mercoledì 16 settembre 2020

le solite domande senza uscita

Ogni volta mi dico che non dovrei farlo, eppure finisco sempre per leggere i commenti a certi fatti, solo per vedere fin dove si può cadere in basso. Stavolta è capitato in merito alla morte di don Roberto Malgesini, ucciso ieri a Como da un uomo con problemi psichici, un emigrato irregolare, senza casa, solo e abbandonato, che veniva assistito da don Roberto insieme a tanti altri. Come al solito, certi commenti sono più agghiaccianti della morte stessa. Quando va bene la gente parla di “morte assurda”, altrimenti don Roberto “se l’è cercata”, per alcuni la colpa è tutta di questi “immigrati e dallo Stato che non li caccia via”, per altri don Roberto era “un martire incompreso” per via del suo impegno. Ma Malgesisi non era un martire, era un uomo con gli attributi che aveva ben chiaro il proprio ruolo, più di quanto fosse chiaro a tanti altri, perché se il compito di un sacerdote è praticare il Vangelo ‘anche’ aiutando gli ultimi, ovvero coloro che sono esclusi dalla rete di protezione sociale, i reietti, allora lui assolveva perfettamente al proprio compito, assumendosi con coraggio i rischi del suo ruolo, e in tal senso sì, se l’è cercata. Ma non c’è assurdità in questo, né scandalo. C’è il senso ultimo di una Chiesa, quando è sana. Casomai, bisogna chiedersi, e con forza, chi è che non ha assolto al proprio dovere, chi ha permesso che una persona con problemi psichici – e non ce ne sono pochi in Italia, spesso abbandonati a se stessi, o alle cure delle famiglie in affanno o di pochi centri che li accolgono vita natural durante – com’è possibile che una persona con problemi psichici, e pericolosa, sia stata lasciata sola, dimenticata al punto da richiedere l’intervento di don Roberto. E ancora, chi avrebbe preferito che don Roberto si facesse i cazzi propri, venendo meno al dovere morale di soccorrere il prossimo, e per questo facendogli il vuoto intorno? Chi, per non prendersi quella responsabilità, preferisce che tanta gente in difficoltà, che è malata, matta, sola o abbandonata, o addirittura pericolosa per se stessa e per gli altri, diventi invisibile per sempre, o fino a quando non finisce all’improvviso al notiziario? E perché, nonostante tutto questo, abbiamo bisogno di parroci come don Roberto che si occupano di persone con tali problemi al posto nostro, accollandosi il peso di fare da cuscinetto fra quelle persone, fra quel tipo di disperazione, sofferenza e solitudine, e noi, la cosiddetta società sana, che non vede il male e, quando può, indossa i paraocchi e lo tiene rinchiuso a chiave?

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