Ieri
ho visto Le soldatesse di Valerio Zurlini – autore di cui
personalmente consiglio ogni cosa. Le soldatesse, da un libro di Ugo
Pirro, è considerato un film minore e segna, per la critica, l’inizio di
un periodo di declino del regista, anche se a guardarlo oggi non ci
capisce perché. Forse per il tono, essendo un’opera meno d’autore e più
vicina alla commedia all’italiana degli anni ’60. Ha il limite di
perdersi un po’ nel finale (ma, cosa inaudita oggi, le ultime battute
citano alcuni versi della Bufera di Montale); ma credo succeda per il
fatto che in autori così d’atmosfera com’era lui il finale è sempre un
po’ una forzatura, il film potrebbe andare avanti all’infinito nel suo
divagare per paesaggi e piccoli abbozzi narrativi tutti affidati agli
sguardi e al silenzio. Nel complesso è un bell’affresco di guerra, il
primo in assoluto del nostro cinema a offrire una rappresentazione
dell’occupazione italiana della Grecia durante la seconda guerra
mondiale. Come dice Zurlini in una intervista noi italiani siamo stati
bravissimi, dopo, a scaricare tutta la colpa su Mussolini e sui
tedeschi, ma eravamo lì ed eravamo complici della devastazione e dello
stupro. Il film, profondamente antifascista, parla di tre soldati
italiani che hanno il compito di scortare per i vari presidi militari un
gruppo di quindici ragazze greche costrette a prostituirsi per fame. È
tutta lì la metafora della guerra, in quel camion pieno di ragazze che
si vendono per una scatoletta di cibo ma non vogliono rinunciare ai loro
sogni di ventenni. Come dice all’inizio il colonnello interpretato da
Guido Alberti al riluttante Tomas Milian, tenente che non vuole questo
incarico perché lo ritiene svilente: «Quando studiavo io, e tu non eri
ancora nato, illustri professori ci insegnavano che questo paese era la
culla della civiltà, e che saremmo stati dei barbari senza l’ideale di
bellezza intuito dagli antenati di queste disgraziate. E quando questi
professori, dal ‘21 al ‘24, sono stati bastonati, umiliati e cacciati in
esilio, noi eravamo troppo deboli per muovere un dito, ed è proprio per
questo che a voi invece hanno insegnato a spellarvi le mani quando un
maestro somaro dice che vuole spezzare le reni a un popolo in ginocchio,
che la dignità sta tra le chiappe delle vostre sorelle, e che con le
puttane ci si va al buio, e non si scarrozzano in giro come esseri
umani. – E allora? – E allora hai quello che ti meriti perché il mio è
un ordine. E se vuoi, fammi rapporto».
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