Nel settembre 1972 Cesare Garboli risponde a un articolo di Natalia Ginzburg sul massacro di Monaco, quando dei terroristi palestinesi durante le Olimpiadi assaltarono gli alloggi della squadra israeliana e uccisero tutti gli atleti. La Ginzburg, in quanto ebrea, è combattuta fra le due posizioni, se schierarsi con le vittime dell’attentato o con le motivazioni che hanno mosso i palestinesi, e si pone una serie di questioni – purtroppo mai risolte – su cosa avrebbe fatto lei al posto delle forze potere per trovare una soluzione al conflitto fra i due popoli, concludendo che l’unica scelta di campo che può fare, mancandole il potere di cambiare le cose, è stare dalla parte delle vittime. Garboli, prendendo spunto dalla fine del suo articolo, le risponde che le sue conclusioni sono giuste, ma per le premesse sbagliate: “oggi non si può stare dalla parte di chi fa la storia, ma solo dalla parte di chi la subisce. Un tempo, fino a ieri, si apriva alla coscienza di ciascuno uno spiraglio di speranza: la speranza di collaborare alla storia stando dalla parte giusta. In modo particolare, questa speranza ha celebrato il suo grande momento, si sa, all’indomani del crollo del fascismo, una festa sulla quale il cielo si è rapidamente richiuso. Tutte le generazioni che hanno preceduto la nostra, sia pure confusamente, hanno sempre vissuto nell’illusione, o comunque nell’idea che il mondo potesse cambiare, e che la storia dell’uomo fosse in lento, ma costante progresso. […] Se oggi abbiamo una certezza, è appunto che il mondo non cambierà mai […] che le vittime della storia non potranno mai diventare protagoniste della storia, non potranno mai conquistare e detenere il potere”. E se anche lo conquistassero non cambierebbe nulla, perché l’idea di poter gestire il potere è una semplice illusione. Perché il potere è un male, e praticarlo significa ammalarsene e praticare la volontà del male, non la propria. Essere al potere significa assecondare il potere, quindi non ha senso chiedersi cosa si farebbe avendo il potere in mano, si farebbe esattamente quello che il potere vuole. “Finché si è vittime, si è nel giusto, e si è nel giusto finché si è vittime. Tertium non datur… […] È stato Manzoni il primo, limpido assertore che agire la storia, fare la storia e non subirla, è comunque rendersi complici di un male, diventare corresponsabili di un orrore.” È una visione molto pessimistica la sua, anche influenzata dal periodo storico in cui l’ha scritta, nel pieno degli anni di piombo. E, infatti, rendendosene conto, chiude così: “Qualche volta, se si parte da certe premesse, e si arriva a certe conclusioni, bisogna avere il coraggio del proprio pessimismo fino in fondo”. Cinque anni dopo, alla notizia del rapimento Moro, Garboli d’impulso salì in auto e abbandonò definitivamente Roma, andando a rinchiudersi nella cascina di campagna della sua famiglia in Toscana, dove rimase per il resto dei suoi giorni dedicandosi esclusivamente allo studio e alla scrittura. A pensarci adesso, ricorda un po’ la scelta del poeta latino Orazio.
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