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domenica 26 gennaio 2025

michele passato e michele futuro

Una poesia di Michele Trizio da Cenere del risveglio (Marco Saya, 2024). Per ragioni editoriali, oltre che di amicizia, di Michele ho letto prima le sue ultime proposte poetiche, che più vanno e più si fanno impalpabili e sperimentali, in cui vuoti, tagli e omissioni dicono quanto e più delle parole scritte; e poi questa sua prima raccolta pubblicata, che cronologicamente viene prima delle altre, e infatti ha un taglio più classico, descrittivo, colto, permeato di scorci e umori spesso crepuscolari (“Non c’è più spazio per concluderci” dice uno dei miei versi preferiti) per quanto già perfettamente organizzato secondo schemi che sono assolutamente suoi (Spazio, Tempo, Linguaggio, Lascito). Ne è derivato, almeno in me, un lieve straniamento per cui ogni tanto mi trovavo a chiedermi dove fosse nascosto il Michele Trizio che già conoscevo dai suoi inediti, il Michele del futuro insomma. Poi mentre leggevo, a pagina 41 è saltata fuori questa poesia che condivido, ed è una di quelle poesie che fanno da “ponte”, che stanno cioè perfettamente nel cuore dell’opera in corso, ma con la testa sono già lanciate verso quello che verrà. E qui mi sono illuminato.

 

 

sabato 20 luglio 2024

il grande freddo

Io la dico così come la penso, l'ecoterrorismo no, è inaccettabile. Che faccia caldo perché siamo a luglio è assolutamente vero e chi si spaventa per questo è un fesso. Ma il problema vero non è che fa caldo a luglio, il problema vero è che fa caldo da novembre a marzo. Gli inverni sono sempre più caldi e piove sempre di meno, e se l'inverno fa caldo l'agricoltura va a puttane, è questo il problema. Poi uno può dirmi che è nella norma, che l'uomo non c'entra nulla, e chi lo sa, io sono di quelli che pensa che noi c'entriamo sempre in qualche modo, ma non pretendo di saperne più degli altri, potrei sbagliarmi. Io so solo che quando avevo vent'anni l'inverno qui faceva così freddo ed era così umido che dovevo mettere maglione e dolcevita sotto un bel cappotto pesante e sciarpa per uscire, se no mi si congelava tutto, pure il cicì, mentre adesso che ne ho quasi cinquanta me la cavo tutto l'anno con un maglioncino leggero e un cappottino mezzopeso, basta. Adesso, se ti vesti come mi vestivo io a vent'anni sembreresti un montanaro fuori moda, ma la moda di oggi la si fa sull'evidenza che oggi fa più caldo di ieri. Se prendessi uno di quelli che si vestono alla moda oggi e lo mettessi in una macchina del tempo per farlo tornare indietro di soli trenta/quarant'anni, secondo me non sopravviverebbe a una serata fuori: o lo ammazzerebbe il gelo, oppure si rifugerebbe in qualche pub per morire soffocato dal fumo delle sigarette che allora si fumavano impunemente nei locali pubblici. Io, oggi, in un locale come quelli di allora non riuscirei più a entrare.

martedì 5 marzo 2024

un quarto di un martello

Mentre sto lavorando alla traduzione di un libro, mi capita sotto gli occhi l'inventario dei beni di un bracciante del sud che muore improvvisamente ai primi del '700 lasciando alla moglie e ai suoi tre figli piccoli quanto segue: "una sottana rossa, un lenzuolo di tela, una coperta di lana verde sfilacciata, una sciarpa rossa, un tavolo di pino, due sedie usate, una piccola zappa da giardino, una vecchia zappa di medie dimensioni, una quota di un quarto di un martello da muratore, una cassapanca di pino, una scala di legno, cinque brocche di creta, quattro piatti e una coppa grande di creta." Più il trullo in cui vivevano in cinque e una piccola vigna. È una storia di povertà estrema, tanto che alla sua morte la moglie è costretta a ipotecare il trullo e la vigna per sfamare i figli, ma così restano senza casa. Chissà cosa è successo loro, come se la sono cavata. I documenti non lo dicono e così ci resta solo questa traccia e la forza e la caparbietà della donna che fa mettere per iscritto questo elenco per i figli. Fra le altre, la voce più commovente di tutte è quella quota di "un quarto" del martello da muratore, che non era tutto del contadino ma ne divideva il possesso e l'uso con altri tre e l'inventario lo metteva per iscritto così che i figli dell'uomo, ancora piccoli, non perdessero quel diritto nel tempo.

venerdì 27 settembre 2019

dopo

Non scriverò di nuovo
ciò che un giovane uomo
pensa, non le parole
di ciò che sente.

