venerdì 11 settembre 2020

pietà di sé, infinita pena e angoscia

Ieri sera ho scoperto, parlando con una amica che ci ha avuto a che fare per un libro, che una casa editrice di media grandezza e considerata di assoluta qualità editoriale, anzi fra quelle di maggiore qualità in Italia, per la collana di poesia – non so per le altre – si fa pagare la pubblicazione dagli autori, e non chiede nemmeno poco, anzi. All’inizio mi è caduto un mito, poi ho pensato alle tante contraddizioni di questo mondo, per cui da una parte ci sono piccoli editori “morali” che non chiedono nulla agli autori, ma che poi scopri non pagano i collaboratori o, per andare avanti, sfruttano il lavoro degli stagisti; e dall’altra ci sono i medi editori “immorali” perché chiedono soldi agli autori, però con quei soldi ci pagano i collaboratori e la redazione, danno da mangiare a delle famiglie, e non so dire chi abbia più ragione o chi torto dei due. Stronzate, mi dice la mia amica, il segreto per pagare le famiglie, è comportarsi da editore e pubblicare i libri giusti, niente più poesia ma solo roba che vende: così si pagano gli stipendi. Poi certo, ci sono i casi clinici, gli editori “eroici” o “folli” perché sono soli come cani e quando muoiono ti accorgi che portavano la stessa barba, gli stessi occhiali, lo stesso paio di pantaloni rappezzati da vent’anni, non avendo soldi nemmeno per cambiarsi. Ma io quando mi immagino che finirò così mi viene pietà di me, infinita pena e angoscia, e allora confesso di sperare anch’io di passare, prima o poi, in serie B, al lato oscuro della forza. Soltanto per vedermi cambiato.