Stanotte ho sognato di camminare in un campo minato pieno di cacche fumanti, 328 in tutto. Il problema è che potevo riconoscerne la presenza solo attraverso l'olfatto, ma ero raffreddato e quindi non sentivo nessun odore. Così pestavo tutte le cacche in giro senza riconoscerle. A un certo punto, in maniera quasi improbabile, cioè suonando con la bocca la sirena dell'ambulanza, è arrivato a salvarmi il mio amico Simone, ritornato bambino. Arrivava con una sorta di aereo in miniatura con cui mi afferrava e mi sollevava in cielo, sopra il paese ma a filo delle case. Io, affacciandomi di sotto venivo preso dalle vertigini e cominciavo a gridargli: Attento Simone, attento! Finché, a forza di gridare, non perdevo la presa e cascavo di sotto, sfracellandomi di fronte alla vetrina della farmacia. Pieno di ferite e contusioni, ero lordo di merda e di sangue, ma non sentivo gli odori e per questo mi sentivo fortunato. Simone, intanto, mi rimproverava: È colpa tua, che mi hai messo paura e ho perso la concentrazione alla guida!
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
giovedì 18 maggio 2023
sabato 31 dicembre 2022
mandarini
Nel sogno viene a trovarmi un autore, tirando fuori dalla macchina dei mandarini appena raccolti che mi regala perché mi dice che hanno il sapore dell’inverno. Ne infilo due in tasca. Poi, mentre parliamo dell’ultima moda buffa delle donne che scrivono e che ora vestono in latex, l’autore nota delle buste dei rifiuti che mulinano svelte vuote e abbandonate per strada. Preso in parte dal fastidio e in parte da una frenesia quasi infantile comincia a rincorrerle, raccogliendole come fa quando è al mare. Le raccoglie una alla volta e ogni volta ciascuna me la porta e me la affida prima di tornare a correre per acchiappare la successiva, per toglierle dalla strada mi dice ed infilarle nella differenziata. Quando ha finito ritorna da me che ora mi ritrovo sulla porta di casa con le mani completamente occupate dalle buste morbide e vuote, provo a stringerle e ripiegarle una sull’altra, ma l’aria accumulata al loro interno si sposta negli angoli gonfiandole come palloncini e presto diventano enormi, quasi piccole mongolfiere che mi sollevano in aria. Dall’alto, mentre mi vedo allontanarmi, grido aiuto all’autore e quello per tranquillizzarmi mi ricorda che ho nelle tasche i mandarini, quando voglio posso usarli come zavorra per scendere a terra, oppure se ho fame mangiarmeli.
mercoledì 6 agosto 2014
doglie
mercoledì 21 maggio 2014
l'osservazione dei volatili
domenica 11 maggio 2014
nella villa di melfi
(Franco Arminio)
martedì 4 marzo 2014
galateo per baciatori
e pronti a un volo che sovrasti il cielo
nei tuoi baci fatti d’aria, attese e piccole rincorse
nei miei non educati e carichi di vita
d’ansia di tempo che divide
da te che sei la fonte ritrovata e per un bacio
tornerei per sempre cosa mai
io sono stato: un ragazzo che non sa non crede
ma percepisce unicamente il mondo
nel tuo tocco, sulle labbra, ti chiede:
insegnami. E tu: rimani.
martedì 25 febbraio 2014
ali
le scapole dell’angelo
non mi appartengono
non verranno di lì
che dolori e petali
impazziti di magnolia
la notte spuntano
come mani a coppa
lungo la schiena
mi renderanno libero
un dinosauro in estinzione
un pigro lucertolone
in gioco per l’affermazione
della specie. Ma
(per i poeti) non c’è futuro.
Berremo litri di camomilla
per affrontar l’insonnia
la sofferenza che
soffoca il cuore
in sembianze di tumore
che per ingannarmi
si fa chiamare amore
e mi costringe
ad allargar le braccia
senza più paracadute
lanciarmi
mi dice: sei poeta?
volerai.
lunedì 24 febbraio 2014
a metà giorno
minuscolo perso anche lui nella nebbia
al tempo della Cina imperiale
che senza più nome senza gloria
dopo aver terminato il suo volo di piume danzanti
sulla seta inchiostrata si solleva
dal tavolino di lavoro sgranchisce le ginocchia i polsi
e si avvia soddisfatto al mercato
fuori dal silenzio ovattato in cui scatena
la sua concentrazione comprerà
qualcosa di speciale per la cena
avendo già concluso a metà giorno
la sua vita ancora lunga di lavoro.
