Difficilmente mi capita oramai, con un contemporaneo, di dover tornare sul suo libro dopo averlo letto la prima volta. Mi è successo di recente con Cinquantaseicozze di Roberto R. Corsi (italic, 2015), libro che in piena linea col titolo – che a me, l’autore lo sa, non piace proprio – offre numerosissimi e gustosi spunti coi quali si è costretti necessariamente a sporcarsi le mani. La natura salace – spesso divertente e ricca di calembour, rime, battute (e battutacce) e giochi di parole: il mio preferito nella rima passeri/Casseri della pur mesta Cozza n. 32 – la rende una lettura godibile e stilisticamente assai coesa, più di quanto, a una prima lettura, la varietà dei temi trattati possa far pensare; e nell’uso sapientissimo del verso che vive di evidenti rimandi alla forma classica della Satira (nel suo continuo oscillare fra intimo e pubblico con accenti moralizzanti, ma senza troppe speranze), e nelle vivaci incursioni nel più moderno stile diaristico dei postmoderni, perlomeno nei suoi accenti più intellettualisticamente borghesi (Sanguineti, mi è parso, su tutti). Eppure, allo stesso tempo, lo sguardo basso, concreto, spesso impietoso, autoironico fino all’autodenigrazione dell’autore, lo rende un lavoro accorato e a tratti disperato. Ne emerge infatti, nascosta dietro la risata, l’insanabile solitudine di un uomo troppo umanamente partecipe per assolversi da qualsivoglia colpa; troppo intelligente per non sentirsi estraneo a qualsiasi impegno o gruppo; e allo stesso tempo troppo (poco) serio per non cogliere la vacuità di tale atteggiamento e farne, anche a proprie spese, dell’ironia.
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