Rileggevo la poesia di Luigi Di Ruscio da un verso della quale trae spunto il titolo della nostra raccolta su poesia e lavoro La nostra classe sepolta, a cura di Valeria Raimondi (Pietre Vive, 2019). La poesia si intitola Per mia figlia ed è una bellissima lettera-poesia contenuta in Poesie scelte 1953-2010, a cura di Massimo Gezzi (Marcos y Marcos, 2019). Come tutte le poesie di Di Ruscio ha avuto una lunga gestazione e diverse e significative varianti. All’origine, nella versione contenuta in Enunciati (1993) e intitolata Per Caterina Di Ruscio scrive: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ e tutti quelli che verranno e sino a quando rimarrà la resistenza di uno solo/ la sconfitta non è ancora avvenuta/ non la rosa sepolta ma i comunisti massacrati e sepolti/ tutto deve essere ingoiato anche quello che profondamente disprezzo…». La poesia verrà poi rielaborata in chiave più spigolosa ed espressiva nel suo ultimo libro, ma aprendola nel suo significato ad un abbraccio universale: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ sino a che rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta/ sino a quanto rimarranno le nostre pagine/ non la rosa sepolta ma la nostra classe sepolta/ siamo nel caos prima della creazione del verbo…». Confesso che leggendo prima l’ultima versione non avevo colto subito il nesso assai evidente con Brecht, attraverso il celebre Epitaffio 1919 e più sottilmente in Epitaffio Luxemburg scritti entrambi per Rosa Luxemburg, dove Brecht nel primo dice: «Anche Rosa la rossa se n’è andata./ Ma dov’è sepolta chi lo sa./ I ricchi dal mondo l’hanno scacciata/ ché ha detto ai poveri la Verità» e nel secondo: «Qui è sepolta/ Rosa Luxemburg» intendendo proprio “qui”, fra queste righe. Da cui l’immagine della rosa sepolta: uccisa la Luxemburg il suo corpo non fu mai ritrovato e venne sostituito nella tomba con quello di un’altra donna: estrema offesa persino alla sua memoria. Nella sua poesia alla figlia, Di Ruscio accoglie in toto lo spirito e la volontà della Luxemburg: sostituendo a «comunisti» la parola «classe» sposta l’asse della lotta e della sconfitta dal partito al lavoro: quindi con un ritorno all’origine stessa del partito, alle sue ragioni, che nascono in reazione ai bisogni della classe. In questo modo, da una parte lascia in eredità alla figlia un’idea di lotta politica, che sia pura, integra, irriducibile, ma ancora praticabile e reale. Dall’altra, lì dove scrive «…sino a quando rimarranno le nostre pagine... siamo nella creazione prima del caos…». le affida una missione. In quel passaggio Di Ruscio supera Brecht e direttamente al modello del suo Epitaffio, che è la Genesi. Lì dove in Brecht Rosa Luxemburg, nel dispetto dei ricchi, viene scacciata dal mondo per aver mostrato la Verità ai poveri, cioè per essere stata per i poveri il serpente che li ha sottratti alla propria illusione di felicità, condannandoli alla propria infelicità di classe e alla lotta senza tregua, in Di Ruscio non solo Rosa ma tutti i sepolti e gli spariti della Terra troveranno rifugio, perché nelle sue pagine, nella sua scrittura, e nelle pagine e nella scrittura di «noi che rappresentiamo» tutti verranno salvati: «ebreo nella Germania nazista/ palestinese in Israele/ negro nel Sudafrica/ comunisti massacrati e sepolti». Per ognuno di loro ci sarà posto e memoria nelle nostre pagine, perché finché «ne rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta». E perché per loro, per tutti i sepolti della storia, solo nelle nostre pagine, nelle pagine di «noi che rappresentiamo» è data la possibilità di un nuovo inizio, di azzerare il tempo, ritornare all’attimo stesso della creazione, prima della storia, del caos, della luce da cui vennero fuori le tenebre. Alle nostre stesse ragioni. Che è, forse, la missione più alta che può darsi un poeta.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
sabato 23 maggio 2020
