sabato 29 gennaio 2022

la paura dei classici

Pochi giorni fa Bob Dylan, dopo aver già ceduto i diritti del suo catalogo musicale (lui insieme a Springsteen, Neil Young, Paul Simon, gli eredi di Bowie) ha venduto la proprietà di tutta la sua musica registrata alla Sony, ovvero a una multinazionale. Qui c'è un articolo di Paolo Vites che ne parla, anche in termini economici. Di fatto "il mercato della nuova musica si sta effettivamente riducendo. Tutta la crescita del mercato viene da vecchie canzoni”. Significa che c'è una bolla di sapone social in cui ciascuno di noi si esprime e crede di avere un valore artistico, ma poi nella sostanza gli unici a vendere sono i classici: "non importa se hai venti milioni di visualizzazioni su YouTube o 40 milioni di ascolti su Spotify: non stai guadagnando praticamente nulla." Questo succede anche in letteratura. Puoi avere tutti i follower che vuoi, ma nella sostanza gli unici a fare vendite fisse e consistenti sono i classici e su quelli investono sostanzialmente le case editrici a scapito dei viventi. Dire, come si fa, che l'importante è permettere all'industria di fare cassa e sostentarsi purché si dia un minimo spazio ai più giovani, non risolve il problema del necessario ricambio/rinnovamento culturale e non tiene conto di un fatto: che se, per esempio, dai spazio a un giovane ogni tanto (spesso in base al suo valore promozionale più che all'effettivo talento) da affiancare a 999 classici, stai mettendo da parte altri 4, 5, 6 giovani (su mille) di talento che magari non sono belli o spigliati abbastanza da stare sui social. E in ogni caso, se il valore è solo quello social, una volta che saranno troppo vecchi o raggrinziti (come denunciava Joni Mitchell) ci sarà chi li butterà via senza rimpianti in attesa che diventino anche loro classici da recuperare al mercatino del vintage.

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