È già da un po’ che pensavo di scrivere qualcosa sull’ultima raccolta di Valentina Trio, La quinta Musa, edita da Il Foglio. Ci tenevo perché già molto prima della sua pubblicazione Vale mi aveva mandato il manoscritto chiedendomi cosa ne pensassi. Quindi mi pareva giusto, visto che ho letto il libro praticamente nel suo farsi, e prima ancora che di libro si potesse parlare, offrire il mio contributo. E poi glielo avevo promesso.
[…]
El móvil me mira
con una mueca de desprecio
y el viento grita tu nombre
y sus sílabas golpean mi ventana.
trad. […] Il celllulare mi guarda/ con una smorfia di disprezzo/ e il vento grida il tuo nome/ e le sue sillabe colpiscono la mia finestra.
La prima cosa che stupisce della poesia di Vale Trio è la lingua. Una lingua che, probabilmente per il fatto che l’autrice risiede in Spagna ormai da anni, è perennemente in bilico fra italiano e spagnolo, quasi un ibrido. All’inizio non ci fai caso, non subito. Senti che c’è un sapore diverso nell’uso delle parole, nello scorrere dei pensieri e delle immagini, ma è quando ti ritrovi davanti alle numerose poesie spagnole che si mischiano nella raccolta alle italiane e le completano, che ti accorgi che non c’è una reale differenza, che Vale scrive in italiano pensando in spagnolo e viceversa, che è riuscita a mediare un linguaggio suo fra due terre all’apparenza molto simili ma meno di quanto si creda. Una sorta di crossover linguistico insomma, com’è anche giusto ora che si parla tanto d’Europa. Parlo da italiano ovviamente, ma credo che questa sia una cosa che avverta anche uno spagnolo nei confronti dei suoi versi.
La seconda notazione riguarda la materia trattata, ovvero l’amore. Tutta la poesia di Valentina Trio è pervasa di passione amorosa e velato ma persistente erotismo. Un erotismo e una passione però che, attenzione, sono pulsanti ma spesso irrealizzati. Quella di Valentina è infatti una poesia in cui il sentimento ha difficoltà a diventare azione.
Una poesia frustrata dunque ma non arresa, talvolta rabbiosa per questa impossibilità dell’amore compresso nell’animo di scoppiare e farsi piena felicità. In questo credo che giochi in parte il suo background linguistico e in parte la sua biografia. In più di una occasione Vale ha affermato di sentire come maestra la Merini, di cui riprende tutto il tremendo slancio erotico, la volontà di passione senza limiti ma grazie a dio non la componente misticheggiante che nella maestra spesso si mischia a tale passione, ammorbandola. La poesia di Vale è molto più limpida, diretta, legata a un quotidiano che è comunque e sempre stemperato nell’erotico, come si evince da versi sublimi e così carichi di vita come (ne prendo uno a caso):
mi manchi
[…]
quando butto via la rucola
andata a male per una bocca sola…
o dalle notazioni diaristiche che in calce a ogni poesia ne scandiscono il tempo e i luoghi lungo l’anno di composizione dei versi (il 2009).
Talvolta, poiché mi sembra che questa raccolta sia una sorta di punto di svolta, di libro di transizione o ricerca, o di affermazione di un linguaggio unico e personale che si sta facendo ora, la sua poesia non riesce a venire fuori dal sostrato letterario, dal canone poetico in cui Vale è cresciuta e si è formata, per farsi vera vita. È il caso delle prime poesie della raccolta, quando sembra tutto un po’ troppo letterario, quando il tu appare quasi un’entità impersonale, un tu inconcreto e la poesia sembra rigirarsi su se stessa e non aprirsi al mondo, rimanere ferma nel suo cerchio autoreferenziale. Più in là invece, a partire dalle poesie del mese di giugno, dalla bellissima Quasi tre settimane, la componente autobiografica sembra prendere il sopravvento, la poesia di Valentina si fa viva e davvero pare che stia parlando a qualcuno che c’è, che è lì vivo e pulsante, con tutti i suoi difetti e limiti e umanità, qualcuno che possiamo riconoscere o no ma che possiamo dire di capire, di sentire in noi. Sono quegli gli esiti più felici della raccolta, quelli in cui il sentimento si dispiega fino a coinvolgere il suo pubblico in una conversazione che non è più privata ma universale. Allora Valentina ci restituisce fiducia nella verità della poesia, nella possibilità che questa, come qualsiasi altra forma d’arte, possa afferrare la vita intorno a noi e restituircene il succo e l’anima, per rifarla nuovamente nostra.
[…]
Ho imparato anch’io a sparire,
ho imparato da te,
e non saranno venti giorni.
In questo mi pare che l’apice della raccolta possa ritrovarsi in particolar modo nelle tre stupende poesie dedicate ad Alice Russo, così cariche di rabbia e aggressività e sferzante sarcasmo compressi in versi talmente perfetti da diventare quasi delle trappole pronte a scattare sulla loro vittima designata, togliergli finalmente la pelle e mostrarlo per quello che è: un uomo vile e indegno, incapace di restituire alla poetessa tutto l’amore donatogli, un amore assoluto, incondizionato, un amore senza compromessi né ripensamenti.
