Una poesia di Michele Trizio da Cenere del risveglio (Marco Saya, 2024). Per ragioni editoriali, oltre che di amicizia, di Michele ho letto prima le sue ultime proposte poetiche, che più vanno e più si fanno impalpabili e sperimentali, in cui vuoti, tagli e omissioni dicono quanto e più delle parole scritte; e poi questa sua prima raccolta pubblicata, che cronologicamente viene prima delle altre, e infatti ha un taglio più classico, descrittivo, colto, permeato di scorci e umori spesso crepuscolari (“Non c’è più spazio per concluderci” dice uno dei miei versi preferiti) per quanto già perfettamente organizzato secondo schemi che sono assolutamente suoi (Spazio, Tempo, Linguaggio, Lascito). Ne è derivato, almeno in me, un lieve straniamento per cui ogni tanto mi trovavo a chiedermi dove fosse nascosto il Michele Trizio che già conoscevo dai suoi inediti, il Michele del futuro insomma. Poi mentre leggevo, a pagina 41 è saltata fuori questa poesia che condivido, ed è una di quelle poesie che fanno da “ponte”, che stanno cioè perfettamente nel cuore dell’opera in corso, ma con la testa sono già lanciate verso quello che verrà. E qui mi sono illuminato.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
domenica 26 gennaio 2025
sabato 20 luglio 2024
il grande freddo
Io la dico così come la penso, l'ecoterrorismo no, è inaccettabile. Che faccia caldo perché siamo a luglio è assolutamente vero e chi si spaventa per questo è un fesso. Ma il problema vero non è che fa caldo a luglio, il problema vero è che fa caldo da novembre a marzo. Gli inverni sono sempre più caldi e piove sempre di meno, e se l'inverno fa caldo l'agricoltura va a puttane, è questo il problema. Poi uno può dirmi che è nella norma, che l'uomo non c'entra nulla, e chi lo sa, io sono di quelli che pensa che noi c'entriamo sempre in qualche modo, ma non pretendo di saperne più degli altri, potrei sbagliarmi. Io so solo che quando avevo vent'anni l'inverno qui faceva così freddo ed era così umido che dovevo mettere maglione e dolcevita sotto un bel cappotto pesante e sciarpa per uscire, se no mi si congelava tutto, pure il cicì, mentre adesso che ne ho quasi cinquanta me la cavo tutto l'anno con un maglioncino leggero e un cappottino mezzopeso, basta. Adesso, se ti vesti come mi vestivo io a vent'anni sembreresti un montanaro fuori moda, ma la moda di oggi la si fa sull'evidenza che oggi fa più caldo di ieri. Se prendessi uno di quelli che si vestono alla moda oggi e lo mettessi in una macchina del tempo per farlo tornare indietro di soli trenta/quarant'anni, secondo me non sopravviverebbe a una serata fuori: o lo ammazzerebbe il gelo, oppure si rifugerebbe in qualche pub per morire soffocato dal fumo delle sigarette che allora si fumavano impunemente nei locali pubblici. Io, oggi, in un locale come quelli di allora non riuscirei più a entrare.
martedì 5 marzo 2024
un quarto di un martello
Mentre sto lavorando alla traduzione di un libro, mi capita sotto gli occhi l'inventario dei beni di un bracciante del sud che muore improvvisamente ai primi del '700 lasciando alla moglie e ai suoi tre figli piccoli quanto segue: "una sottana rossa, un lenzuolo di tela, una coperta di lana verde sfilacciata, una sciarpa rossa, un tavolo di pino, due sedie usate, una piccola zappa da giardino, una vecchia zappa di medie dimensioni, una quota di un quarto di un martello da muratore, una cassapanca di pino, una scala di legno, cinque brocche di creta, quattro piatti e una coppa grande di creta." Più il trullo in cui vivevano in cinque e una piccola vigna. È una storia di povertà estrema, tanto che alla sua morte la moglie è costretta a ipotecare il trullo e la vigna per sfamare i figli, ma così restano senza casa. Chissà cosa è successo loro, come se la sono cavata. I documenti non lo dicono e così ci resta solo questa traccia e la forza e la caparbietà della donna che fa mettere per iscritto questo elenco per i figli. Fra le altre, la voce più commovente di tutte è quella quota di "un quarto" del martello da muratore, che non era tutto del contadino ma ne divideva il possesso e l'uso con altri tre e l'inventario lo metteva per iscritto così che i figli dell'uomo, ancora piccoli, non perdessero quel diritto nel tempo.
venerdì 27 settembre 2019
dopo
ciò che un giovane uomo
pensa, non le parole
di ciò che sente.
Non c’è storia
a parte quella che ho vissuto, ne-
ssun’altra ma
dev’essercene un’altra.
Se quel tempo ha
riecheggiato, apparente
vendetta, se la carne
e le ossa coincidono –
lascia che il corpo sia.
Guarda galleggiare i volti
sopra l’orizzonte
lascia finire il giorno.
(Robert Creeley, Later, trad. mia liberissima)
venerdì 5 ottobre 2018
l'abbandono
di Martino in campagna non si vede più traccia.
Una volta accudiva gli alberi come dei figli
dall’alba fino all’ora di pranzo e poi rientrava
traboccante di mele. Adesso ha scelto
di accudire il silenzio della casa
nel ricordo un po’ spaesato del suo amore
ma tornare alla vita gli costa troppo.
Ammettere che la vita può riprendere
sarebbe tradire la memoria della donna.
Lei che vive in lui che muore in lei
un giorno alla volta. Chi è vedovo dei due? Fuori
restano le mele che cadono e fermentano, marciscono
imbevendosi di piogge sulla terra indurita.
Risplendono nei colori autunnali con una tale gioia
che ti stringe il cuore. Ma nemmeno i poveri
si prendono la briga di raccoglierle.
Una mela è frutto del passato.
E soltanto mio padre quando passa
ne riempie una piccola cesta con discrezione
ché si addolora per tanto spreco.