martedì 17 settembre 2013
coleman in coleridge
tuttora infiamma nel mio occhio
d’ospite più atteso al matrimonio
non avrei dovuto abbandonarti
voltando le spalle alla tua casa
per dar retta ai consigli d’un pazzo
ricordo il giorno areonautico in cui nuda
sul parapetto attese per la pioggia
il ventre teso come un tamburino
lei cantò e attese di bagnarsi
ascoltata la sua voce persi la testa
per quel suono l’ho stregata con lo sguardo
l’ho presa sul suo velo ed ora
mi manchi quando s’oscura il cielo
lei mi ha scritto da Belfast dove alleva bambini
lancia bombe agli inglesi e ti manda i suoi saluti
potrei essere impiccato in qualsiasi momento
l’albero della fortuna è lì che aspetta
ho mentito a me stesso per tornarmene a casa
ho aperto la cassa e ho scoperto una pipa
vorrei solo accertarmi che tu m’abbia amato
vorrei dimenticare il tuo lutto violento
sposa mi manchi mi manca il tuo vino
lascia stanotte che pensi
e improvvisi per te ricambiando
il mio assolo di sax a Picasso
(Agosto 2002)
martedì 28 maggio 2013
canto
questa fredda primavera – si allinea alla tua fine
lenta, alla mia vita che si sganghera nel pianto –
continuano i lamenti del mio cuore, i tuoi notturni
e questo vento muto che ruba il sonno a molti
tentenna fra le corde che ci legano l’un l’altro
le corde del dolore che ci muovono cantando.
venerdì 12 aprile 2013
strage
All’inizio passeggiavano lentamente, guardandosi intorno con curiosità, coi loro pancioni candidi per la piazza, e presto, quasi fosse Venezia, divennero i soggetti preferiti dei turisti armati di fotocamera, addirittura impararono a mettersi in posa in cambio di un pezzetto di pane.
A forza di pane e di riso, ingrassarono al punto di smettere di volare e zampettavano come galline, ancora tondi e buffi, avanti e indietro per quella che ormai era diventata la loro aia, andando a rifugiarsi negli angoli per dormire, sotto i balconi, dove nidificarono al suolo.
Nacquero così nuovi uccelli che, seguendo l’esempio dei genitori, non impararono mai a volare. Erano troppi per la piazza, la quale presto venne ricoperta di escrementi, piccole macchie nere bianche o gialline che crepitavano sotto i piedi quando passavi. Persino le loro belle piume, adesso che si trascinavano al suolo, erano lorde di cacca.
L’odore era insopportabile, soprattutto d’estate. E quando, a causa della sporcizia, i matrimoni finirono, vedevi gli uccelli muoversi per la piazza come impazziti dalla fame, muovendo il collo a scatti e picchiando il becco contro il pavimento vuoto, se non di escrementi, consumandolo a forza di beccate, ma incapaci di migrare.
I loro vicini umani, ormai stanchi e al limite della sopportazione, quando capirono che né Nunzio né il parroco né quelli del Comune sapevano come risolvere il problema, decisero di fare da sé. Pagarono l’accalappiacani per radunare nella piazza, una mattina, tutti i randagi da portare al canile, e li scatenarono su di loro per farne strage.
Dopo la mattanza, quando i cani furono allontanati, ai pochi uccelli superstiti, che ancora scappavano intorno terrorizzati, senza più voce, senza più vie di fuga, le piume intrise di sangue sulle zampette tremanti e inciampavano sui cadaveri dei loro compagni mutilati dai morsi, venne spezzato il collo. Quando Nunzio, impotente, da lontano vide la scena, i suoi occhi si inumidirono, ma riuscì solo a dire: che peccato.
mercoledì 23 gennaio 2013
viaggio fino al termine della notte
3. Di Stazione in Stazione
Eppure, durante le riprese, effettuate in Messico, succede qualcosa che nessuno, nemmeno Roeg, poteva aspettarsi: Bowie, che all’epoca vanta una magnifica (e molto aliena) capigliatura arancione, viene irretito a tal punto dalla storia, da vivere un vero e proprio processo di autoidentificazione con Newton. Anche Bowie, infatti, vive un momento di “disgrazia” creativa dopo il volo di Ziggy, e da due anni si è volontariamente esiliato negli Stati Uniti, fra New York e Los Angeles, inseguendo i propri fantasmi rock. Anche Bowie è depresso, squilibrato e dipendente non dall’alcol ma dalla cocaina, che lo sta letteralmente divorando: in quel periodo assume 10 grammi di cocaina al giorno e pesa circa 40 chili. La sua interpretazione è talmente naturale da ricevere numerosi encomi, e il film in breve diventa un piccolo cult per i suoi fan, ma la verità è che Bowie non recita affatto, è semplicemente se stesso.
