Ieri il maestro Carlo Formigoni ha messo in scena la sua ultima grande rappresentazione. Lo ha fatto in grande pur con la povertà di mezzi che contraddistingue il suo teatro, nel pieno del clamore sanremese che così poco aveva a che fare con lui. Ieri, per tutto il pomeriggio e in serata, i suoi amici hanno continuato a chiamarsi per parlarne con la voce che tremava, le mani che tremavano, rattristati e commossi eppure, senza quasi ammetterlo per pudore, ammirati da quest’uscita di scena che a suo modo è arte. La cronaca è nota dai giornali per cui non si fa peccato a parlarne, del resto era stata accuratamente predisposta dallo stesso maestro. Ieri mattina Carlo ha chiamato un taxi, si è fatto lasciare da solo su una certa spiaggia dicendo al tassista che aspettava degli amici, ha aperto il suo seggiolino di fronte al mare, si è spogliato nudo e si è trascinato in acqua. Nel pomeriggio dei passanti hanno trovato i suoi vestiti ripiegati sul seggiolino, le scarpe ben disposte lì accanto, un libro di poesie su cui era segnato a matita il suo nome, un numero di telefono da chiamare e con un segnalibro che fermava una poesia di Mario Luzi. Le sue stampelle erano in acqua, a poca distanza dalla riva. I passanti hanno fatto il numero e allertato i suoi amici. Stamattina hanno trovato il corpo, l’ho appena sentito al Tg, col giornalista che sbagliando lo ha chiamato “Luigi Formigoni”, aggiungendo che “non era di queste parti”. Uniche due macchie su questo ultimo atto così perfetto, lirico e drammatico insieme, a metà fra il giallo metafisico e un qualche film coreano, per come profuma di Oriente, sia nella meticolosità dei gesti che preludono alla fine attraverso un atto estetico di purificazione sia nella scelta di perdersi in mare. Carlo non era nato qui, certo, ma aveva scelto di vivere e morire qui, di essere se stesso qui. C’è un documentario su Patrizia Cavalli in cui lei dice a un certo punto che le persone chiave che ti portano a vivere la tua vera vita sono pochissime, le conti sulle dita di una mano. Parlo per me e non solo per me, Carlo, con tutti i suoi pregi e difetti, è stata una di quelle persone chiave, da quel lontanissimo giorno in cui senza nemmeno conoscermi, senza sapere chi fossi o se ne fossi in grado, ma solo per aver letto un mio libro e per essersi fidato del suo istinto, mi chiamò al telefono e mi disse: “Buongiorno, sono Carlo Formigoni, vorrei che scrivessi uno spettacolo per me”. È una lezione che non mi sono più scordato.
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