La mia giornata della memoria la chiudo con l’invito a leggere una poesia di Giorgio Bassani chiamata GLI EX FASCISTONI DI FERRARA in cui, nel clima di distensione della sua città e di tutta Italia dopo la guerra, Bassani parlava con disgusto degli ex fascisti che facevano finta di non ricordare e gli gettavano le braccia al collo da buoni amici ora che era uno famoso. Del resto, in tutto il paese la scelta più o meno unanime era stata quella: chi, arrivati al bivio della Repubblica di Salò, aveva scelto Salò era da condannare come fascista, chi invece aveva rinnegato o scansato quel passaggio si era ripulito la fedina. Qualcuno, più cinico e smaliziato, gli sussurrava all’orecchio: “Ma sì Bassani, smettila con questo atteggiamento di arroganza e perdonaci una buona volta. Dopotutto è scrivendo quei tuoi libri pieni di balle su di noi che ti sei fatto ricco, dovresti quasi ringraziarci, senza di noi tu nemmeno esisteresti come scrittore”. E Bassani, con tutta la sua acredine, rispondeva: “Perdonarvi? Certo, ma soltanto dopo che saremo tutti morti.” Perché una vera giornata della memoria, non andrebbe mai scordato, non si nutre soltanto di pietà e di buoni sentimenti, ma anche di rancore cieco, sordo e irrimediabile. E in questo rancore la differenza la fa da che parte stai.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
Visualizzazione post con etichetta rancore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rancore. Mostra tutti i post
giovedì 27 gennaio 2022
lunedì 23 settembre 2019
coyote
Stamattina, ascoltando questa canzone, ho ripensato a una intervista rilasciata da Joni Mitchell qualche anno fa. Era una intervista piena di amarezza in cui tirò fuori una polemica feroce contro Bob Dylan, dicendo che era un pessimo uomo (poco igienico anche) e un pessimo artista (un plagiario della peggior specie) che non si meritava il successo che aveva avuto più di lei, infinitamente più brava di lui ma messa da parte perché donna. Di recente, con l’ultimo film di Scorsese sulla Rolling Thunder Revue, è venuto fuori il video qui sotto, dove loro due suonano insieme Coyote a metà degli anni ’70, mettendo da parte, nel nome di una vecchia amicizia, quell’intervista e quella rivendicazione. Però, mentre un certo punto di Chronicles Vol. 1, o forse in una intervista (non ricordo di preciso), qualcuno chiede a Dylan se ci sono dei giovani che gli piacciono, che hanno raccolto la sua eredità, e Dylan parla a lungo – stupendo l’intervistatore – della nuova scena rap americana, dice che gli piace l’uso che fanno della parola questi ragazzi e il modo in cui la usano per rapportarsi col mondo; nella succitata intervista alla Mitchell qualcuno le fa la stessa domanda, e Joni risponde che no, non le pare dopo di lei qualcuno abbia fatto qualcosa di altrettanto bello o di paragonabile al suo lavoro con Mingus. Ecco, leggendo tale risposta ho pensato che sia una cosa veramente triste da dire, e piena di egocentrismo – molto più egocentrica di qualsiasi Dylan, e ce e vuole! Dà l’idea di una persona che si sente molto sola, non perché lo sia davvero, ma perché proprio non riesce a vedere chi c’è intorno.
giovedì 3 marzo 2016
disamistade
Non ne sono del tutto sicuro ma credo che le liti come sono fatte al Sud abbiano un candore tutto loro. Sono le liti col piccio, in cui l’offesa vale più del chiarimento. Per cui da un giorno all’altro si bisticcia ma senza mai litigare, ci si toglie il saluto, la parola, lo sguardo, con dinamiche tali che a volte vien da pensare ai fidanzati quando si scucchiano. Mi è successo parecchie volte di litigare così per ciò che dico, che l’altro motivo, i soldi, non mi compete. A volte ho capito il perché, altre volte ho avuto solo il sospetto senza nemmeno la certezza. Però mi ci sono ugualmente infervorato, con silenzi epici, lunghi anche anni, e rancori senza fondamenta, montati sulla sabbia e pronti a essere spazzati via dall’onda in un battibaleno. Sono tre giorni che incontro questo signore, con cui ho litigato un po’ di tempo fa, o meglio lui ha litigato con me per una cosa che ho scritto. Lo vedo che cammina sulla mia strada, mi viene incontro, mi vede anche lui da lontano, e piuttosto che incrociarmi ogni volta si gira su se stesso e torna indietro. Ieri gli ho fatto uno scherzo. Invece di fermarmi dove avrei dovuto e dargli respiro, mi sono messo alle sue calcagna, incalzandolo, spingendolo in avanti, ha attraversato la strada e l’ho attraversata anch’io per stargli dietro, e lui cocciuto ha continuato, pur di non affrontarmi, e così l’ho portato in fondo al paese, fino al cimitero.
