domenica 29 dicembre 2019

sui brutti libri che arrivano in lettura

Tutti questi libri sono legati da un riverbero suscitato da un corredo di parole che, in definitiva, si ripete più o meno identico: “rugiada”, “incedere”, “alfine”, “viandante”, “cristallo” (accoppiata di solito a “sogno” o “silenzio”), “arcobaleno”, “infinito”, “aquilone” e via così, secondo una norma soggetta a poche variazioni. 
Il punto è che sono parole cieche e senza carne, non gettano nessuno sguardo sulla realtà, perché da tempo ne hanno persa la presa […] Così come in Tex Willer la pioggia è sempre “battente”, il riposo “ristoratore”, la bistecca “alta tre dita” e il pasto “frugale”, in poesie come queste il respiro è “tremante”, si corre “a perdifiato”, i sogni sono “sgualciti” o “infranti” quando si piange la perdita di un amato, mentre l’amore soffia su tutte le pagine di un “alito d’infinito”. 
La differenza – sostanziale – è che dopo una cavalcata di giorni nel deserto del Nevada, sulle tracce di pericolosi banditi, dopo tutti i pasti frugali consumati alla luce fioca dei bivacchi notturni, dopo averli trovati, i banditi, affrontati e sgominati, una bistecca alta tre dita è sacrosanta. E il lettore di Tex l’aspetta quanto il ranger come il segnale liberatorio della fine della storia, coccolato da un processo di lettura seriale. Ma il concetto di luogo comune non è applicabile quando si scrivono versi: perché la poesia è il luogo dell’inatteso, del lapsus, dello sguardo che concepisce il mondo con la coda dell’occhio e crea un ordine di esperienza nel momento stesso in cui l’esperienza dà forma alla poesia. Nei testi dei dilettanti, invece, lo sguardo rovescia la poesia nel suo contrario, diventa il luogo dove tutto è già stato visto, anche ciò che è ancora da vedere. Il risultato è un’innocenza che rimane al di qua dell’innocenza. 

(Pierluigi Cappello, Questa libertà, BUR Rizzoli, 2013, pag. 67-69)

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