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lunedì 8 agosto 2022

numeri

A me di questa storia del Jova Beach Party che rovina le spiagge la cosa che più mi dà fastidio non è Jovanotti che fa la doppia morale, ma le 50 mila persone che vanno puntuali a ogni concerto giustificandolo nei numeri. Invece mi pare sempre più evidente che l’oggetto del contendere non sia la salvezza delle spiagge, ma la falsità di Jovanotti. Del resto lo dice l’articolo uno della costituzione: prima di tutto viene il lavoro, e chi se ne frega della salute delle spiagge quando c’è il lavoro? Sarà, a me comincia a sembrare troppo facile questo modello di pensiero per cui siamo sempre pronti a puntare il dito verso lo stronzo di turno, ma poi quando c’è da fare autocritica o boicottaggio stiamo zitti. La verità è una sola ed è semplice: vuoi salvare le spiagge? Allora boicotta il concerto. Perché se al concerto non ci va nessuno, il concerto non si fa, la spiaggia è salva. Invece tutti vogliono andare al mare, tutti al concerto perché il concerto sulla spiaggia è più figo, e se la colpa se la prende un altro meglio ancora. Forse non è nemmeno una colpa, perché manchiamo totalmente di sensibilità verso l'ambiente. E qui parlo per la Puglia, le nostre spiagge erano già zozze molto prima che arrivasse Jovanotti, e lo erano perché ci vanno i pugliesi, che sono zozzi perché vivono immersi nella bellezza della natura fin da quando sono nati, senza essersela conquistata, e per questo non la rispettano come dovrebbero. Come mi disse una volta un friulano che viveva in montagna e faceva il bagno in un fiumiciattolo sassoso, ma limpido: Chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti.

giovedì 17 settembre 2020

gli sfaccendati

Bellissimo vedere come, dopo aver scoperto che prendevano il reddito di cittadinanza, ora la destra italiana dice che i ragazzi che hanno ucciso Willy sono in realtà il frutto della politica sbagliata dei Cinquestelle che regala i soldi agli sfaccendati invece di investirli in cose più utili come, ad esempio, una più efficiente forza dell'ordine che contenga la violenza degli sfaccendati stessi. Nessuno che parli di investire nella scuola, perché agli sfaccendati la scuola non serve. Ecco che, ancora una volta, nessuno li vuole con sé, nessuno si assume la responsabilità delle loro colpe, ma sono tutti concordi nel capire che gli sfaccendati (meglio se criminali) sono un ottimo argomento di strumentalizzazione politica.

venerdì 14 agosto 2020

che succede?

Questi ultimi giorni, confesso, sono stato maluccio, con mal di gola, tosse ecc. ma senza certezze che fosse un male di stagione o altro, e nel giro di pochissimo sono passato per tutti gli stadi sociali possibili, dal mio vicino che vedendomi arrivare mi ha “circumnavigato” per non avere contatti diretti con me a mio fratello che mi ha minacciato (come fa di solito): “Se mi attacchi qualcosa ti uccido prima del COVID!”, agli amici che mi chiamavano al telefono preoccupati: “Che succede? Come stai? Ti hanno già ricoverato?” o più convintamente: “Non voglio tirarti i piedi, ma secondo me è proprio COVID!” Non ho il COVID, non mi ha ricoverato nessuno, ma fra gli altri c’è stata anche moltissima gente che ha minimizzato con grande tranquillità: “Ma va che non è nulla!” oppure “Scià che il raffreddore ce l’ho avuto anch’io!” Il che è certamente possibile, anzi si spera che sia sempre raffreddore. Il punto secondo me è un altro: è che tutti questi amici minimizzavano non perché sapevano – ché nessuno sa nulla di certo a questo punto e tutti schizziamo impazziti da una teoria del complotto all’altra – ma perché semplicemente non potevano e non possono pensare che toccasse a me e di conseguenza a loro. E ho pensato che, al di là delle polemiche sulla strumentalizzazione del virus, è questo che, a un certo punto, ci ha fregati tutti: non il nostro innato ottimismo, ma questa idea che non può mai toccare a me, non può semplicemente MAI toccare a me, perché tocca prima sempre agli altri e gli altri NON siamo NOI. Tutto questo pensiero si è sposato oggi a una dichiarazione di Pier Luigi Lopalco che ho letto poco fa e che in un certo senso mi ha aperto gli occhi, perché sinceramente non l’avevo capita fino in fondo (con tutto che con le parole ci lavoro): cioè che chi prende il virus ma non si ammala e viene chiamato “asintomatico”, termine pulito e quasi asettico che serve a non creare il panico, ci viene quasi presentato dall’informazione come uno che l’ha passata liscia ed è ormai esentato dal danno. Ma questa è una verità parziale che riguarda il danno personale, non quello comunitario (vedi sopra). Un asintomatico, dice Lopalco, altri non è che un “portatore” sano, uno che porta il virus senza conseguenze per sé ma con possibilità di trasmetterlo. E ho pensato che forse, se invece di chiamarli “asintomatici” cominciassimo a chiamarli “sieropositivi” come si usava quanto ero ragazzo io per spaventarci da un altro terribile virus, con l’idea che eri comunque “positivo” a qualcosa e non negativo, ovvero emendato dal male e da responsabilità, qualcosa nella comunicazione cambierebbe.

