lunedì 25 maggio 2020

l'aggettivo "togliattiano"

Oggi leggevo in un articolo di Veneziani l'aggettivo "togliattiano" e mentre lo leggevo mi è venuto da sorridere, come quando ti trovi di fronte qualcosa di vecchiotto, ammuffito, un po' grigio e un po' rigido, insomma nostalgicamente retrò, un po' com'era la morale sessuale d'inzio '900 (parlo di morale sessuale perché il pezzo di Veneziani era su Woody Allen): la verginità è sacra, si diceva, anche se poi dietro c'erano un sacco di fuitine. Da noi si diceva scendere: se n'è scennute pe cure, se n'è scesa, andata via con quello, in attesa del matrimonio riparatore. E "togliattiano" sa un po' di quella cosa lì: una certa rigidità morale in merito alla sacralità/verginità della propria politica rispetto alle altre, dove il sacro però era più decantato che reale e restava vivo soprattutto un certo bigottismo provinciale. Poi perché scrivo tutto questo e dove voglio andare a parare non lo so, sarà che me ne sto scendendo anch'io stamattina, per non lavorare. O sarà che non si studia mai a scuola e per me Togliatti resta soprattutto quello della poesia di Saba chiamata A un giovane comunista, in cui Saba lo paragana a un giallo canarino e dice di preferire il canarino, sarà questo ma per me Togliatti, a cui Guttuso ha dedicato uno dei suoi quadri più belli è pieni di giallo e di rosso, è tutto meno che il colore, però stamattina ugualmente mi ha fatto sorridere il vetusto aggettivo "togliattiano", e ho pensato che forse andrebbe un po' riverniciato, per non lasciarlo ammuffire così, in certi sorrisi che poi inacidiscono col tempo. Io ad esempio, ho appena deciso che il mio prossimo gatto lo potrei chiamare Togliatti. Il gatto Togliatti. Così lo metto vicino a Mao e faccio una foto dei due.

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