma non necessariamente un unicum, uno che operava nel mondo della Scrittura ed è stato inglobato dal mondo dell’Editoria, e che il mercato pur investendo in lui non ha saputo (o voluto) riconoscere e valorizzare il suo talento e quindi, maltrattandolo dal punto di vista creativo come ha fatto attraverso Lish, ha contribuito alla sua depressione e all’alcolismo, ammettendo tutto questo il mercato della Cultura che ci sta intorno e ci permea non svela anche, ironicamente, che le leggi su cui basa la nostra esistenza sono del tutto amorali?
venerdì 25 dicembre 2009
fantasmi del natale
Sapete, sarà perché sono uno scrittore e guardo il mondo con degli occhi particolari, ma penso che a volte può capitare di ritrovarsi in situazioni che, sebbene sembrino prese pari pari da un libro, ti accadono come se fossero le più naturali del mondo, con la differenza che noi, non essendo degli eroi di carta, spesso non sappiamo come comportarci e falliamo su tutta la linea nel cogliere le occasioni che il caso ci offre, con delle varianti da persona a persona, determinate dal grado di dignità che riusciamo a mantenere.
A me una cosa così è capitata poche ore fa, quando mi sono ritrovato, proprio come nel famoso Canto di Natale di Dickens, di fronte al fantasma del mio passato. E, per quanto mi fossi sognato questo incontro per mesi, pensando a una qualche sorta di rivelazione che avrei avuto o frase storica che avrei pronunciato o a una nuova magia che sarebbe scoccata fra noi, non è successo un bel niente. Mi sono ritrovato lì, davanti al mio fantasma senza nulla da dire e senza nessuna volontà di avere un contatto, abbracciarlo o sorridergli, fare anche solo un gesto che potesse fargli intendere come mi sentissi. In effetti non lo so neanch’io come mi sentivo, i fantasmi sono brutte creature anche per questo. Di una cosa però sono sicuro. Non mi ha cambiato né in meglio né in peggio. Mi ha solo turbato e tanto, ma senza vere rivoluzioni.
E il punto è proprio questo: a che serve rivedere un fantasma se l’incontro non si trasforma in nient’altro che un semplice scambio di saluti? Dickens su questo è stato chiaro e aveva ragione secondo me. Il tormento interiore che necessariamente comporta la prova a cui ci si sottopone deve avere come risultato la possibilità di migliorarsi, di poter sciogliere dei nodi per giungere a uno stato più alto di consapevolezza e quindi a un momentaneo sollievo se non proprio a uno stato di felicità. Altrimenti non ha senso farsi tutto questo male. Meglio restare un po’ più poveri ma ignari di quanto è profonda la nostra infelicità. Così la prossima volta, se mi ricapita, credo che dovrò impegnarmi di più oppure evitare l’incontro. E intanto mi chiedo cos’ha provato il fantasma in questione a rivedermi perché in fondo, mi dico, sono stato il suo fantasma reciproco.
A me una cosa così è capitata poche ore fa, quando mi sono ritrovato, proprio come nel famoso Canto di Natale di Dickens, di fronte al fantasma del mio passato. E, per quanto mi fossi sognato questo incontro per mesi, pensando a una qualche sorta di rivelazione che avrei avuto o frase storica che avrei pronunciato o a una nuova magia che sarebbe scoccata fra noi, non è successo un bel niente. Mi sono ritrovato lì, davanti al mio fantasma senza nulla da dire e senza nessuna volontà di avere un contatto, abbracciarlo o sorridergli, fare anche solo un gesto che potesse fargli intendere come mi sentissi. In effetti non lo so neanch’io come mi sentivo, i fantasmi sono brutte creature anche per questo. Di una cosa però sono sicuro. Non mi ha cambiato né in meglio né in peggio. Mi ha solo turbato e tanto, ma senza vere rivoluzioni.
E il punto è proprio questo: a che serve rivedere un fantasma se l’incontro non si trasforma in nient’altro che un semplice scambio di saluti? Dickens su questo è stato chiaro e aveva ragione secondo me. Il tormento interiore che necessariamente comporta la prova a cui ci si sottopone deve avere come risultato la possibilità di migliorarsi, di poter sciogliere dei nodi per giungere a uno stato più alto di consapevolezza e quindi a un momentaneo sollievo se non proprio a uno stato di felicità. Altrimenti non ha senso farsi tutto questo male. Meglio restare un po’ più poveri ma ignari di quanto è profonda la nostra infelicità. Così la prossima volta, se mi ricapita, credo che dovrò impegnarmi di più oppure evitare l’incontro. E intanto mi chiedo cos’ha provato il fantasma in questione a rivedermi perché in fondo, mi dico, sono stato il suo fantasma reciproco.
And no one knows where the night is going
And no one knows why the wine is flowing
Oh love I need you I need you I need you I need you
Oh I need you now
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