Leggevo
poco fa un post abbastanza simpatico di Giulio Mozzi che spiega come,
attraverso una serie di espedienti (dai corsi di scrittura ai libri a
tema modaiolo), si fan soldi coi libri. "Perché, a pensarci bene, tutte
queste cose possono essere fatte con onestà". La cosa più interessante
di questi post, secondo me, è che è a tal punto radicata l'idea "radical
chic" che a far soldi coi libri si fa peccato contro l'idea stessa di
cultura come causa nobile (nel senso che prima la facevano solamente i
nobili, per passare il tempo), che c'è sempre qualcuno che risponde
inorridito: "Io ne prendo atto, ma me ne tiro fuori e scrivo le mie cose
solo per me, nel mio cantuccio". Ecco, ogni volta che una persona lo
puntualizza sotto un post, secondo me, invece di stare appunto da parte a
farsi le cose sue nel proprio silenzio incontaminato e perfetto, sta
facendo un atto di vanità, o di vanagloria, per ribadire che, nonostante
tutto, se non partecipa al gioco è solo perché non ne accetta le
regole, va in direzione ostinata e contraria; ma sottindente anche che
vorrebbe comunque sapessimo che c'è, si sbraccia per questo, perché
intimamente sogna il riconoscimento di esserci come tutti, ma con le
regole sue. Così con un piede sta fuori (e lo dice) e con l'altro sta
dentro (e lo dice anche per questo). Ma chi sta bene da solo non ha
bisogno di dirlo nessuno.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
domenica 11 ottobre 2020
io non ci sto
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