Due giorni fa è uscita per L’indiscreto una classifica di libri di qualità, allestita da esperti e “grandi” lettori, suddivisa per categorie. Per quanto riguarda la poesia, questa classifica mi pare fotografi bene qual è la situazione della poesia oggi in Italia. I primi dieci posti, infatti, sono occupati per metà da antologie (a cui aggiungo la ristampa di Brown Sugar di Veneziani, che a suo tempo fu un piccolo classico) che spesso provano a fare giustizia di personalità che in vita non ebbero la giusta visibilità (vedi Di Ruscio). E in cui un giorno, si spera, finiranno molti vivi che oggi scrivono ma non se le fila nessuno, manco i grandi lettori, che evidentemente sono più impegnati a fare i conti con le antologie dei passati. La poesia però, si sa, viaggia con tempi diversi. Così la ricognizione critica, che spesso è più brava a riesumare che incentivare i presenti e vivi. Unica grande eccezione: Valerio Magrelli, al primo posto con antologia (bellissima, per me), e al quarto posto con la sua ultima uscita (Il commissario Magrelli) che però è un libro minore, non certo il migliore della lista, anzi. Devo forse pensare, e nonostante gli scopi di imparzialità che la lista si impone, che anche qui il peso di un nome fa la sua parte? Il bello però arriva alla voce n.17, che riesce ad unire tutti gli estremi possibili tanto da essere degna di una mostra di Andy Warhol, nella capacità di appiattire ogni cosa su un unico piano semantico. Quella è la fotografia più perfetta di come è considerata la poesia oggi in Italia: un minestrone che accomuna ben dodici autori, dodici storie e scritture diverse, dove Franco Arminio e Paolo Fresu, Guido Catalano e Giampiero Neri stanno alla pari, perché tanto è sempre la stessa menata. Ecco, quando vedi queste cose, ti chiedi per un attimo perché scriviamo poesie, se alla fine il tuo lavoro rischia di essere buono come un altro, tanto buono da poter essere equiparato, nel gusto, a quello di un Neri o di un Magrelli, ma non abbastanza da avere la certezza che si sia capito perché. La risposta, ancora una volta, la dà una poetessa, Arundhathi Subramaniam (in un bel libro pubblicato da Interno Poesia), quando scrive che dieci persone le leggono, in ogni caso. Al di là di qualsiasi classifica.
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