la missione di un poeta
Rileggevo la poesia di Luigi Di Ruscio da un verso della quale trae spunto il titolo della nostra raccolta su poesia e lavoro La nostra classe sepolta, a cura di Valeria Raimondi (Pietre Vive, 2019). La poesia si intitola Per mia figlia ed è una bellissima lettera-poesia contenuta in Poesie scelte 1953-2010, a cura di Massimo Gezzi (Marcos y Marcos, 2019). Come tutte le poesie di Di Ruscio ha avuto una lunga gestazione e diverse e significative varianti. All’origine, nella versione contenuta in Enunciati (1993) e intitolata Per Caterina Di Ruscio scrive: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ e tutti quelli che verranno e sino a quando rimarrà la resistenza di uno solo/ la sconfitta non è ancora avvenuta/ non la rosa sepolta ma i comunisti massacrati e sepolti/ tutto deve essere ingoiato anche quello che profondamente disprezzo…». La poesia verrà poi rielaborata in chiave più spigolosa ed espressiva nel suo ultimo libro, ma aprendola nel suo significato ad un abbraccio universale: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ sino a che rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta/ sino a quanto rimarranno le nostre pagine/ non la rosa sepolta ma la nostra classe sepolta/ siamo nel caos prima della creazione del verbo…». Confesso che leggendo prima l’ultima versione non avevo colto subito il nesso assai evidente con Brecht, attraverso il celebre Epitaffio 1919 e più sottilmente in Epitaffio Luxemburg scritti entrambi per Rosa Luxemburg, dove Brecht nel primo dice: «Anche Rosa la rossa se n’è andata./ Ma dov’è sepolta chi lo sa./ I ricchi dal mondo l’hanno scacciata/ ché ha detto ai poveri la Verità» e nel secondo: «Qui è sepolta/ Rosa Luxemburg» intendendo proprio “qui”, fra queste righe. Da cui l’immagine della rosa sepolta: uccisa la Luxemburg il suo corpo non fu mai ritrovato e venne sostituito nella tomba con quello di un’altra donna: estrema offesa persino alla sua memoria. Nella sua poesia alla figlia, Di Ruscio accoglie in toto lo spirito e la volontà della Luxemburg: sostituendo a «comunisti» la parola «classe» sposta l’asse della lotta e della sconfitta dal partito al lavoro: quindi con un ritorno all’origine stessa del partito, alle sue ragioni, che nascono in reazione ai bisogni della classe. In questo modo, da una parte lascia in eredità alla figlia un’idea di lotta politica, che sia pura, integra, irriducibile, ma ancora praticabile e reale. Dall’altra, lì dove scrive «…sino a quando rimarranno le nostre pagine... siamo nella creazione prima del caos…». le affida una missione. In quel passaggio Di Ruscio supera Brecht e direttamente al modello del suo Epitaffio, che è la Genesi. Lì dove in Brecht Rosa Luxemburg, nel dispetto dei ricchi, viene scacciata dal mondo per aver mostrato la Verità ai poveri, cioè per essere stata per i poveri il serpente che li ha sottratti alla propria illusione di felicità, condannandoli alla propria infelicità di classe e alla lotta senza tregua, in Di Ruscio non solo Rosa ma tutti i sepolti e gli spariti della Terra troveranno rifugio, perché nelle sue pagine, nella sua scrittura, e nelle pagine e nella scrittura di «noi che rappresentiamo» tutti verranno salvati: «ebreo nella Germania nazista/ palestinese in Israele/ negro nel Sudafrica/ comunisti massacrati e sepolti». Per ognuno di loro ci sarà posto e memoria nelle nostre pagine, perché finché «ne rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta». E perché per loro, per tutti i sepolti della storia, solo nelle nostre pagine, nelle pagine di «noi che rappresentiamo» è data la possibilità di un nuovo inizio, di azzerare il tempo, ritornare all’attimo stesso della creazione, prima della storia, del caos, della luce da cui vennero fuori le tenebre. Alle nostre stesse ragioni. Che è, forse, la missione più alta che può darsi un poeta.
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