Ho sempre pensato – da bravo illuso – che una crisi fosse comunque necessaria, perché forzando i punti critici di un sistema poteva spingere a dei cambiamenti importanti. Soprattutto in un settore imbalsamato e mefitico com’è quello culturale italiano. Non pensavo che ne saremmo usciti migliori, ma perlomeno più consapevoli e pronti a rinunciare a qualcosa per cambiarne un’altra. Invece non mi pare che questo stia succedendo, anzi l’ansia di tornare tutti a una normalità posticcia e che non c’è mai stata mi pare renda ancora più ciechi i ciechi, più sordi i sordi. Ma davvero tutto andrà a posto facendo finta che non ci siano delle crepe? Inorgogliendoci per la prossima fiera dove saremo tutti bellissimi nella nostra bolla di promotori culturali? Ho amici editori che si lamentano perché le librerie non pagano le fatture, ho amici librai che piangono perché non ce la fanno a pagare l’affitto con le vendite. La distribuzione comincia a fare acqua e persino i corrieri cominciano a perdere colpi nelle consegne, anche se i costi dei libri sono sempre più alti. Organizzare una presentazione è sempre abbastanza complicato ma a voler essere sinceri molti, moltissimi scrittori sono contro il green pass. Del resto fra quei 5 milioni di italiani non ancora vaccinati si nascondono tantissimi artisti. In tutto questo, anche se le analisi economiche sostengono il contrario, gli unici ad avere un reale vantaggio oggi sono “i padroni della festa”, quelli che stanno più in alto, che controllano i grandi marchi editoriali, che vendono più libri, che controllano la distribuzione. È un sistema che scricchiola? In questo senso non è cambiato nulla. E chi dovrebbe parlare sta quasi sempre zitto perché se pubblica coi grandi non gli conviene esprimere dissenso, e se pubblica coi piccoli può anche sgolarsi fino a morire, tanto non lo ascolterà nessuno a meno che non vinca un premio. Perché la vanità degli scrittori è brutta, ma anche la vanità dei lettori fa abbastanza paura.
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