giovedì 7 maggio 2020

divagazioni su un pezzo di paolo ferrucci

Ho letto oggi su Pangea un bel pezzo di Paolo Ferrucci in cui si fanno le pulci a Erri De Luca, uomo con le palle, discreto poeta (secondo me), ma scrittore in buona parte sopravvalutato.
Mentre lo leggevo, però, ho pensato questo: fermo restando che è giustissimo, che compito della critica è anche mettere in discussione dei modelli e Paolo lo fa molto bene, certe volte mi viene da chiedere a chi serve. Nel senso che lo spazio dedicato alla critica è quello che è, e se io lo uso per parlare bene di De Luca o per parlare male di De Luca, alla fine sempre di De Luca sto parlando, quindi ancora una volta si regala spazio a uno che non ha bisogno di pubblicità per toglierlo ad altri. E lo si fa, credo, perché è più facile leggere i libri di uno come De Luca che nel bene o nel male sono in giro, che non i libri di un autore misconosciuto, dove procurarseli, leggerli e farsene un’idea, comporta una fatica in più per un pezzo che probabilmente verrà letto da meno lettori, in quanto se recensisco Pinco Pallo a chi frega? Mentre De Luca, anche solo per dirne male, un pubblico se lo porta dietro.
Non è ovviamente un rimprovero al pezzo di Paolo, ci tengo a sottolinearlo. È solo che ultimamente mi pare che la critica “extraparlamentare” o fuori dal coro, che spesso si dice al servizio della vera letteratura, faccia per contro sempre più queste due cose: o 1) fa opposizione dura, politica o anche semplicemente stronza, contro un certo tipo di autore che o ha già potere editoriale oppure sex appeal nelle vendite, o fa il guru nazional-popolare, o mi sta sul cazzo per partito preso; o 2) mette in discussione i gusti del pubblico dicendo: voi lettori non capite un cazzo, perché invece di De Luca avreste dovuto leggere l’immenso [*nome d’autore sconosciuto ma comunque “amico mio”*] oppure [*nome d’autore di nicchia morto da almeno vent’anni*] senza quasi mai cambiare di una virgola il corso della letteratura, perché un autore di nicchia lo è spesso in quanto, pur sognando il successo, lui per primo scriveva per pochi.
Raramente si recensisce un libro solo perché è bello e ben scritto, e senza una storia o un certo autore o un ufficio stampa dietro. Forse perché per quelli che sono i gusti oggi, un libro senza un autore o una storia (una storia extra letteraria da aggiungere a quella letteraria per darle peso) non ci basta quasi più. È come se più entrassimo nel mondo digitale e meno fossimo capaci di perderci nella fantasia di un’opera: e credo dipenda dal fatto che il mondo digitale ci sta educando male, non a spaziare fra infinte possibilità ma a scegliere fra opzioni già date, non a spaziare nel testo ma a nutrirci di scandali e fake news, appena un titolo a sensazione e una foto ammiccante. Insomma, di parole se ne scrivono anche troppe, così ci serve il gossip per dargli vita. Da cui deriva a volte un punto 3), il più insidioso di tutti proprio perché scaturisce in un ambiente che si dice “puro e duro”: quando qualcuno scopre finalmente un autore piccolo ma bravo e ne sposa non i libri, ma “la causa” di affermarsi. Da allora è tutto un pullulare entusiastico, ancora una volta “politico” e spesso acritico di recensioni che presto lo porteranno nelle hit “blasonate”, lì dove ogni autore vuole stare, ma senza più riguardo né per l’opera né per la sua crescita artistica, che richiede più tempo di quello che siamo disposti a concedere al successo.
Quindi, prima sono guai se qualcuno esprime un dubbio, diventa subito il nemico numero uno dell’artista! E poi, se l’artista non sforna almeno un capolavoro all’anno da consumare diventa subito un falso mito o ricade direttamente nel punto 1. Ed ecco che senza accorgermene, sto ancora girando intorno al sistema De Luca (ma potrebbe essere anche il sistema Merini o Vivinetto o ecc.) descritto da Paolo nel suo pezzo, e forse aveva ragione lui, c’era proprio bisogno di parlarne.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Premessa: non ho letto il pezzo su Erri de Luca, quindi non parlerò di questo.

devo comunque affermare che leggere opinioni fuori dal coro, quindi politicamente scorrette, è sempre un esercizio sia culturale che intellettuale, e il sito l'intellettuale dissidente, lo fa veramente bene: è un altro punto di vista. Il guaio è che lo leggono in pochi, forse pochissimi. purtroppo la maggior parte di coloro che usufruiscono del web si fiondano sui social per mostrare i loro inutili selfie invece di andare ad informarsi e formarsi;

mike lenzi

lillo ha detto...

ti dirò, una volta condivisi un pezzo da l'intellettuale dissidente su fb e venni letteralmente attaccato da alcuni ragazzi che dicevano che quella era la destra reazionaria quindi andava assolutamente evitato come la morte... insomma la controcensura... è difficile uscirne...

Anonimo ha detto...

Purtroppo caro Lillo (o Tonio?), nella nostra Italia c'è gente che pensa di essere pura (l'estrema sinistra) e basta che uno si allontana dal loro pensiero (anche il politicamente corretto) per essere indicato come fascista, reazionario, razzista e così via... Stranamente più ci allontaniamo dal periodo fascista e dalla guerra civile italiana più aumenta lo scontro tra le due opposte ideologie, poichè alla fine, questo odio che si riversa sui social è frutto di questo scontro che viene alimentato da coloro che non hanno mai combattutto e vissuto quel periodo.
Dovrebbero magari sapere che Togliatti nel dopo guerra ha votato a favore dell'amnistia per i fascisti; dovrebbero sapere che di fronte alla salma di Berlinguer si sono inchinati Almirante e missini e che la dirigenza comunista di quel periodo ha rispettato. Gente appunto che ha vissuto il ventennio.
Mi sono permesso di fare questi due esempi per far notare come i politici di una volta, (e la cultura politica), benchè fossero opposti ideologicamente, avevano il senso di rispetto che oggi manca proprio tra i giovani, i quali pensano che tutto ciò che non rientra nella loro ideologia, non solo politica, deve essere censurato.
in fondo che differenza c'è tra la censura sui social di un pensiero e i libri bruciati in piazza da fascisti e nazisti? Nessuna

Michele Lenzi