La realizzazione della pellicola gli dà, però, la possibilità di una violenta scossa interiore, di una feroce autoanalisi da cui scaturirà un album, scritto durante le riprese e registrato subito dopo, fra i suoi più belli e difficili: Station to Station (1976), in cui già si possono notare le prime influenze della nascente scena rock tedesca, il cosiddetto krautrock (rappresentato da gruppi come Neu, Can, Kraftwerk, Tangerine Dream) e un nuovo tipo di scrittura dei testi, per certi versi più tagliente e al contempo più criptico, proprio come quello del film appena interpretato, e dal quale viene estratto un fotogramma come copertina del disco.
Con quest’opera Bowie smette una volta per tutte i panni dell’alieno e inventa per sé un nuovo personaggio in linea con la sua nuova scrittura, il Duca Bianco.
Oltre a quelli di Station to Station, in questo periodo Bowie compone anche una serie di brani strumentali, anch’essi profondamente influenzati dal krautrock. Li compone espressamente per la colonna sonora del film, che a questo punto sente probabilmente come totale espressione di sé e vorrebbe permeare ancora di più con la sua presenza.
Il suo lavoro però viene rifiutato da Roeg, che lo ritiene troppo sperimentale. Bowie ne resta amareggiato, ma finisce diligentemente di lavorare alla pellicola. Poi, una volta terminato l’album, decide che è ora, finalmente, di tornare in Europa, a rimettere ordine nella sua vita.
4. Dall’America all’Europa
Bowie è un ammiratore della prima ora di Iggy, che nei tardi anni ’60 aveva incendiato i palchi americani col suo proto punk così fisico e oltraggioso, tanto da avergli dedicato una sua canzone, Panic in Detroit, e poi averlo aiutato a produrre il suo ultimo disco di successo, Raw Power (1973). Nonostante ciò, non era riuscito a risollevarne la carriera, per l’assoluta dipendenza di Iggy dalla droga, e ora che l’altro si è disintossicato, se lo trascina dietro aspettando l’occasione buona per un rilancio in grande stile.
I due si trasferiscono a Parigi nella seconda metà del 1976. Bowie ha intenzione di registrare un nuovo disco, nuovo anche nella forma, assolutamente sperimentale rispetto a tutto quello che ha fatto finora.
Decide pertanto di riprendere in mano il materiale scritto per la colonna sonora del film di Roeg (che finirà sul secondo lato dell’album e avrà il suo climax nell’inquietante Subterraneans) e di aggiungervi (sul primo lato) una manciata di nuove canzoni, fortemente confessionali dietro il linguaggio apparentemente nonsense: Bowie tenta il suicidio schiantandosi con la macchina in un parcheggio e scrive Always crashing in the same car; lascia sua moglie dopo un travagliato matrimonio e scrive Be my Wife. Nonostante cocaina e paranoia siano sempre incombenti, la sua creatività è iperstimolata dal nuovo ambiente.
Quasi Bowie fosse un pifferaio magico, a Berlino stavolta lo segue, oltre al gruppo, a Visconti e a Iggy Pop, anche Brian Eno, che a sua volta invita Robert Fripp, alla ricerca di un nuovo indirizzo musicale dopo la seminale collaborazione con Eno.
Oh, il passeggero
Come, come viaggia
Oh, il passeggero
Viaggia e viaggia
Guarda attraverso il suo finestrino
Cosa vede?
Vede il cielo segnato e vuoto
Vede le stelle che spuntano stanotte
Vede i bassifondi squarciati della città
Vede il lungomare tortuoso dell’oceano
E tutto quanto è stato creato per me e per te
Tutto quanto è stato creato per me e per te
Perché appartiene a me e a te
Perciò facciamoci un giro e vediamo cosa è mio
venerdì 23 novembre 2012
inutile pensare ad altro...
si vive anche così
anche questa è nobiltà
della vita seppur ridotta
all’osso: respirare
mangiare defecare
avvolgersi nel sonno
senza più ambizioni
pronti solo al ciabattare
di là dal muro al volo
della zanzara invernale.
giovedì 8 novembre 2012
silenzioso
è silenzioso
e si cercava il bigolo ferito
rattrappito a una larva.