venerdì 26 giugno 2020

feltri si dimette

Leggo come tutti sono contenti che Feltri abbia dato le dimissioni dall'Ordine dei giornalisti, organismo che già di per sé è inutile e deleterio, e nessuno che si chieda come mai a una persona di 77 anni (che sia Feltri oppure un altro) sia consentito di stare a capo di qualsiasi cosa, compresa una testata giornalistica, invece di andare ragionevolmente in pensione permettendo un ricambio generazionale. Feltri, mi pare chiaro, non ha dato le dimissioni di sua volontà: dopo gli ultimi scandali gli avranno consigliato in privato di andarsene con le buone prima di arrivare alle cattive, e lui ha scelto la via più comoda per tutti. Così Feltri si è salvato "dignitosamente" il culo e la questione morale di cosa un giornalista può dire o non dire senza richiami o conseguenze professionali (compresi gli insulti ai meridionali) non è stata ufficialmente affrontata dagli organi compententi con il rigore che avrebbero dovuto mostrare. La deontologia professionale ancora una volta è salva da patate bollenti.

mercoledì 1 maggio 2019

contesto e comunità

Leggo i vari post che si condividono in merito e continuo a pensare che sul caso di Manduria si sia sbagliato e si stia sbagliando tutto, perseguendo modalità tipiche del più tipico giustizialismo italiano. Adesso tutti gridano al linciaggio del branco, ma quel branco, smontato, è costituito da un gruppo di ragazzini immaturi e calati in un contesto che li copriva. Non era un insospettabile isolato con dei problemi sociali, ma erano una decina di persone, cresciute in ambienti bene, seguite a scuola, che hanno vessato il pensionato per sette anni (!) nel silenzio di tutto il paese, che non ha visto o sentito nulla, dai parenti ai vicini ai servizi sociali, per sette (sette!) anni. E adesso che si fa? Si sceglie la via più facile, si dice che quei ragazzini sono bestie fuori dal contesto e si invocano indignati pene severissime ed esemplari, dopodiché accusati di omicidio li si manda in prigione (e se va bene in comunità) a rovinarsi definitivamente la vita e si continua a vivere tranquilli e con la coscienza pulita per aver fatto giustizia, ma dopo. Purtroppo così non hai risolto il problema, che è un problema sociale e comunitario, lo stesso problema che ha permesso, nel silenzio, che quell’omicidio avvenisse. Lo minimizzi, dicendo che è un problema dei singoli ragazzi, dai sfogo alla rabbia di qualcuno e recuperi la faccia, ma non dovrebbe funzionare in questo modo. Servirebbero delle scuse pubbliche secondo me, servirebbe un intero paese che si assume le sue responsabilità di comunità e dice: “Abbiamo sbagliato tutti, dobbiamo capire dove, dobbiamo migliorare, ma per prima cosa non abbandoneremo quei ragazzi a se stessi come abbiamo fatto finora, cercheremo di recuperarli, con le buone e con le cattive, e recuperando loro cercheremo di capire i nostri stessi errori e sanare ciò che non va in noi come genitori e come adulti”. Altrimenti, come al solito, ci si limita a fare chiasso, tanto rumore per nulla fino alla prossima vittima.

sabato 21 marzo 2015

fondamento

Stasera ho sentito parlare Barbara Balzerani, oggi scrittrice, ma in passato leader delle Brigate Rosse, protagonista di alcune delle pagine più importanti e cruente della nostra storia politica e sociale. Mi ero ripromesso di fermarmi solo una mezz'ora, invece, tale è il carisma di questa donna, quando ha comincianto a parlare mi sono attaccato alla sedia per un'ora e mezza. Mi sono sentito trasportare con forza nei flussi storici e umani che hanno determinato e determinano la nostra vita e mi sono sentito, alla fine, più ricco e e più forte di prima, meno solo. Che gran donna la Balzerani, soprattutto adesso che pare aver fatto pace, in parte, col proprio passato, e che modo stupendo ha di raccontare, con parole semplici, i meccanismi di un mondo all'apparenza inespugnabile. Più di tutto, nelle sue storie, tornano alcuni concetti basilari: la dignità di ognuno per la quale c'è sempre da lottare, la necessità che tutti torniamo ad assumerci la responsabilità delle nostre azioni, e soprattutto l'assoluto fondamento della cultura come diritto sacrosanto, come base di tutto, le parole SCUOLA SCUOLA SCUOLA e ancora SCUOLA.