giovedì 21 gennaio 2021

e se domani mi chiamassero…

Amanda Gorman, 22 anni, legge una poesia durante l’insediamento di Biden alla Casa Bianca. È una donna, nera, è giovane, vincitrice di premi importanti realizzati ad hoc per chi scrive versi, e si prende il palco insieme a due star dello star system (Lady Gaga e Jennifer Lopez). Inconcepibile, o meglio ancora innaturale per il pubblico italiano, dove la poesia è roba da morti e per i giovani imperversano i talent show. Mi faceva particolarmente specie, stamattina, un commento che ho letto, di una signora che diceva che in Italia non succede mai che politica si commistioni con la poesia. Che è una cosa assolutamente falsa, ma diffusa nella percezione comune. Da sempre politica e poesia vanno a braccetto. E fino a tutti gli anni ’70 la poesia interveniva a gamba tesa negli affari politici. Poi è cambiato qualcosa, c’è stato un allontanamento, una resa (Le mie poesie non cambieranno il mondo) che ha impoverito entrambi i campi. Di recente gli unici tre interventi di poeti conosciuti in chiave politica sono stati la candidatura di Franco Arminio alle elezioni europee del 2014 con L’altra Europa di Tsipras; il processo a Erri De Luca, con assoluzione nel 2015 per le sue dichiarazioni “sovversive” anti-TAV; e più di recente (novembre 2019) il discorso di Rondoni a favore della Lega durante le scorse elezioni di Bologna. In tutti e tre i casi il mondo delle Lettere ha reagito, o dileggiandoli (Arminio), o astenendosi vigliaccamente e lasciandolo solo (De Luca); o delegittimandoli: quello non è un poeta (Rondoni). Che però, in tutti i casi e per ragioni diverse, sono già delle prese di posizione politica le quali, mi pare, non vada da nessuna parte oltre il no. E lo dico facendo parte, anche io, di quel no. Mi accorgo, guardandomi, come sono bravissimo a lamentarmi senza fare mai abbastanza, senza muovere un dito, talmente disgustato dall’idea di un’azione politica da rifiutarla in toto, senza assumermi la responsabilità di sporcarmi le mani per cambiarla, la politica, anche sbagliando posizione (come Pasolini o Fortini, come Sanguineti, persino come Pound). E questo perché nella mia ansia di purezza, ho preferito spesso una posizione passiva, ma che mi permettesse di mantenere la mia fedina penale immacolata in attesa che la storia riconoscesse il mio valore di poeta, dal puro impegno ideologico ma scritto sulla carta igienica. E forse per questo molti di noi si stupiscono piacevolmente di quanto successo in America, non perché loro hanno capito, più di noi, quanto può fare/dare la poesia, ma perché quello che abbiamo visto in atto lì, a cui ci piacerebbe ambire, è il riconoscimento del Potere come noi non lo viviamo più, ma come lo abbiamo appreso a scuola. L’ambizione a quel mecenatismo in cui sotto sotto ancora speriamo. Qualcuno che dall’alto ci chiami e ci dica: tu sei bravo, vieni! E così, per chiudere, solo per gioco mi chiedo: e se domani mi chiamassero davvero, se domani Conte mi telefonasse dal Parlamento e mi dicesse: devi fare una poesia per celebrare l’Italia e leggerla davanti a tutti noi, a Franceschini, a Renzi, a Salvini e Meloni, a Di Maio… Lo farei? Ci andrei, anche solo per leggere la mia poesia “contro” di loro (ben sapendo che dopo verrei dileggiato dai miei amici come dai miei nemici, insultato dai giornali, in TV, dagli haters di professione e ricoperto di merda per mesi)? Sarei degno della chiamata istituzionale, o rifiuterei apertamente l’istituzione dicendo che non è degna dei miei versi? O, più saggiamente, me ne tirerei fuori con una scusa di comodo, magari simulando un mal di pancia?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Tonio,

tu parli di poesia, ma io parlo di musica, ma la sostanza e' quella.

Qualche giorno prima del giuramento di Biden, ho sentito in radio la playlist delle canzoni (e relativi cantanti) che sarebbero state proposte in occasione del giuramento del nuovo presidente e allora mi sono chiesto se, in occasione del giuramento del Nostro Presidente della repubblica Italiana, magari un piccolo concerto pop/rock sarebbe stato proposto al Quirinale o alle Camere. Mi chiedo soprattutto con quali cantanti...

Mike Lenzi

Massimo ha detto...

Noi non abbiamo poeti laureati, un'istituzione tipica degli Stati Uniti e del Regno Unito. La lista dei due paesi include alcuni dei nomi più grandi, da Wordsworth a Tennyson a Brodskij. Ma immagini cosa significherebbe da noi? Tuttavia mi sento in difficoltà, insomma Rondoni o Marelli? Candiani o Cavalli? E chi lo accetterebbe? Non è una metafora di un paese rimasto all'adolescenza, incapace di avere una voce adulta?

lillo ha detto...

Bella domanda in effetti!