Lentamente si chiudeva in se stesso
si immergeva nel bozzolo
delle sue coperte
pronto a metter l’ali.
venerdì 20 aprile 2012
che abbiamo noi per salvarci...
se non questi spazi angolari
queste bolle del pensiero
in cui nasconderci e sognare
un passato illusorio tutto d’oro
in cui negare a tratti l’esistenza
che ci vuole uccelli di passo o da voliera
né ci chiede mai venire a patti
se anche l’aria per volare è troppo densa
carica com’è di polveri industriali.
lunedì 12 marzo 2012
l'ultimo contatto il più vero...
con mio nonno il giorno
per terrore dal letto di cadere
che m’ha afferrato stretto un dito
e nel suo corpo fragile già
vuoto carcame consunto
per meglio essere leggero manovrabile
inutilmente pronto al volo
prima di riappisolarsi dunque ricadere
in un silenzio rantolato
mi ha detto “stai male” (anche tu! anche tu!)
mentre la pelle mi s’arrizzava
in tutta quella luce azzurrina
e senza uscita.
mercoledì 5 maggio 2010
poesia da un balcone
che ti ho amata. Né sono in grado
di oppormi al mio sogno o svilire
ogni strada, ogni verde dei prati
in cui tu sei stata. Vivi serena?
Ti sfiora il ricordo di un altro
se ti brama dai tetti uno stanco
rapace notturno? Ma senza più pena
sorridi. Stai lì nella casa sul fiume
(t’immagino) e ripeti a te stessa
che tutto inevitabile scorre, che passa
persino il dolore che vedi nascosto
in bottiglia. Galleggia sul fondo
e ti chiedi perché, pur bevendo
resti sempre una traccia di rosso
e d’amaro sul fondo.
venerdì 6 novembre 2009
ma voleremo in cielo in carne ed ossa
Ho sempre trovato affascinante il modo in cui più artisti possano reinterpretare nella maniera più diversa lo stesso soggetto. E non ho mai trovato niente di più stimolante (per i miei gusti) che il tema dell’amore. Lì davvero ci si gioca il tutto per tutto perché non è più solo una questione estetica o anche morale o emotiva, lì fai entrare gente nell’intimità di casa tua.
Nell’ultimo periodo mi sono ricapitate sotto gli occhi due opere di due artisti da me molto amati. Entrambe le opere sono state dipinte nello stesso periodo, durante la prima guerra mondiale, col mondo che impazziva intorno. Entrambe parlano di un rapporto d’amore particolarmente importante per la vita dei due autori. E anche se l’una parla della sua nascita e l’altra del suo tormentoso declino, entrambe sono legate all’assai abusata immagine (freudiana) dell’amore come volo. Una l’ha dipinta Oscar Kokoschka e l’altra Marc Chagall.
Uomo cupo, viscerale e un po’ eccentrico, Oscar Kokoschka incontra Alma Mahler, donna bellissima, fiera e indipendente che lo segnerà per sempre, nella Vienna del 1912, all’epoca una delle capitali artistiche d’Europa. Di lei s’innamora e ne diviene l’amante per due anni. Lui ne ha 26, lei 33.
Alma lo ammalia completamente e al contempo è incapace di legarsi a lui, tanta è la sua sete di vita e di avventure. Kokoschka, succube di lei, riversa nel suo lavoro tutto il sentimento di angoscia che avverte crescergli dentro giorno dopo giorno, man mano che avverte avvicinarsi il momento dell’inevitabile separazione. Ne nascono una serie di disegni e dipinti cupamente morbosi o grandemente disperati, in cui la pennellata si fa pastosa e densa, i colori abbaglianti, come il sentimento che lo pervade. Di questi dipinti il più famoso resta La sposa del vento, fra i quadri simbolo del ‘900.
Come per tutti i capolavori dell’arte si può attribuire a un’opera una lunga serie di significati che vanno ben oltre il semplice dato biografico, e anche in questo caso si può parlare di riferimenti alla mitologia germanica oltre che all’angosciosa situazione verso cui si precipitava l’impero austriaco, alle soglie della guerra. Ma personalmente io ci vedo soprattutto il ritratto di due amanti alla fine di un rapporto.