domenica 11 maggio 2014
lo shampoo
Questa è una poesia che avevo nel cassetto da alcuni mesi, ne avevo scritto alcuni versi, poi era passata la spinta emotiva che mi aveva guidato all’inizio e l’ho messa da parte. Stamattina, non so nemmeno perché, mentre facevo uno shampoo e ascoltavo un disco di Monk per solo piano, mentre canticchiavo Monk, mi si è spalancata di nuovo, dal nulla, non con il sentimento originale, ormai perduto, ma con qualcosa di più sardonico e fatalista. L’ho appuntata al volo su un foglietto, con la testa piena di schiuma, poi sono tornato sgocciolante a sciacquarmi.
SUL SILENZIO
Devo smetterla di scrivere di te
perché l’amore oggi è troppo personale
a interessare ancora il mondo
coi miei scazzi. La nostra storia
è fatta dei tuoi gesti, banalmente gli sguardi,
i soliti discorsi sul tempo, la spesa,
la gatta, i giornali, tutta questa prosa
che non cede, la prossima
tempesta in arrivo e poi il sereno.
E quella sui libri non è che un riassunto
sbiadito. Di te fra i miei versi rimane
l’immagine fiera di fuggiasca
simile ad Angelica rincorsa
dal furore senza scampo di un amore
impossibile, incerto. Mai
la testardaggine ottusa di chi
proferisce parola per dir “felicità”
come fosse a sé dovuta, una nuova conquista
di cui tace con astuzia. Stare zitta
non sempre è discrezione, una forma
di rispetto per il cuore ripiegato
su se stesso eppure solo. Cara onesta
delle volte una tale ritrosia
fa solo comodo ai tuoi piani, e se c’è dell’altro tu
non l’hai mai ammesso.
martedì 2 luglio 2013
due al bivio
Nessuno sa più che fare o di che vivere
l’uno sta immobile e pavido
osservando le ombre che s’agitano
sul muro illuminato dai fari
mentre aspetta chissà cosa o come
l’altro trottola irrequieto
si pavoneggia in movimenti stellari
d’effetto certo ma sterili
se calcando la mano ricade ogni volta
l’uno ha la testa più rotta.
l’uno sta immobile e pavido
osservando le ombre che s’agitano
sul muro illuminato dai fari
mentre aspetta chissà cosa o come
l’altro trottola irrequieto
si pavoneggia in movimenti stellari
d’effetto certo ma sterili
se calcando la mano ricade ogni volta
l’uno ha la testa più rotta.
Etichette:
amicizia,
amore,
assenza,
distanza,
follia,
immobilità,
indecisione,
irrequietezza,
mani,
morte,
movimento,
odio,
paura,
poesie mie,
rancore,
silenzio,
vanità,
violenza,
vita
domenica 7 febbraio 2010
la scimmia
C’è una zona d’ombra in me nascosta
sempre troppo laterale perché possa
illuminarla con la torcia per guardarti
in cui tu sei, e rimani lì non più reale
e leggera ma presente. Ed è impossibile
per me ignorarti se talvolta, voltandomi
di scatto, catturo a stento nella fuga
la tua spalla nuda o il dente aguzzo
che riluce sotto il pelo nero, i pochi indizi
della tua certezza. Lì stai aggrappata
e non mi riesce di scacciarti. Lì alimenti
il mio rancore e l’inquietudine.
E se anche è vero che lasciarsi ci ha ridato
il silenzio, è pur vero che non dormo
per paura del buio. Fino a quando
non riuscirò ad abbattere la scimmia
che mi porto sulla schiena ed ha
le tue fattezze neroangeliche e dispera
perché creda a quelle lacrime che mai
ti ho conosciuto, col fucile che ho pronto
accanto al letto.
sempre troppo laterale perché possa
illuminarla con la torcia per guardarti
in cui tu sei, e rimani lì non più reale
e leggera ma presente. Ed è impossibile
per me ignorarti se talvolta, voltandomi
di scatto, catturo a stento nella fuga
la tua spalla nuda o il dente aguzzo
che riluce sotto il pelo nero, i pochi indizi
della tua certezza. Lì stai aggrappata
e non mi riesce di scacciarti. Lì alimenti
il mio rancore e l’inquietudine.
E se anche è vero che lasciarsi ci ha ridato
il silenzio, è pur vero che non dormo
per paura del buio. Fino a quando
non riuscirò ad abbattere la scimmia
che mi porto sulla schiena ed ha
le tue fattezze neroangeliche e dispera
perché creda a quelle lacrime che mai
ti ho conosciuto, col fucile che ho pronto
accanto al letto.
Iscriviti a:
Post (Atom)