Cate, ma perché «son qui con te sempre più solo»
perché la morte ci richiama giorno a giorno
con più forza e circondati dal buio dal rumore
fatichiamo a dare spazio a questa mente?
Cate, ti ricordi la canzone che in autunno ci portava
un altro giorno di luce, ancora un passo verso il niente –
quando ancora non odiavo in ogni voce ogni uomo
a me più non solidale ma ostile?
(Perché ci toglie spazio col suo pianto con le sue
lamentazioni, ché come ogni uomo è infelice
e io sto meglio nel silenzio e nel mio odio
senza scopo e senza direzione).
Cate, lo so che mi dicevi ti ricordo più duro e sagace, violento
ma il tempo mi ha morso e incarognito nella sua malattia
la ruggine non tace e ammorba tutto
consuma ogni pagina ogni disco e parla, la polvere parla.
E ti racconta di me, di come nascosta negli angoli spiava
ogni mossa del mio amore, dell’ombra accanto a me
che chiedeva in che modo faremo, come
come passeremo ancora insieme un altro inverno?
Era un fantasma anche quello
di quelli che attentano nell’ombra al mio silenzio
il caro nulla che – ci accopperebbe volentieri
se non fossi di continuo aggredito dalla vita, dal mio
peso quotidiano, se
tu non fossi qui con me, ma non ci sei.
Cate, che ti chiamavo Claudia in una mia poesia
ed ora Anguilla pure tu, ma sei la prima.
Cate, fantasma pure tu, se sono stato anch’io per te
importante. E ora più non sono che un ricordo
coi miei disegni e tutto quello che ne resta
e che lo so, non basta mai contro il dolore, il nostro.
Cate, ora ti abbraccio e dico addio.
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