«Il popolo bue» lo chiamava
col disprezzo nella voce
colui che per il popolo lottava
ma senza dargli voce.
«Liberarlo anzi si deve il popolo
cornuto e traditore».
Ma dunque in che è diverso, il tuo
dallo sguardo del padrone?
«Cambia tutto, invece, infame!»
E si accaniva addosso
al fascista naturale
che in ciascuno sta nascosto. Anche sul mio:
«O fai pubblica ammenda per ogni tua parola
ch’io non condivido, o ti sputtano!»
E citava certamente il compagno poeta Majakovskij
contestandomi ogni pelo del naso
per dar scandalo. Ne faceva una questione
non di fede, ma venale
ché nulla gli importava dei princìpi
ma soltanto di finire sul giornale
o nei libri di storia o meglio ancora
sul Monumento ai caduti in piazza.
Persino se voleva un uomo morto
non aveva le palle di ammazzarlo.
Imbastiva un pezzo ad arte e lo postava
in rete. Calato nella parte gli scriveva:
«Caro mio, devi morire.
E bada in me non c’è violenza».
Così faceva, Praz, la Resistenza.
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