Leggevo stamattina che Leopardi non era gobbo perché rachitico a forza di studiare – come spesso lo immaginiamo perché così ce lo passa la tradizione – ma perché affetto dal morbo di Pott, una forma grave di tubercolosi ossea che gli ha distrutto il corpo pezzo a pezzo attraverso lunghe, atroci e umilianti sofferenze, fino a portarlo alla morte a nemmeno quarant’anni. E ho pensato al fatto che sarebbe ora di finirla con quest’immagine romantica ma svilente del secchione sfigato e incazzato con mondo perché è diventato brutto a forza di leggere libri; invece andrebbe rovesciata la prospettiva in chiave eroica per guardare una persona debole, piena di limiti perché affetta da una gravissima malattia, ma che proprio attraverso lo studio è riuscito a crearsi un sistema di pensiero indomabile, tale da superare i propri handicap per diventare già in vita una delle menti più grandi del proprio secolo.
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