Non c’è storia
a parte quella che ho vissuto, ne-
ssun’altra ma
dev’essercene un’altra.

Se quel tempo ha
riecheggiato, apparente
vendetta, se la carne
e le ossa coincidono –

lascia che il corpo sia.
Guarda galleggiare i volti
sopra l’orizzonte
lascia finire il giorno.

(Robert Creeley, Later, trad. mia liberissima)

venerdì 5 ottobre 2018

l'abbandono

Da quando gli è morta la moglie
di Martino in campagna non si vede più traccia.
Una volta accudiva gli alberi come dei figli
dall’alba fino all’ora di pranzo e poi rientrava
traboccante di mele. Adesso ha scelto
di accudire il silenzio della casa
nel ricordo un po’ spaesato del suo amore
ma tornare alla vita gli costa troppo.
Ammettere che la vita può riprendere
sarebbe tradire la memoria della donna.
Lei che vive in lui che muore in lei
un giorno alla volta. Chi è vedovo dei due? Fuori
restano le mele che cadono e fermentano, marciscono
imbevendosi di piogge sulla terra indurita.
Risplendono nei colori autunnali con una tale gioia
che ti stringe il cuore. Ma nemmeno i poveri
si prendono la briga di raccoglierle.
Una mela è frutto del passato.
E soltanto mio padre quando passa
ne riempie una piccola cesta con discrezione
ché si addolora per tanto spreco.

domenica 9 settembre 2018

rettifica al post precedente

Contrariamente a quanto affermato nel post precedente, durante il pranzo di famiglia, si parla diffusamente di quando da bambino non facevo che scappare di casa. Sono scappato tre o quattro volte, più due da scuola, un'altra volta mi sono dato fuoco alle mani, un'altra ancora mi sono perforato un piede con un chiodo da cantiere di cui mi rimane la cicatrice, un'altra ancora mi sono spaccato la testa con la bici e mi hanno portato di corsa all'ospedale, un'altra mi sono gettato sotto una macchina in corsa e quasi ci restavo secco. A sette-otto anni mi infilavo già sotto le gonne di una ragazza che veniva a bottega da mia madre. Che cosa sia successo a quel monello non si capisce, ma se vuole tornare alla casa della sua infanzia, dice mio padre, sarà di sicuro per darle fuoco come da bambino non gli è riuscito.

venerdì 16 dicembre 2016

vecchi amanti

Forse il Tondelli che più ho amato è quello di Altri Libertini, di cui conservo una copia semidistrutta a furia di rileggerla in uno scaffale "degli affetti" dove tengo i libri che più mi hanno influenzato. Non si direbbe oggi ma quello e Un weekend postmoderno per me sono stati importantissimi. Il primo che ho letto, però, è stato Camere separate (un prestito di Dania che mi disse: dovevate incontrarvi prima o poi). Lo leggevo, questo libro così denso, e mi dicevo: ma ci si può mettere così a nudo nella scrittura? Poi ci ho provato per anni a denudarmi allo stesso modo, a togliermi la pelle di dosso per vedere di che colore fosse la mia stessa carne infetta. L'ho fatto coi miei poveri mezzi, ma Tondelli ha avuto la sua importanza in quel cammino. Si comincia a scrivere per imitazione, lo stesso Tondelli cominciò a scrivere questo libro influenzato da Ingebor Bachmann se non ricordo male. E poi, a furia di scrivere e di scriversi si trova una propria strada personale. E allontanandoti da loro, a volte quelli che leggevi non riesci più a capirli, o a sentirli come li sentivi un tempo. Qualcuno ti viene a noia, qualcuno lo ripudi, oppure rimanete amici o resta lì a guardarti da lontano come fa un maestro. Proprio come succede con alcuni vecchi amanti. Qualcuno ti resta nel cuore, e ogni tanto torna a bussare per chiederti di te, di chi sei diventato nel frattempo, anche se sa che difficilmente potrete ritrovarvi.