Ci pensavo stamattina per la prima volta, se amo questa festa del 25 aprile non è per tutto ciò che simboleggia: la libertà, la lotta, la giustizia, lo stare o no dalla parte giusta, le luci e le ombre, la retorica, i monumenti, questo e quello. Sono tutte cose giuste, eh. Ma se la amo col cuore, se provo empatia e simpatia, se mi commuovo a pensarci e ripensarci, è perché l’ho letta nei libri di Fenoglio, in quelli di Pavese, di Calvino, e l’ho vista nei film di Rossellini, di Monicelli, di Scola, in certe scene di Totò. Ogni anno mi accorgo che, nonostante le manifestazioni, le polemiche, l’accanimento terapeutico di alcuni e tutti i bellissimi discorsi infiorettati di ideali, ogni anno si perde un pezzettino di memoria, un pezzo di sincero sentimento, tutto diventa parole ma senza cuore, e questo secondo me succede perché si dicono un sacco di bellissime parole ma non si legge mai abbastanza. Perché non c’è liberazione più grande di quella che viene dai libri, e non c’è liberazione possibile se non conosci Raul, Blister, Milton, Sceriffo, che poi sono tutti quei nomi incisi nella pietra dei monumenti ma fatti di carne e di sangue, con le loro paure, la rabbia, il piscio e il vomito, gli amori da ventenni che vengono sempre a mettere sgambetto agli ideali. Ecco, nel giorno della liberazione mi piacerebbe tanto che si facessero meno bellissimi proclami su cos’è o non è la libertà e si leggessero più storie di Fenoglio.
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