Stamattina, con Roberto R. Corsi – che ho da poco ribattezzato Cavallo Corsi, in quanto scopro della scuola della Cavalli, ovvero dedicarsi idealmente alla flânerie per tutto il giorno e scriverne poesie a sera – si parlava di lavoro per quelli come noi, che scrivono. Lui convinto mi dice: «Io non ho mai avuto il problema che il lavoro mi piacesse a tal punto da farlo gratis, preferirò sempre una passeggiata! (sottinteso: a farmi sottopagare)».
Rispondo tirando fuori dal cappello ragioni sociologiche legate all’ambiente in cui sono cresciuto: «Io lavoro quasi sempre gratis, mi accorgo, perché farsi pagare per un lavoro intellettuale è peccato mortale (in quanto lavoro di serie B), ma non fare nulla piuttosto che darsi da fare è peccato mortale due volte, insomma come la fai la sbagli e l’unica cosa seria era andare a fare il muratore».
Su tutto questo mette una pietra mio fratello, che non scrive ma guadagna: «Io, se mi chiami per un lavoro, mi faccio pagare anche solo per venire a parlarti, e se non ti va bene puoi andartene a fanculo. Io non lavoro coi disperati, tu sei solo una merda!». Il sei una merda in effetti è gratuito, ma posso dire per esperienza diretta di mio fratello che funziona sempre.
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