Lo giuro sulla cipolla di Acquaviva e dinanzi al percoco di Turi, figli di primo letto del creatore e, quindi, parenti stretti del mio sangue. Alcuni millenni orsono io tenevo un’anima peuceta – peuceta doc – che campava in mezzo a un campo di vocaboli seminati apposta da antenati casaruli. Un piede a bagnomaria nella salsarossa della terra e un piede a bagnomarea nel bacile mediterraneo. Le mani, fedeli a se stesse, erano libere di toccare l’orizzonte per avvicinarlo all’aldiqua, un millimetro d’azzurro al giorno, finché non riuscivano a sfrusciare con l’indice il corpo ancora bagnato dell’alba, durante una luce che mi allucertolava.
Abitavo la provincia del basilico in calore, dentrodentro una lingua corposa e pietrosa e generosa, specialmente alla controra, quando si metteva a fare una iosa di cantilene memorie dolori.
Al posto degli occhi due olive pasole; al posto del cuore un fringuel-lino, che girava attorno attorno all’amore per farne pazientemente un nido di suoni nostrani.
Siccome ogni notte facevo sempre lo stesso sogno colorverde, finii per accasarmi con una bella zucchina, reginella signorina, devota alla santissima ostia del sole per le tante grazie ricevute. E così nacquero storie e storielle, geologie e geografie, poesie e paesie.
Fui sepolto a metà strada tra una vecchia luna e un giovane maestrale di paesaggio: al mio funerale vennero formiche e cicale di ogni razza, in pace tra loro: dalle mie ceneri mischiate alla calceviva spuntò una tribù di campanili a vela.
[Lino Angiuli, Madreterra Madreterna, Quorum 2018]
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