domenica 11 ottobre 2020

io non ci sto

Leggevo poco fa un post abbastanza simpatico di Giulio Mozzi che spiega come, attraverso una serie di espedienti (dai corsi di scrittura ai libri a tema modaiolo), si fan soldi coi libri. "Perché, a pensarci bene, tutte queste cose possono essere fatte con onestà". La cosa più interessante di questi post, secondo me, è che è a tal punto radicata l'idea "radical chic" che a far soldi coi libri si fa peccato contro l'idea stessa di cultura come causa nobile (nel senso che prima la facevano solamente i nobili, per passare il tempo), che c'è sempre qualcuno che risponde inorridito: "Io ne prendo atto, ma me ne tiro fuori e scrivo le mie cose solo per me, nel mio cantuccio". Ecco, ogni volta che una persona lo puntualizza sotto un post, secondo me, invece di stare appunto da parte a farsi le cose sue nel proprio silenzio incontaminato e perfetto, sta facendo un atto di vanità, o di vanagloria, per ribadire che, nonostante tutto, se non partecipa al gioco è solo perché non ne accetta le regole, va in direzione ostinata e contraria; ma sottindente anche che vorrebbe comunque sapessimo che c'è, si sbraccia per questo, perché intimamente sogna il riconoscimento di esserci come tutti, ma con le regole sue. Così con un piede sta fuori (e lo dice) e con l'altro sta dentro (e lo dice anche per questo). Ma chi sta bene da solo non ha bisogno di dirlo nessuno.

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