Alla deriva nella notte dopo un incontro d’amore, avvolti dalle lenzuola sfatte e dall’universo intorno, i due sono stretti l’uno all’altra. Lei, meno innamorata, dorme soddisfatta contro la sua spalla. Lui invece, sofferente, si tormenta le mani, ha gli occhi spalancati nel vuoto, è un insonne divorato dall’incertezza. Sa già, ma non vuole ammetterlo, che quella zattera di fortuna finirà presto per sfasciarsi contro gli scogli del tempo e della volubilità di lei.
Quando poi, di lì a poco, Alma lo lascerà per davvero, Kokoschka impazzirà del tutto. Andrà volontario in guerra, sarà ferito più volte e gravemente, ma non riuscirà a dimenticarla. Si trasferirà poi a Dresda dove, come in un racconto gotico, lo si vedrà accompagnarsi spesso al fantoccio di una donna a grandezza naturale (perfetto persino nelle parti intime, per gli ovvi scopi del caso) che presentava agli amici increduli come Alma. Guarirà del tutto solo a metà degli anni ’30, dopo un lunghissimo viaggio (durato più di dieci anni) in Africa e Medioriente.
Ebreo russo e perciò perseguitato, poeta nell’animo e meraviglioso inventore di favole, nel 1909 Marc Chagall, all’epoca 22 anni, conosce Bella, una ragazza dolce e dallo sguardo malinconico. La incontra per le strade di Vitebsk, città in cui sono nati entrambi e che poi, nel suo inquieto girovagare per l’Europa, si porterà in cuore per tutta la vita come fonte di continua ispirazione, di storie e di immagini a cui attingere per raccontarsi.
La perde di vista nel 1910 quando si trasferisce a Parigi per un lungo soggiorno di studio e d’esilio, a causa delle persecuzioni razziali cui è sottoposto in patria. A Parigi, sull’onda della nostalgia, si forma definitivamente il suo linguaggio e il suo mondo poetico fatto di colori luminosi, folclore e immagini gentili.
Poi il caso ci mette il suo zampino e nel 1914 Chagall torna in Russia per una vacanza di tre mesi e ci resta bloccato otto anni, per via della guerra e poi della rivoluzione. A Vitebsk però ritrova Bella, e la sposa l’anno dopo. Non più solo adesso, ormai artista apprezzato, Chagall respira il fermento rivoluzionario che sta per esplodere in Russia. Sono anni eccezionali che culmineranno, con la rivoluzione comunista, nell’abolizione di qualsiasi discriminazione contro gli ebrei. Un senso di totale felicità si impossessa di Chagall e lo porta a dipingere, nel 1917, alcuni dei quadri più assolutamente romantici della sua produzione, di cui Sopra la città resta forse il più famoso.
Nel quadro lui e Bella, abbracciati, si librano nel cielo sopra Vitebsk, sopra il mondo intero (perché Vitebsk nell’immaginario chagalliano è allo stesso tempo metafora del mondo e proiezione della sua città interiore), trasportati dal vento dell’amore e della libertà. Tutto è luminoso e magico, o meglio ancora stregonesco, ma serpeggia sotto l’apparente serenità una sottile inquietudine. Dall’immagine traspare un totale senso di leggerezza, alterato in minima parte dall’espressione un po’ ansiosa di lui. Perché il vento che li ha rapiti (il vento della storia) è così forte, impetuoso e dirompente da lasciarlo in parte stordito. Chagall stringe forte Bella per proteggerla e portarla con sé ovunque questo vento li trascinerà.
L’intuito dell’artista ha visto giusto. Nel 1923 Chagall, in rotta col partito, sarà di nuovo esule a Parigi. Bella lo segue fiduciosa come farà per tutto il resto della vita. Morirà nel 1944. Dal giorno della sua morte, lui non toccherà più i pennelli per un anno.
A chiusura, anche se c’entra solo per caso, per il fatto che mi è venuto in mente nelle ultime ore, mentre scrivevo questo testo, un altro volo che ha tempi, origini e motivi in parte diversi da quelli sopra descritti, ma ugualmente straordinario e irrequieto come quello di Chagall, e destinato a una rovinosa caduta come quello di Kokoschka. Non ci sono donne nella scena ma questo è un film e non un quadro, e di donne poi se ne vedranno anche troppe, essendo 8½ il ritratto più intimo, sincero (e junghiano) di Fellini.
Credo, anche se forse mi sbaglio, che di voli così ormai, non se ne vedano più tanti in giro. Non c'è più il coraggio di mostrarli e farne arte (e non esibizionismo). Se però mi sbaglio, vi prego, fatemi sapere.