[…]
El móvil me mira
con una mueca de desprecio
y el viento grita tu nombre
y sus sílabas golpean mi ventana.
trad. […] Il celllulare mi guarda/ con una smorfia di disprezzo/ e il vento grida il tuo nome/ e le sue sillabe colpiscono la mia finestra.
La prima cosa che stupisce della poesia di Vale Trio è la lingua. Una lingua che, probabilmente per il fatto che l’autrice risiede in Spagna ormai da anni, è perennemente in bilico fra italiano e spagnolo, quasi un ibrido. All’inizio non ci fai caso, non subito. Senti che c’è un sapore diverso nell’uso delle parole, nello scorrere dei pensieri e delle immagini, ma è quando ti ritrovi davanti alle numerose poesie spagnole che si mischiano nella raccolta alle italiane e le completano, che ti accorgi che non c’è una reale differenza, che Vale scrive in italiano pensando in spagnolo e viceversa, che è riuscita a mediare un linguaggio suo fra due terre all’apparenza molto simili ma meno di quanto si creda. Una sorta di crossover linguistico insomma, com’è anche giusto ora che si parla tanto d’Europa. Parlo da italiano ovviamente, ma credo che questa sia una cosa che avverta anche uno spagnolo nei confronti dei suoi versi.
La seconda notazione riguarda la materia trattata, ovvero l’amore. Tutta la poesia di Valentina Trio è pervasa di passione amorosa e velato ma persistente erotismo. Un erotismo e una passione però che, attenzione, sono pulsanti ma spesso irrealizzati. Quella di Valentina è infatti una poesia in cui il sentimento ha difficoltà a diventare azione.
Una poesia frustrata dunque ma non arresa, talvolta rabbiosa per questa impossibilità dell’amore compresso nell’animo di scoppiare e farsi piena felicità. In questo credo che giochi in parte il suo background linguistico e in parte la sua biografia. In più di una occasione Vale ha affermato di sentire come maestra la Merini, di cui riprende tutto il tremendo slancio erotico, la volontà di passione senza limiti ma grazie a dio non la componente misticheggiante che nella maestra spesso si mischia a tale passione, ammorbandola. La poesia di Vale è molto più limpida, diretta, legata a un quotidiano che è comunque e sempre stemperato nell’erotico, come si evince da versi sublimi e così carichi di vita come (ne prendo uno a caso):
mi manchi
[…]
quando butto via la rucola
andata a male per una bocca sola…
o dalle notazioni diaristiche che in calce a ogni poesia ne scandiscono il tempo e i luoghi lungo l’anno di composizione dei versi (il 2009).
Talvolta, poiché mi sembra che questa raccolta sia una sorta di punto di svolta, di libro di transizione o ricerca, o di affermazione di un linguaggio unico e personale che si sta facendo ora, la sua poesia non riesce a venire fuori dal sostrato letterario, dal canone poetico in cui Vale è cresciuta e si è formata, per farsi vera vita. È il caso delle prime poesie della raccolta, quando sembra tutto un po’ troppo letterario, quando il tu appare quasi un’entità impersonale, un tu inconcreto e la poesia sembra rigirarsi su se stessa e non aprirsi al mondo, rimanere ferma nel suo cerchio autoreferenziale. Più in là invece, a partire dalle poesie del mese di giugno, dalla bellissima Quasi tre settimane, la componente autobiografica sembra prendere il sopravvento, la poesia di Valentina si fa viva e davvero pare che stia parlando a qualcuno che c’è, che è lì vivo e pulsante, con tutti i suoi difetti e limiti e umanità, qualcuno che possiamo riconoscere o no ma che possiamo dire di capire, di sentire in noi. Sono quegli gli esiti più felici della raccolta, quelli in cui il sentimento si dispiega fino a coinvolgere il suo pubblico in una conversazione che non è più privata ma universale. Allora Valentina ci restituisce fiducia nella verità della poesia, nella possibilità che questa, come qualsiasi altra forma d’arte, possa afferrare la vita intorno a noi e restituircene il succo e l’anima, per rifarla nuovamente nostra.
[…]
Ho imparato anch’io a sparire,
ho imparato da te,
e non saranno venti giorni.
In questo mi pare che l’apice della raccolta possa ritrovarsi in particolar modo nelle tre stupende poesie dedicate ad Alice Russo, così cariche di rabbia e aggressività e sferzante sarcasmo compressi in versi talmente perfetti da diventare quasi delle trappole pronte a scattare sulla loro vittima designata, togliergli finalmente la pelle e mostrarlo per quello che è: un uomo vile e indegno, incapace di restituire alla poetessa tutto l’amore donatogli, un amore assoluto, incondizionato, un amore senza compromessi né ripensamenti.
5 commenti:
voglio leggerlo..
Ho imparato anch’io a sparire,
ho imparato da te,
e non saranno venti giorni.
cavolo..
ottima recensione
e brava vale!
vedrò di recuperarmelo anch'io, appena mi ricordo di fare l'ordine a ibs...
viene davvero voglia di leggerli questi versi
Grazie di cuore.
Baci baci e ancora baci.
Non riamane che leggerlo...non rimane che leggere un po' di Vale...
:-))
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